(sintesi)
Il cuore del
congresso
Il cuore di
questo congresso è la svolta di governo col centrosinistra (Gad) che la
Segreteria Nazionale del nostro partito persegue e propone.
Consideriamo
questa proposta molto grave.
Siamo tutti in
prima fila a rivendicare la cacciata di Berlusconi. Lo proponemmo già,
all’ultimo congresso, contro il parere della maggioranza dirigente. Ma un
conto è cacciare Berlusconi, un conto è governare con Prodi. Un conto è
cacciare Berlusconi dal versante di lotta dei lavoratori e dei movimenti di
questi anni, un conto è cacciare Berlusconi dal versante di Luca di Montezemolo
e di Confindustria.
No alla svolta
di governo Prodi-Montezemolo
A differenza di
tutte le altre mozione, anche “critiche”, lo vogliamo dire chiaro: dietro il
centro liberale dell’Ulivo (Margherita, maggioranza Ds, Sdi), ci sono i poteri
forti del Paese, a partire dalle grandi imprese e dalle grandi banche (Banca
Intesa, Unicredito, San Paolo, Monte dei Paschi…). Poteri che vogliono
scaricare Berlusconi solo per rimpiazzarlo con un proprio governo: un governo
capace di riportare la Cgil al tavolo della concertazione antioperaia, di
riconquistare la pace sociale contro le lotte di questi anni; di rilanciare il
capitalismo italiano sul mercato mondiale e dentro il polo imperialistico
europeo, contro i popoli oppressi e la loro resistenza, su una linea negoziale
con l’imperialismo USA e con lo stesso Bush.
Se ci offrono
ministeri è per corresponzabilizzarci a questa politica. Accettare i ministri
significa accettare di essere responsabili di questa politica. Così, in nome
della non violenza ghandiana e del rifiuto di Lenin e della “conquista del
potere”, ci candidiamo a subordinarci al potere esistente e alla sua violenza.
Non è forse per
questo che tutta la stampa liberale plaude alla “svolta di Bertinotti”, nel
disorientamento profondo del nostro partito e delle realtà più combattive dei
movimenti?
Una svolta che
non ci sorprende
Non siamo
sorpresi da questa svolta.
Quando al IV e V
Congresso si celebrava la rottura con Prodi e la retorica dei movimenti come
“svolta strategica a sinistra” del partito; quando dirigenti oggi
“critici” (Erre-mozione “Sinistra Critica”) avallavano questa
rappresentazione, parlando addirittura di “scelta rivoluzionaria” di
Bertinotti, noi dicevamo controcorrente che “chi non fa un bilancio dei propri
errori è destinato a ripeterli”; che la rottura con Prodi e il movimentismo
erano in realtà finalizzati a recuperare spazio e forza negoziale per
riproporre un orizzonte di governo; che la stessa assurda cancellazione della
categoria marxista di “imperialismo” mirava a sgomberare la via, sul piano
ideologico, a una prospettiva di governo con l’imperialismo italiano.
Per aver detto
questo fummo accusati di pregiudizio. Ora parlano i fatti.
Una battaglia
di democrazia (da altri disertata)
Già un anno e
mezzo fa, di fronte al varo della svolta, facemmo appello ai compagni/e del
partito, al di là di ogni steccato di mozione, per chiedere unitariamente un
Congresso straordinario del Prc che desse a tutti il diritto di decidere la
strada da intraprendere. Con lo stesso spirito, al Cpn del 30 e 31 ottobre
scorso abbiamo chiesto la sospensiva della partecipazione del Prc alla Gad, per
garantire al Congresso una sovranità decisionale. Purtroppo questo appello
democratico unitario ed elementare, rispettoso di ogni opinione di merito, è
stato ogni volta respinto non solo dalla Segreteria Nazionale ma dai dirigenti
oggi “critici” di Ernesto ed Erre (e per ciò che riguarda la richiesta di
Congresso straordinario dallo stesso gruppo di Falcemartello). E’ stata una
responsabilità grave che ha anteposto interessi reali o presunti di componente
ai diritti democratici di tutto il partito, a esclusivo vantaggio della svolta
governista.
