Ucraina
Né
“Unione Europea allargata ad est”, né “grande Russia”; per
un’alternativa operaia e socialista
di Franco Grisolia
Mentre scriviamo si è appena concluso il “terzo
turno” delle elezioni presidenziali che ha visto il successo del
“filooccidentale” e nazionalista Yuschenko contro il “filorusso”
Janukovic,. Ma lo sconfitto, attuale primo ministro, ha annunciato ricorso e la
partita non è ancora del tutto chiusa.
La crisi Ucraina si pone alla confluenza di due fasi
storiche.
La prima fase, ormai largamente completata, è quella
della restaurazione del capitalismo in Ucraina come nell’insieme dell’ex
Urss. L’altra fase è quella che si sta aprendo nei rapporti tra la Russia
capitalista in cerca di stabilizzazione e di crescita come grande potenza e
l’imperialismo.
L’Ucraina indipendente, nata con il collasso dell’Urss
nel 1991, ha seguito il medesimo percorso della Russia nel processo di
restaurazione del capitalismo a vantaggio della vecchia burocrazia dominante,
che ha provocato un disastro sociale. Basti pensare che la media di variazione
del Pil dal 1990 al 2000 è stata del 8,2 per anno: oltre i due terzi
dell’economia ucraina quale era alla fine dell’epoca “sovietica” sono
stati distrutti nel processo di restaurazione del capitalismo. Solo dopo questo
immane disastro (superiore a quello dell’economia russa che si è
all’incirca dimezzata) è iniziata una ripresa economica sostenuta che però
ha ricuperato solo circa un 30 % del Pil perduto.
I due candidati dei clan affaristico-mafiosi della
neoborghesia ucraina
In questo quadro i due politici in conflitto non
rappresentano dal punto di vista sociale nessuna ipotesi realmente alternativa.
Sono entrambi candidati borghesi, ex primi ministri dello stesso presidente,
Kuchma., un vero e proprio criminale colpevole di aver fatto assassinare due
giornalisti che denunciavano la sua corruzione politica e materiale. Essi
rappresentato diverse cricche capitalistiche i cui interessi differenti si
intrecciano con elementi di contraddizione sia storici sia contemporanei, legati
sia al processo di restaurazione del capitalismo, sia all’evolversi del quadro
dei rapporti tra l’imperialismo occidentale e la nuova Russia capitalistica di
Putin.
La realtà dell’Ucraina si è costruita nel corso dei
secoli in rapporto anche alla contesa costante sul suo territorio tra le potenze
confinanti (Russia, Polonia, Lituania, khanati mongolo-tatari, Turchia,
Austria). È stato questo che le ha dato rispetto alla Russia una sua identità
nazionale, che le fu pienamente riconosciuta, dopo secoli di oppressione, dalla
rivoluzione bolscevica: si creò la Repubblica Socialista Sovietica Ucraina che
poi si fuse con la Russia nell’ambito dell’URSS, mantenendo il suo status
di repubblica dell’Unione. In realtà l’Ucraina fu quella che pagò più
duramente il prezzo dell’allucinante politica stalinista, non solo nelle
“purghe” politiche, ma anche nella assurda e avventuristica politica della
“collettivizzazione forzata” della terra dei primi anni ‘30 che provocò
carestie con milioni di morti. L’odio antirusso era quindi fortemente sentito
alla fine degli anni ’30. La terribile oppressione nazista durante
l’occupazione, moderò in parte questi sentimenti di ostilità senza
distruggerli. Così si spiega perché non vi furono obiezioni alla scelta della
nomenklatura ucraina di rendere lo stato indipendente nel 1991. Mentre la
maggioranza della popolazione accolse sostanzialmente la decisione, la
popolazione russa (quasi il 20% del totale) e ucraina ma russofona (almeno un
altro 20%) - largamente maggioritaria nell’est e nel sud del paese e invece
quasi totalmente assente nel centro e nell’ovest (salvo la città di Kiev,
dove russi e russofoni sono il 30% circa) - accettò passivamente la rottura con
Mosca (unica eccezione fu la Crimea, regione popolata quasi esclusivamente da
russi e tartari, che non faceva parte originariamente dell’Ucraina, ma che le
fu trasferita da Krusciov nel 1954 ).
