Repressione
e movimento: la necessita’ del rilancio della lotta di classe
di
Francesco De Simone
Nella
notte fra il 15 e il 16 novembre scorso, venti persone sono state arrestate
e circa quaranta indagate nel corso di un’operazione di polizia. Sono
compagni, attivisti, giornalisti, ricercatori, professori che sono stati
prelevati nel cuore della notte dalle proprie abitazioni e trasferiti nelle
carceri di massima sicurezza di Trani e Viterbo. Ad essi viene mossa
l’accusa di “attività sovversiva volta a turbare l’ordinamento
economico dello stato”: la carcerazione per direttissima è giustificata
dal pericolo di fuga e dal pericolo di annacquamento delle prove.
Un
provvedimento a dir poco sconcertante perché, oltre ad essere stato
eseguito senza alcun fondamento reale - come testimonia il fatto che i
fascicoli dell’indagine sono stati sottoposti prima al vaglio di altre
procure italiane (Genova, Napoli e Torino) che li hanno ritenuti solo
spazzatura -, evidenzia una forte sproporzione tra i reati effettivamente
contestati (danneggiamenti, resistenza a pubblico ufficiale, “occupazione
di suolo pubblico”, “lancio di ortaggi”) e l’accusa: cospirazione
politica attraverso associazione, “propaganda sovversiva”, associazione
sovversiva mirata a sovvertire violentemente l’ordine economico e a
turbare l’attività di governo. In altre parole, tutto ciò sta a
significare opinione non conforme alle scelte del governo.
Accuse
da Codice Rocco, degne delle peggiori dittature, dei peggiori tribunali
militari fascisti che ci riportano subito alla mente momenti drammatici
nella storia del movimento operaio. Evidente è la continuità con quella
strategia del terrore che da sempre settori occulti e meno occulti
dell’ordine capitalista borghese pongono in essere per criminalizzare,
disperdere e isolare il movimento, soprattutto in momenti come questi di
risveglio delle lotte sociali con dimensioni di massa.
Si
è voluto colpire il movimento, in una zona dove si credeva più debole e
meno organizzato e quindi difficilmente capace di reagire a questo tipo di
provocazione. Si è voluto dare una risposta netta rispetto a ciò che
accadde nelle giornate di Genova e Napoli, un atto di ritorsione verso
coloro che si erano esposti nell’aver denunciato le violenze perpetrate
dalle forze dell’ordine.
Colpi
proibiti ma necessari, che dovevano essere scagliati perché questo
movimento, seppur “egemonizzato” da componenti assolutamente incapaci di
condurre una battaglia per la reale costruzione di un altro mondo possibile
(che per noi si chiama Socialismo), sta cominciando a divenire un forte polo
di attrazione per una nuova generazione che oggi irrompe sulla scena
politica.
Colpi
necessari perché bisognava, in qualsiasi modo, impedire la saldatura tra
movimento e conflitto sociale in atto nel paese, in quanto numerosi settori
della classe operaia scendono in piazza ed annunciano battaglia, in risposta
agli attacchi del governo e dei padroni, ma soprattutto in risposta ai
licenziamenti (esemplare è il caso degli operai Fiat di Termini Imerese) ed
alla guerra imperialista che gli USA ed i suoi alleati europei preparano
contro l’Irak. Si èvoluto reprimere il movimento, dunque, in una fase in
cui questo ha dato prova della propria forza, nella straordinaria
manifestazione di Firenze contro la guerra, con circa un milione di persone
presenti.
Agli
arresti non si è fatta attendere la reazione dell’intero movimento che ha
espresso la propria indignazione, tentando da subito di far capire
all’opinione pubblica per quali ragioni compagni innocenti sono stati
trattati come dei terroristi: ovvero, per il semplice fatto di aver espresso
il proprio dissenso verso lo stato di cose presente.
Una
risposta decisa è venuta dal tessuto sociale e dalle molte sensibilità
antagoniste presenti sul territorio, nonché dalle numerosissime
manifestazioni di solidarietà organizzate in diverse città, permettendo
così che i fatti di Cosenza assumessero una rilevanza nazionale.