La nostra
proposta alternativa
Ma tanto più ora
è necessaria una chiara contrapposizione politica alla svolta. Non è
sufficiente “criticarla”. E’ necessario opporle una proposta politica e
strategica alternativa, che abbia al centro la salvaguardia e il rilancio del
nostro partito come partito di classe: un partito nato quindici anni fa come
“cuore dell’opposizione” non può finire tra le braccia di Prodi e della
Confindustria.
Cacciare
Berlusconi dal versante dei lavoratori. Nessun sostegno a un governo Prodi
Il Prc deve
lavorare alla cacciata di Berlusconi dal versante dei lavoratori e non dei
padroni. Deve essere disponibile a forme di accordo elettorale puramente tecnico
per le sconfitta delle destre. Non può essere disponibile, in alcun modo e per
nessuna ragione, a partecipare a un secondo governo Prodi o a sostenerlo.
L’opposizione
comunista e di classe a un governo liberale non può essere messa in
discussione.
Si tratta di un
principio di fondo del marxismo e del movimento comunista. E’ un principio
convalidato da tutta l’esperienza storica, e tanto più attuale nell’odierna
epoca di crisi capitalistica e di guerre, che ha chiuso ogni spazio riformistico
e che vede tutti i governi della classe dominante –di destra, di
centrosinistra, di “sinistra”- gestire, in forme diverse, le stesse
politiche controriformatrici (Jospin e Lula compresi).
Occorre essere
chiari: un governo Prodi sarebbe il governo della settima potenza imperialista
del mondo, dentro l’Europa di Maastricht e dentro la Nato, contro i lavoratori
italiani e i movimenti di liberazione. Proporre “condizioni minime” per
entrarvi (come fa L’Ernesto- mozione “Essere Comunisti) o per sostenerlo
(come fa Erre-“Sinistra Critica”) significa avallare la svolta di Bertinotti
sotto una cortina di frasi “critiche”. Significa riproporre l’esperienza
tragica del primo governo Prodi, che dall’esterno e senza ministri ci vide
sostenere (col voto de L’Ernesto) il "Pacchetto Treu", i campi di
detenzione per gli immigrati, le finanziarie di “lacrime e sangue”.
Di fronte a un
governo Prodi-Montezemolo si sta o di qua o di là: non c’è spazio per
contorsioni ed equilibrismi.
Per un polo
autonomo di classe, unitario e anticapitalistico.
Il Prc deve fare
appello a tutti i protagonisti di una stagione di lotte, a tutti i movimenti e
alle loro organizzazioni e rappresentanze, sindacali e politiche, a rompere col
centro liberale dell’Ulivo e a unire nell’azione le proprie forze attorno ad
un polo autonomo di classe: che in piena autonomia dai liberali, vari una
piattaforma di mobilitazione radicale per la cacciata del governo Berlusconi e
un programma di alternativa vera.
E’ una proposta
che contrappone l’unità di lotta del mondo del lavoro e dei movimenti
all’unità concertativa col padronato e i liberali contro i lavoratori e i
movimenti.
Occorre essere
chiari: non si tratta di chiedere ai movimenti e alla “sinistra di
alternativa” di fare “più pressione” sui liberali con proprie proposte e
lotte in funzione di un accordo politico (come propongono Ernesto ed Erre). Si
tratta di far leva sulle lotte e sulla domanda di svolta di milioni di
lavoratori e di giovani per rivendicare la rottura con i liberali e col blocco
di interessi che rappresentano. Per sfidare tutte le direzioni e rappresentanze
del movimento operaio a scegliere con chiarezza da parte stare.
Ancora una volta:
o di qua o di là.
Per una linea
di massa alternativa alla politica dei vertici CGIL
Il Prc deve
orientare la propria azione di massa nei movimenti e nelle loro organizzazioni
sulla base della proposta del polo autonomo di classe. Contrastando con la
propria battaglia di egemonia alternativa il disegno del centrosinistra di
subordinare i movimenti all’alternanza. E quindi lottando contro la linea di
recupero della concertazione sindacale e politica.
Ciò significa
sviluppare una proposta alternativa alla linea della burocrazia Cgil: una
proposta che raccolga le potenzialità radicali emerse nelle lotte (Melfi) in
direzione di una vertenza generale contro padronato e governo. Una vertenza che
unisca in una lotta a oltranza l’insieme del mondo del lavoro, superando
l’attuale frammentazione di scioperi simbolici e inconcludenti.