Tuttavia con la restaurazione del capitalismo e le
sofferenze che questa ha imposto alla classe operaia e alla popolazione in
generale era inevitabile che tale contraddizione si rafforzasse, anche perché
il differenziale sociale con la Russia (anch’essa disastrata dalla
restaurazione) si è approfondito (nel 2001 il Pil per abitante era di 4350
dollari in Ucraina, contro 7100 in Russia) e il periodo in cui Yuschenko è
stato primo ministro è ricordato dalla classe operaia delle regioni dell’est
come quello della più drastica politica neoliberale, con massicci
licenziamenti. Su questo è basato il sostegno ottenuto da Janukovic nel sudest
del paese. In realtà, Janukovic è un politico che rappresenta pienamente i più
forti gruppi dell’“oligarchia” capitalistica. Le regioni orientali e
meridionali sono infatti da sempre le più industrializzate del paese, sono oggi
le meno povere e la sua borghesia è fortemente collegata con quella russa, che
negli ultimi anni ha fatto importanti investimenti di capitale in queste zone.
Janukovic rappresenta il cosiddetto “clan di Donetsk” cioè una mafia di
oligarchi capitalisti di tale città e regione capeggiata dal più ricco dei
cittadini dell’Ucraina, Rinat Akhematov. Tale clan è in alleanza con un
analogo clan capitalistico detto di Dnipropretovsk, diretto dal figlio adottivo
del presidente Kuchma, Victor Pinchuk. Infine legato ad essi è anche il “clan
di Kiev”, diretto da Victor Medechuk, capo dell’amministrazione
presidenziale uscente e da Grigory
Surkis, patron della squadra di calcio “Dinamo”.
Quanto a Yuschenko, è noto il suo legame con
l’imperialismo, che ha ampiamente finanziato la sua campagna elettorale e la
mobilitazione contro i brogli del secondo turno. Tra i suoi seguaci sono
presenti settori apertamente fascisti. La natura sociale del gruppo di Yuschenko
è evidenziata in primo luogo dalla presenza al suo fianco di Julia Timoshenko e
del suo blocco politico. Julia Timoshenko è una delle piu ricche
“oligarche” capitaliste del paese; ha fatto parte del governo (fine anni
’90) sotto il primo ministro Pavel Lazarenko. Questi rubò talmente che fu
incriminato, fuggì dal paese negli Usa, dove è attualmente in prigione; il
marito della Timoscenko è in prigione in Ucraina per reati finanziari e la
Timoscenko stessa è sulle liste dei ricercati dell’Interpol per analoghi
motivi.
Le divisioni nella popolazione ucraina e le
responsabilità della sinistra neostalinista e riformista.
Nella divisione attuale nella popolazione ucraina i
fattori etnici, linguistici, culturali, religiosi hanno certamente un ruolo. Ma
è la questione sociale e le illusioni su di essa che hanno un ruolo centrale.
La popolazione e la classe operaia del Sudest temono, giustamente, la politica
neoliberale di Yushenko, ma anche di perdere la loro situazione di minor povertà
nei confronti del resto del paese, che pensano verrebbe privilegiato in un
processo di avvicinamento all’Ue, mentre considerano il rafforzamento dei
legami con la Russia come una garanzia del mantenimento dei pur miseri livelli
occupazionali e salariali presenti. D’altro lato la popolazione e la
relativamente piccola classe operaia del centro-ovest s’illude di poter
conoscere grazie all’Ue uno sviluppo economico e sociale e un riequilibrio nei
confronti delle regioni russofone.
Cosi le masse e il proletariato sono stati incapaci a
tutt’oggi di esprimere una prospettiva indipendente e si sono legati ai due
candidati capitalistici e alle loro due prospettive reazionarie. In questo ha
una responsabilità grave la sinistra ucraina. Dopo la dissoluzione dell’Urss
e la trasformazione in rappresentanti diretti della nuova borghesia dei vecchi
uomini dell’oligarchia stalinista, i settori “perdenti” della vecchia
burocrazia avevano dato vita a nuove formazioni di “sinistra” riformiste. Si
è trattato del neostalinista Partito Comunista Ucraino, del Partito Socialista
e del Partito Socialista Progressista. Forze politiche che alla fine degli anni
’90 sono riuscite a guadagnare il sostegno di circa un terzo
dell’elettorato, con in primo luogo il Pcu che superava il 20% dei voti (il Ps
sul 6-7% e il Psp sul 3-4%). Ma i gruppi dirigenti di queste formazioni,
rifiutando di indicare una prospettiva anticapitalistica e socialista in totale
opposizione a tutte le forze borghesi, hanno consegnato loro le masse popolari.
