Contratti

Il commercio all’avanguardia della flessibilita’

 

di Federico Rizzo (*)

 

Il Ccnl dei lavoratori del Commercio, Servizi e della Grande Distribuzione è scaduto alla fine del 2003. Dopo un anno di trattative con la Confcommercio, presieduta dal signor Billè, le organizzazioni sindacali di categoria di Cgil, Cisl e Uil hanno interrotto la contrattazione, dal momento che la controparte padronale ha chiesto, come vincolo per la discussione della piattaforma sindacale, l’introduzione di tutte le norme presenti nel Dlgs 276/03, derivante dalla famigerata Legge 30. A questo punto, anche le organizzazioni di categoria di Cisl e Uil, firmatarie del Patto per l’Italia, hanno scelto di ricorrere all’indizione di due giornate di sciopero dei lavoratori del Commercio, di cui una svoltasi il 20/12/2003, l’altra ancora da effettuarsi.

Bisogna premettere che, a ogni rinnovo, negli ultimi venti anni il Ccnl del Commercio è sempre stato il precursore della flessibilità estrema e nefasta per la dignità e le condizioni di lavoro e di vita di, ad oggi, più di un milione di lavoratori e, soprattutto, essendo in maggioranza, lavoratrici.

Molti punti della Legge 30 erano, infatti, già presenti nella precedente tornata contrattuale di questa categoria, ad esempio: il lavoro condiviso (job sharing), l’apprendistato di durata quadriennale o la banca delle ore, che prevede il recupero delle ore di lavoro straordinarie con riposi compensativi, eliminando, però, la maggiorazione del 15%! In questo modo le aziende, risparmiando pure sul tuo salario, decidono quanto lavori, quando lavori e quando devi andare a casa a riposare. A riposare, non a godere del tuo tempo libero, perché, benché non lo dica nessuno, l’attività lavorativa degli addetti alle vendite (la figura “professionale” più diffusa nel commercio) è tanto stupida, ripetitiva ed alienante, pesante e faticosa sia fisicamente che mentalmente. Per rimanere nell’ambito dei supermercati, i commessi dei differenti reparti, lavorando i vari prodotti, assemblano la spesa del cliente per mezzo di operazioni ridotte alla medesima durata, eseguite senza interruzioni fra loro e ripetute in un ordine costante nel tempo e nello spazio. Proprio della tanto decantata fine del fordismo, della catena di montaggio e della dequalificazione del lavoro!

La Confcommercio esige improcrastinabilmente che s’inserisca nella contrattazione la somministrazione di manodopera a tempo determinato (l’ex-lavoro interinale) ed a tempo indeterminato ( l’ex-caporalato).

In un contesto d’internazionalizzazione degli scambi commerciali sempre più spinta e della conseguente concorrenza che ne deriva, il settore della distribuzione delle merci non può stare a guardare. Le principali multinazionali europee della grande distribuzione Auchan-Sma-Rinascente e Carrefour-Gs-Dì per Dì e la nostrana Esselunga premono sempre più affinché abbiano gli strumenti per ridurre il costo del fattore lavoro, ancor più di quanto lo facciano le aziende manifatturiere. Questo è dovuto al fatto che, non essendo questo un settore ad alta meccanizzazione ed automazione, ma ad alta densità di lavoro umano, tale voce costituisce la metà dei costi complessivi nel conto economico delle aziende commerciali.

Il modo migliore per razionalizzare i costi è costituito dall’esternalizzare il maggior numero di attività possibili, cedendo responsabilità ed oneri economici ad aziende non sindacalizzate e con contratti di lavoro peggiori. Dopo, quindi, aver terziarizzato la movimentazione e lo stoccaggio delle merci, la manutenzione degli impianti, la sorveglianza e l’antitaccheggio, tristemente famosi per la loro violenza squadrista, ora le aziende della grande distribuzione vogliono appaltare a Adecco, ItaliaLavora e cooperative le principali attività lavorative, quali il rifornimento degli scaffali e la linea casse.