Occorre
chiarezza: come ci si può dichiarare “critici”, magari in nome del
movimento, e non avanzare alcuna proposta di linea alternativa sulla gestione
complessiva delle lotte (Erre)?; o addirittura salutare con entusiasmo
l’abbandono di ogni critica del Prc alla Cgil (L'Ernesto)?
Un partito di
classe o un partito di assessori?
Il Prc deve
modificare l’indirizzo della sua politica locale in direzione di un recupero
della propria autonomia. Proponendo in vista delle elezioni regionali
candidature di classe alternative ai candidati liberali dell’Ulivo e alle
coalizioni col centro, sulla base di programmi legati alle ragioni dei movimenti
e delle lotte.
Occorre essere
chiari: non si può pretendere di essere alternativi alla prima mozione (“Per
una alternativa di società”) e poi avallare (Erre) o gestire in prima persona
(Ernesto) gli accordi regionali con i Loiero, i Marrazzo, i Burlando, i Carraro,
i Martini…Tutti accordi dettati dalla prospettiva nazionale della Gad.
Anche sul piano
locale vale il criterio della coerenza: o con le ragioni dei movimenti o con i
portavoce dei poteri forti. O un partito di classe o un partito di assessori. In
mezzo al guado non si può stare.
Per la difesa
di tutti i popoli oppressi contro l’imperialismo.
Per
l’alternativa operaia e socialista internazionale.
Per una
rifondazione comunista e non socialdemocratico-ghandiana (o togliattiana).
Il Prc deve
realizzare una svolta sul terreno della propria politica internazionale, sulla
base della difesa incondizionata del diritto di resistenza all’imperialismo da
parte di tutti i popoli oppressi (a partire dal polo irakeno e palestinese) e di
un legame tra questa azione di difesa e la prospettiva centrale
dell’alternativa operaia e socialista sul piano internazionale.
Occorre essere
chiari: non si può rivendicare “il comunismo” (Ernesto) e “la crisi del
riformismo” (Erre) e poi avallare la vecchia illusione di un’Europa sociale,
democratica e di pace in ambito capitalistico, o di accordi “equi” tra
imperialismi e popoli oppressi. Una politica comunista deve liberare le masse da
queste illusioni, non alimentarle. Solo una prospettiva rivoluzionaria
anticapitalista e socialista, solo un’alternativa di potere delle masse
oppresse in ogni Paese e su scala internazionale può dare uno sbocco reale alle
esigenze di fondo dei lavoratori, delle masse femminili, dei giovani, dei popoli
oppressi e dei loro movimenti di liberazione. Solo una prospettiva socialista può
dare soluzione progressiva ai drammi della fame, delle guerre, della
devastazione dell’ambiente. Ogni altra “soluzione” riformista, cosiddetta
“concreta”, è pura utopia e astrazione ideologica. Tanto più
nell’attuale condizione storica di crisi e dopo il crollo dell'Urss.
Peraltro solo sul
terreno della lotta radicale per un’alternativa anticapitalista è possibile
strappare risultati parziali e riforme e difendere vecchie conquiste. Collegare
ogni lotta immediata e difensiva
a questa prospettiva generale è il compito centrale di un partito
comunista.
Alla rifondazione
socialdemocratico-ghandiana promossa da Bertinotti va opposta la rifondazione
comunista. Non la rifondazione togliattiana (Ernesto) o la mitologia “in
declino” di Porto Alegre (Erre).
Cinque i
documenti, due le proposte.
Cinque sono i
documenti, due le reali posizioni strategiche alternative: la proposta della
prima mozione (Bertinotti) e la proposta della terza mozione (“Per un Progetto
Comunista”).
La proposta della
svolta governista e la proposta del rilancio dell’opposizione di classe.
La proposta di
una rifondazione socialdemocratico-ghandiana e la proposta di una rifondazione
comunista e rivoluzionaria.
La nostra non è
solo –ci pare- l’unica proposta conseguentemente alternativa alla prima
mozione, ma è una proposta che resterà a sinistra coerentemente anche dopo il
Congresso: per difendere come sempre, sino in fondo, il nostro partito come
partito dei lavoratori. Fuori dunque da ogni compromesso negoziale con la linea
governista del segretario, e fuori da ogni logica autoconservativa di componente
o di setta.
Con questo
spirito ci rivolgiamo nel modo più aperto a tutti i compagni e le compagne del
Prc al di là di ogni steccato. Per l’oggi e per il domani.