Il Ps, spostato sempre più a destra dal suo segretario Moroz, è giunto a
sostenere “criticamente” al secondo turno Yuscenko. Dall’altro lato il Psp
di Natalya Vitrenko ha appoggiato ufficialmente Janukovic. Quanto alla forza più
importante, il Pcu, essa sconta una politica di opposizione più formale che
sostanziale a Kuchma-Janukovic, analoga a quella del confratello Partito
Comunista della Federazione Russa nei confronti di Putin e l’assenza, come
detto, di ogni programma realmente anticapitalistico. Esso ha pagato questa
politica con un tracollo elettorale, scendendo al 5% del primo turno delle
presidenziali, rispetto al 22% circa delle presidenziali precedenti e al 20%
delle legislative del 2002. Quanto al secondo turno delle presidenziali il
presidente del partito Simonenko ha preso una posizione di cauta ambiguità ma
le direzioni delle regioni del sudest, che rappresentano il terreno di forza
centrale del partito, hanno appoggiato apertamente Janukovic.
La valenza internazionale della crisi ucraina e il
programma dei marxisti rivoluzionari
La crisi ucraina ha riportato l’attenzione mondiale non
solo per l’importanza intrinseca ma perché è stata al centro di tensioni
nuove e crescenti tra gli imperialismi occidentali e la Russia. È chiaro che
l’obiettivo di Putin e del
settore neoborghese che egli rappresenta è quello di ricreare per la Russia un
ruolo di grande potenza se non propriamente imperialista. Putin ha concesso
molto all’imperialismo a causa della debolezza attuale della Russia, ma è
evidente che sta tentando di avanzare, a passo di tartaruga, nel suo progetto.
Molti fatti, dal caso Yukos, alla costruzione del missile più potente del
mondo, alla ipotesi di “alleanza regionale” con Bielorussia, Kazakistan e
Ucraina e il collegato intervento sulle elezioni in questo paese, sono lì a
dimostrarlo. Al momento, con l’elezione di Yuschenko, Putin sembra aver perso
una battaglia centrale. Ma le prossime settimane saranno decisive per vedere se
subirà adattandosi, o cercherà di intervenire per cambiare la situazione,
acuendo le tensioni con Usa e Ue. Ma è fondamentale è che il movimento
operaio, tanto internazionale che russo che ucraino, non si “schieri”. La
salvezza non verrà dalla sviluppo della Russia come grande potenza
capitalistica, ma dalla creazione di una alternativa rivoluzionaria e socialista
da parte del proletariato. In Ucraina ciò implica la lotta per costruire,
contro il disastro del neostalinismo e la collaborazione di classe, un partito
marxista rivoluzionario che indichi la via non nell’alleanza col borghese
reazionario “meno peggio”, ma nella lotta contro tutte le frazioni borghesi
per gli autonomi interessi e bisogni del proletariato, per la risocializzazione
dell’economia ucraina non sotto gestione burocratica ma sotto quella del
proletariato organizzato in consigli, per il potere di questi ultimi e quindi
per la vera dittatura del
proletariato.
In questo quadro i marxisti rivoluzionari devono
contrastare l’ipotesi della divisione su basi etnico-linguistiche
dell’Ucraina (salvo il caso speciale della Crimea che per la sua storia ha
diritto all’autodeterminazione), sostenendo con intransigenza, nel contempo,
la corretta richiesta del popolo del sudest del paese di avere riconosciuto il
russo come seconda lingua ufficiale dello Stato. E alle contraddittorie ma
simmetriche illusioni della masse, da un lato nella Ue e dall’altro nella
Russia, devono contrapporre la prospettiva strategica per uscire dal caos e
dalla miseria della restaurazione capitalistica e della crisi internazionale:
gli stati uniti socialisti d’Europa, dal Portogallo alla Siberia.