Ma il signor Billè va oltre e chiede che la durata dell’apprendistato (il contratto d’ingresso più usato) sia prolungata fino a 6 anni ed i lavoratori così assunti siano inquadrati con il VI livello (paga oraria: meno di 4 euro l’ora lorde!). Ricordando ai lettori di chiedersi sempre, quando si fa la spesa, chi paga realmente le offerte promozionali sempre più frequenti e vantaggiose con prodotti sottocosto o “primoprezzo”, aggiungo che già oggi un’apprendista (18-23 anni), soggetto ad un salario d’ingresso ridotto del 30-15%, lavora con un contratto a termine biennale per meno di 5 euro l’ora lorde. Tenendo poi conto che la durata di una laurea in medicina è di un po’ più di sei anni, una richiesta del genere odora tanto di classismo o darwinismo sociale nel costringere un giovane a salari da fame per un periodo così lungo per imparare a svolgere una mansione, il cui addestramento è di una settimana!

Ma anche se un lavoratore ha la fortuna di essere uno specialista di reparto, assunto a tempo indeterminato, però con contratto a tempo parziale, ecco che la Legge 30 ci rende la vita impossibile o meglio ci impossibilita a fare altro oltre che lavorare, dormire e nutrirci, poiché durata e collocazione sia giornaliera che settimanale dell’orario di lavoro, a causa della liberalizzazione delle clausole flessibili ed elastiche, sono totalmente aderenti alle necessità organizzative dell’azienda, antagonisticamente incompatibili con i bisogni sociali dei lavoratori.

Il modello ricercato dal padronato è quello della contrattazione individuale contro quella collettiva: salario ed orario individuali contro le conquiste collettive degli anni ’70 ed ’80. I diritti sociali sono annullati dal diritto del più forte economicamente, è la competizione fra individui formalmente liberi tanto cara al pensiero liberista

A farne le spese sono i soggetti socialmente più deboli nel mercato del lavoro: immigrati, donne, giovani. Negli ipermercati Carrefour in Francia o nei Wal-Mart in California, dove non è neppure sancito il diritto di assemblea collettiva, ma il sindacato incontra individualmente i lavoratori, la polarizzazione è chiara da anni. Da una parte una minoranza di lavoratori qualificati di sesso maschile, assunti a tempo pieno, responsabili di reparto, dall’altra la maggioranza dei lavoratori, dequalificati, a tempo parziale per lo più donne con figli, giovani, immigrati, studenti-lavoratori o ragazzi spesso illusi da prospettive di carriera, che aziende in espansione propagandano continuamente. Questo tipo d’organizzazione degli orari di lavoro è produttore di una disuguaglianza sociale radicale, pianificata per il controllo sulle maestranze.

Il lavoro straordinario per i part-time è fondamentale, poiché determina la differenza fra l’essere lavoratori poveri e non, ma le ore di lavoro in più l’azienda le assegna a ciascuno non secondo i propri bisogni economici e non secondo le proprie possibilità temporali: vengono così prodotti fenomeni di superlavoro ed, all’opposto, di sottoccupazione.

La Cgil per porre un freno a questo processo di degradazione, dovrebbe conquistare il diritto di tenere assemblee nei luoghi di lavoro dove non è presente il sindacato, diffondere la rappresentanza sindacale nelle nuove aperture, finanziandola con soldi ed energie. E’ indispensabile unire la categoria, almeno per il settore della grande distribuzione organizzata, partendo dalla convocazione del coordinamento dei delegati a livello aziendale e categoriale, sfalsando, inoltre, il mito delle differenti condizioni lavorative esistenti fra società per azioni e società coooperative.

La gestione di questo rinnovo contrattuale è stata, quindi, caratterizzata anche da parte della Cgil dall’indizione di scioperi più di testimonianza che capaci di produrre una reale pressione nei confronti della controparte padronale. Sarebbe ora, a partire dall’area metropolitana milanese, di costruire conflitti di lavoro più incisivi attraverso, ad esempio, scioperi ad oltranza di almeno un ipermercato per ciascun marchio commerciale, supportati da casse di resistenza finanziate da tutti i lavoratori del settore, sottraendoli dai milioni di euro che foraggiano gli scandalosi enti bilaterali!

 

(*) RSA Carrefour Milano