In
particolare l’Università di Cosenza, dopo essere stata vittima
inconsapevole dell’arroganza poliziesca, ha aperto i propri spazi fisici e
comunicativi alle dinamiche di movimento, divenendo per un giorno sede di un
ampio dibattito nazionale protrattosi per più di quattro ore, alternando i
molti interventi delle realtà locali con gli interventi degli esponenti
nazionali del movimento. I temi di fondo toccati si sono sostanzialmente
concentrati sugli aspetti della repressione, del sud e sulle proposte
politiche da portare avanti, chiedendo la liberazione immediata di tutti gli
arrestati, l’abolizione dei reati di opinione, le dimissioni di De Gennaro
e l’apertura di un’inchiesta sui Ros, affinché si possa fare luce sulla
gestione dell’ordine pubblico rispetto ai fatti di Genova e di Napoli.
Una
Cosenza solidale e aperta, espressione forse un po' inaspettata del consenso
popolare che oggi questo movimento esprime, e la manifestazione nazionale
del 24 novembre ne ha rappresentato il banco di prova, perché oltre ad
essere stata fortemente partecipata (quasi 100.000 persone presenti) ha
fatto rivivere momenti particolarmente significativi come quelli che
caratterizzarono la manifestazione contro la guerra di Firenze. Una città
in festa, che ha letteralmente accolto i manifestanti giunti da ogni parte
d’Italia, che ricorderà questa giornata come uno dei momenti più
importanti della propria storia.
Un
movimento, dunque che pone questioni e che riscuote consensi, ma che non
riesce ancora a far proprio un programma di alternativa volto a minare
realmente le basi di questo sistema.
Bisogna
perciò lavorare come comunisti in questo movimento, per strappare le classi
subalterne da ogni proposito disfattista e per far comprendere la necessita
di prospettare un programma apertamente anticapitalista, l’unica strada
percorribile per poter mettere fine alla miseria crescente e allo
sfruttamento che la classe dominante scarica sulle spalle del proletariato
mondiale, da una parte aggredendo i livelli di sicurezza sociale raggiunti
dalla classe operaia, dall’altra scatenando sempre più frequentemente
guerre imperialiste volte al rilancio delle spese di guerra e per garantirsi
il dominio di importanti risorse.
Proprio
di questo ci parlano le migliaia di licenziamenti alla Fiat e della altre
imprese dell’apparato industriale italiano, proprio di questo ci parla la
repressione attuata dal Gip di Cosenza, ovvero dell’impossibilità di
poter convivere con un sistema pronto a reprimere qualsiasi voce di
dissenso, seppur riformista e subalterna, si levi dalla società contro
l’ordine costituito.
E’
pertanto necessario condurre una battaglia di egemonia anticapitalista, per
il rilancio della lotta di classe, lontana da ogni ipotesi riformista (Tobin
Tax, Bilancio partecipativo), che riporti al centro della discussione in
seno al movimento la centralità del conflitto tra capitale e lavoro.
Non
si può parlare di un altro mondo possibile, senza cercare di combattere la
logica del profitto.
Non si può pensare di minare le basi della struttura economica del
capitalismo e dei suoi padroni senza cercare si spezzare le reti degli
imperi finanziari che tengono sotto scacco soprattutto la vita dei paesi
meno sviluppati, impedendone lo sviluppo e contenendone le potenzialità di
cambiamento. Né tanto più può essere pensabile proporre quote di una
maggiore partecipazione popolare (magari con una valenza meramente
consultiva) senza mettere in discussione i nodi del potere, della grande
proprietà, dei mezzi di produzione.
A
questo proposito è importante evidenziare l’esperienza argentina delle
fabbriche occupate sotto il controllo dei lavoratori (una delegazione
operaia della Zanon, un’azienda di ceramiche in autogestione da circa un
anno, era presente alla manifestazione di Cosenza) e la nascita di alcune
forme di contropotere popolare (assemblee di barrio) sviluppatesi dopo la
cacciata di ben tre governi, che hanno permesso a molti settori, fino a quel
momento subalterni e marginali, di determinare realmente alcune scelte
importanti per il paese e mantenendo le distanze da ogni compromissione con
il potere.
Tutto
questo però è stato possibile solo grazie all’opera del movimento
Piqueteros e di piccole avanguardie rivoluzionarie come il Partito Obrero,
che sono riuscite ad educare le masse oppresse sulla necessità di adottare
un programma dichiaratamente anticapitalista (azzeramento del debito estero,
nazionalizzazione delle banche, nazionalizzazione senza indennizzo e sotto
il controllo dei lavoratori per le aziende in crisi…) e permettere ad un
paese martoriato di rialzare la testa.