Articolo
18 e lotte operaie
La realtà del cofferatismo dietro il mito
di Bruno Manganaro
Si
avvicina l’appuntamento referendario riguardante l’allargamento dell’art.
18 a tutti i lavoratori e lavoratrici, in altre parole a centinaia di migliaia
di dipendenti delle imprese sotto i 15 dipendenti. Un referendum voluto da
Rifondazione Comunista cui ha aderito la Fiom e la sinistra sindacale della CGIL
(LavoroSocietà). Superati tutti i passaggi di validazione del referendum ci
attende ora la campagna elettorale.
Quest’appuntamento
s’inserisce nella stagione di lotta che si è aperta da circa dieci mesi
proprio con l’attacco che il governo Berlusconi ha lanciato contro la classe
operaia ha partire dalla possibilità di licenziare senza giusta causa. Un
attacco che è proseguito con ulteriori flessibilità nel mercato del lavoro,
aggravando il già pesante fardello del "pacchetto Treu" (non
dimentichiamolo, votato, per mantenere il sostegno al governo Prodi, anche dal
nostro partito), privatizzando integralmente il collocamento (iniziato con i
governi di centrosinistra in particolare con il ministro del lavoro Salvi),
privatizzando la sanità, smantellando la scuola pubblica, varando la legge
razzista Bossi-Fini sull’immigrazione, costruendo una finanziaria che parla di
regali alle imprese, alle rendite ed ai profitti e per i lavoratori e le
lavoratrici parla di cassa integrazione e tetti salariali, questi ultimi
rivendicati dal governo sulla base della concertazione e degli accordi del
luglio 1993.
Un
attacco pesante che ha visto negli ultimi mesi aggiungersi i licenziamenti di
massa con la vicenda Fiat, Marconi, Cirio e con centinaia di piccole e medie
aziende ad esse collegate. Ma anche in questi casi cosi come nelle altre vicende
da un anno a questa parte, i lavoratori si sono mobilitati con lotte molto dure
esprimendo la loro rabbia ma anche la loro forza, cui non ha corrisposto però
una piattaforma di lotta adeguata (nazionalizzazione delle fabbriche in crisi;
riduzione orario di lavoro; trasformazione di tutti i contratti atipici in tempo
indeterminato; salario minimo garantito ai disoccupati; aumenti salariali pari a
200 Euro uguali per tutti; difesa della scuola e sanità pubblica; sanatoria
immediata per tutti gli immigrati -questa la piattaforma che come Progetto
comunista abbiamo più volte argomentato). La lotta non ha visto una capacità
di generalizzare le singole vertenze elevando il conflitto con l’occupazione
delle fabbriche in crisi e lo sciopero prolungato ponendosi l’obiettivo della
cacciata del governo Berlusconi, non ha visto una direzione sindacale che
volesse fare un vero salto di qualità rompendo con la concertazione e con la
politica del centrosinistra degli anni Novanta.
L’Ulivo
ha fatto di tutto per controllare l’impeto della classe operaia per dimostrare
al capitalismo italiano d’essere l’unico seria alternativa al Polo delle
Libertà ed il nostro partito si è presentato certo con un’immagine più di
sinistra ma condizionato ed appesantito dalla volontà di interloquire con la
sinistra DS e Cofferati in vista dei prossimi appuntamenti elettorali, moderando
le sue rivendicazioni, le denunce del cofferatismo, la capacità di costruzione
autonoma del partito e del suo radicamento sociale.
Quest’impasse
sta mettendo a rischio le potenzialità del movimento operaio.
L’appuntamento
referendario sull’art.18 per tutti i lavoratori e le lavoratrici può essere
uno strumento utile se lo inseriamo in una battaglia politica più ampia, che
rilanci le lotte sulla base di una piattaforma alternativa, ma anche con la
necessità di una direzione alternativa per il movimento operaio che non ha
bisogno di “nuove” socialdemocrazie che creino illusioni, che continuano
invece a marciare dentro le compatibilità capitalistiche preparando solo
ulteriori sconfitte.
