Decentramento e crisi industriale da Terni a Genova. Cosa dice il Prc?
di Alessandro Borghi
Andare oggi, a ritroso nel tempo, alla data del 9 gennaio 2004, data che ha determinato una nuova mobilitazione dei lavoratori dell’ILVA, minacciati di cassa integrazione per problemi legati alla difficoltà di approvvigionamento del carbon coke da parte della proprietà, avrebbe poco senso se noi diventassimo cronisti delle fasi della lotta, note a tutte la penisola per l’ampio spazio nazionale che la stampa ha dato all’avvenimento.
Non che
oggi non abbia senso, ritornare a narrare la gli avvenimenti di quel giorno, ma
piuttosto è interessante andare a vedere come a distanza di ormai 2 mesi
abbondanti, le istituzioni tutte, siano incapaci di concludere questo caso che
se non altro hanno creato ormai dagli anni ’90.
Ad oggi
una serie di incontri e non ultimo quello che si è svolto il giorno 10 marzo
2004, a Genova con un emissario del ministro Letta, ha fatto l’ulteriore punto
della situazione, con tutte le parti interessate all’annosa vicenda.
I punti
che sono stati riportati dalle organizzazioni sindacali, in modo unitario, sono
quelle che hanno contraddistinto da sempre la battaglia per la salvaguardia
dell’occupazione sono la continuità di reddito e la continuità di lavoro,
ovvero il mantenimento degli attuali livelli di reddito dei lavoratori e quella
di lavoro, ovvero nel momento della
chiusura dell’area a caldo mantenere i lavoratori a carico di enti locali o
dell’azienda con un integrazione salariale all’eventuale
cassa integrazione in attesa della conclusione della bonifica del sito e
il reinserimento in nuove attività.
Ma come si
è arrivato alla giornata del 9 gennaio. Anche qui è utile fare qualche
specificazione.
La crisi
dell’Ilva è caduta contemporaneamente all’altra crisi dell’acciaio che ha
colpito la penisola , “il caso di Terni”, ma sono assolutamente diversi i
termini per cui si sono venute a verificare due situazioni che comunque in un
quadro nazionale dovranno far parte di un discorso su cosa la siderurgia sarà
nel nostro paese.
Ad ogni
modo la tipologia delle due crisi si sviluppava, per quanto riguarda Terni,
sulla chiusura e lo spostamento della produzione in Cina, dove evidentemente i
costi di produzione sono assolutamente più bassi che in Italia e in Europa in
generale, quella dell’Ilva, si innesta nello scenario del blocco delle
esportazioni di carbon coke dalla Cina (circa il 90%).
Ecco perché
ho ritenuto giusto utilizzare questo titolo “Sindrome cinese”,
all’articolo sulla situazione che
a questo punto vede in uno scenario più ampio, quale posto prenderà nel paese
la produzione d’acciaio, che se monca di cokerie ha difficoltà a mantenersi.
Sul fronte
interno alla nostra battaglia all’interno del PRC, è utile osservare come il
segretario Fausto Bertinotti, oggi vada a Terni, giustamente a difendere i
lavoratori e quella produzione di acciai speciali che si fonda su di un forno
elettrico e a noi a Genova alcuni anni or sono, ci veniva a dire che era giusto
chiudere la fabbrica e fare come la Ruhr in Germania e non puntare sul
convertire il vecchio ciclo produttivo non con la prospettiva del forno
elettrico, anche seguendo le sirene ambientaliste dei comitati di quartiere
(completamente strumentalizzati dal centrodestra), diventate nel partito armai
più importanti della condizione operaia qualsiasi esso sia.
Che anche
questo faccia parte della famosa “autoriforma” del partito, forse
all’epoca era solo un’avvisaglia, di quel revisionismo strisciante che ci
sta portando ancora una volta in braccio al centrosinistra contro gli dei
lavoratori.