Per
i comunisti, l’estensione dell’art.18 a tutti ed a tutte è una
rivendicazione di classe che deve vivere nelle piattaforme e nelle lotte del
movimento operaio e che trova nell’appuntamento elettorale il punto finale in
cui registrare nuovi rapporti di forza di questa classe, della nostra classe
contro il padronato italiano. Perché ciò avvenga occorre che
all’appuntamento della prossima primavera il movimento dei movimenti che per
me si chiama classe operaia sia in piedi, che i licenziamenti alla Fiat come in
tutte le altre imprese siano respinti, che la stagione dei contratti parli di
forti aumenti salariali, che il movimento degli studenti contro la scuola
privata, così come quello degli immigrati contro le espulsioni di massa e il
movimento contro la guerra si leghino ai lavoratori ed alle lavoratrici in
lotta, che un partito comunista, il PRC non deleghi all’appuntamento
elettorale la sua proposta politica, d’azione e radicamento sociale nel mondo
del lavoro: altresì denunci fin da ora tutto il centrosinistra, Cofferati
compreso, nell’opera d’ingabbiamento delle lotte e delle rivendicazioni
operaie e organizzi l’intervento nel movimento dei lavoratori.
In
particolare sul cofferatismo va fatta chiarezza poiché rappresenta
un’illusione sulla possibilità della costruzione di un soggetto politico che
rompa con la storia di questi anni. Un’illusione che attraversa i lavoratori,
il movimento no global, settori del nostro partito e che vede il gruppo
dirigente del PRC immaginare di poter interloquire con la stella Cofferati
magari per garantirsi un ruolo nelle prossime campagne elettorali. Siamo in
presenza di un’operazione che, nel riconfermare l’Ulivo quale miglior
gestore del sistema capitalistico, ricorda al centrosinistra che non si può
completamente rompere con la propria base sociale e che anzi la capacità di
controllo del movimento operaio è la migliore referenza nei confronti della
borghesia per potersi candidare alla guida del governo. L’abilità di
Cofferati è aver compreso che per far ciò era necessario ridare voce ai
lavoratori, ai giovani, ai vari movimenti che erano schiacciati ed insofferenti
da anni di politiche liberiste e di cedimenti delle proprie direzioni sindacali
e politiche, ma tutto ciò andava costruito sotto un rigido controllo,
centellinando lotte e mobilitazioni affinché queste dimostrassero la loro forza
senza però mettere in crisi il padronato italiano.
In
tutto ciò la contrarietà all’estensione dell’art 18 non rappresenta un
incidente di percorso, ma la conferma che non si vuol mettere in crisi la
piccola impresa che rappresenta un pezzo importante del sistema industriale
italiano, ma anche una modo in cui la grande impresa ha inteso costruire il
capitalismo in Italia. Una piccola impresa che, come ricorda giustamente il
Sole 24 ore, è anche base sociale del
centrosinistra in varie regioni italiane. Ma mentre Cofferati sostiene questa
posizione, continua la propria battaglia per l’egemonia nei movimenti che
permetta di presentarsi come unica speranza per la sinistra, ma anche come unico
referente per i padroni. Per far ciò egli non ha bisogno di un nuovo partito,
magari condizionato da Verdi, Cossutta, Sabattini, Patta… gli basta la
struttura fortemente organizzata della CGIL, un’immagine di lavoratore al
servizio dei movimenti, di quello che non “cede” alle offerte dei liberal
democratici come D’Alema e Fassino, di essere unitario verso i DS, muovendosi
come componente ma anche da leader di tutta la sinistra.
Per
questo occorre fare una battaglia contro la politica di Cofferati, per questo il
PRC dovrebbe dire di essere programmaticamente alternativo a tale progetto, per
questo sarebbe necessario una battaglia di egemonia del PRC verso la classe
operaia ed i vari movimenti invece che attardarsi a sciocchi appelli all’unità
del movimento antiglobalizzazione.
Rifondazione
Comunista dovrebbe ricordare al centrosinistra che, in quel mondo globalizzato
criticato da migliaia di giovani in questi anni, ogni rivendicazione anche la più
piccola diventa incompatibile con il sistema capitalistico tanto più con un
imperialismo (compreso quello italiano) che si prepara alla guerra, e che solo
un partito comunista cosciente della necessità di rompere nelle sue fondamenta
questo sistema può far vivere rivendicazioni come quella di dare uguali diritti
a tutti i lavoratori e alle lavoratrici sia che lavorino nelle imprese sopra o
sotto i 15 dipendenti, sia che siano di pelle chiara o scura, sia che siano
cattolici o mussulmani.
Se
saremo in grado di muoverci dentro questa prospettiva, anche l’appuntamento
elettorale sull’estensione dell’art.18 può essere un punto di forza su cui
consolidare una nuova stagione di lotte e rivendicazioni sociali, sulle quali
ridare forza e centralità alla classe operaia ponendo le basi per dire che un
altro mondo è possibile e che ha un solo nome: socialismo.