Lavoratori
della scuola in lotta contro la Moratti
di Gigi Aquilino*
Negli ultimi due anni un importante movimento
autorganizzato si è opposto al processo di demolizione della scuola pubblica di
cui la cosiddetta "riforma" Moratti è una delle tappe più
importanti. L'attacco, in realtà, è iniziato con alcune misure adottate dai
precedenti governi del centrosinistra: la legge di parità tra scuola pubblica e
privata, quella sull'autonomia - che ha trasformato gli istituti in aziende in
penosa concorrenza fra loro - la revisione del titolo V della Costituzione che
devolve l'istruzione professionale alle regioni. Ciò ha spianato la strada
all'affondo che il governo Berlusconi sta tentando di portare, fortunatamente
con qualche difficoltà, alla scuola. Seguendo i dettami neoliberisti, sanità,
previdenza e istruzione devono aprirsi al mercato, creare occasione d'enormi
profitti e finanziare, con i tagli delle risorse a loro destinati, la riduzione
delle tasse ai redditi alti.
Nonostante il continuo incremento degli alunni, dovuto
all'immigrazione e ad una maggiore domanda di scolarizzazione, i tagli apportati
con le ultime quattro leggi finanziarie hanno comportato la perdita di circa
70.000 posti fra Ata e docenti. I decreti attuativi della legge 53/03 ad oggi
hanno toccato principalmente la scuola elementare e media inferiore. Il tempo
pieno e il tempo prolungato, importanti conquiste delle lotte degli anni
settanta, sono aboliti; si gerarchizzano i docenti con l'introduzione del tutor,
si eliminano le compresenze. I decreti sul diritto-dovere e quello
sull'alternanza scuola-lavoro approvati il maggio scorso riguardano la scuola
secondaria. L'obbligo scolastico, che timidamente era stato innalzato da
Berlinguer a 15 anni fino al primo anno delle superiori, è stato sostituito da
un generico diritto-dovere alla formazione fino ai 18 anni, assolvibile anche
attraverso il lavoro. L'età dell'obbligo scolastico, unico caso al mondo,
diminuisce invece di aumentare.
L'impresa divora l'istruzione
Con l'alternanza scuola-lavoro, l'impresa (una delle
"tre I" di Berlusconi) entra prepotentemente nella scuola,
sostituendosi ad essa. Grazie anche alla legge Treu (centrosinistra 1997) e alla
legge Biagi (centrodestra 2003), che introducono forme d'apprendistato
sottopagate e senza diritti, l'obbligo formativo può essere assolto
completamente in azienda. Ma anche a chi decide di frequentare quel che rimarrà
della scuola pubblica, l'impresa si offre come agenzia formativa per un 15% del
monte ore, in modo da diffondere la propria ideologia ed usufruire di
manodopera, in questo caso completamente gratuita. Invece di estirpare il lavoro
minorile, ancora presente nel sommerso, lo si istituzionalizza, dandogli una
valenza formativa. E' anche previsto che questa magnanima disponibilità delle
imprese sia ricompensata con finanziamenti pubblici, naturalmente sottratti alla
scuola.
Il termine per l'emanazione dei rimanenti decreti
attuativi scadeva in aprile e il governo, messo in difficoltà dalla protesta,
lo ha disinvoltamente prorogato di sei mesi. A gennaio, la Moratti ha diffuso
una bozza del decreto relativo alla secondaria superiore. Esso ne prevede la
separazione in due canali, nettamente distinti: quello dei licei, dove
confluiscono, snaturati, anche gli istituti tecnici e quello dell'istruzione e
formazione professionale, che passa in blocco alle regioni. I ragazzi dovranno
scegliere a 13 anni se tentare il percorso liceale, che ha come unico sbocco
l'università e non fornisce titoli professionalizzanti, o frequentare una
specie d'avviamento al lavoro della durata massima di quattro anni, impoverito
nelle materie culturali, con un'impostazione prevalentemente _ddestrativi e che
non potrà rilasciare il diploma di stato necessario per l'accesso diretto
all'università.
La formazione professionale regionale (privata al 93%),
che negli ultimi dieci anni aveva dimezzato le iscrizioni, confluisce in questo
canale con pari dignità. Già dal 2003 diverse regioni attraverso intese
separate con il Miur e il Mlps hanno iniziato a sperimentare percorsi integrati
d'istruzione e formazione professionale. Centinaia di vecchie e nuove agenzie
formative private si sono messe in corsa per accaparrarsi i finanziamenti del
Fondo Sociale Europeo che per il quinquennio 2001/2006 sono di 50.000 miliardi
di lire a livello nazionale.
Nella scuola secondaria gli effetti della riforma sui
livelli occupazionali saranno devastanti; su un organico di 240.000 docenti si
stima che la riduzione dell'annualità e del monte ore comporterà dalle 89.000
alle 104.500 cattedre in meno e un'ulteriore perdita di circa 20.000 posti fra
gli Ata, senza contare che l'attività didattica potrà essere assegnata dai
presidi anche ad "esperti" con contratto privato. Naturalmente i primi
a pagare questa ristrutturazione saranno i lavoratori precari, già penalizzati
dai tagli agli organici e alle supplenze imposti dalle ultime finanziarie.
Prospettive di lotta
La mobilitazione ha riguardato per adesso prevalentemente
la scuola primaria coinvolgendo decine di migliaia d'insegnanti e soprattutto
genitori. Ancora prima che uscisse il decreto si è costituito un Coordinamento
Tempo Pieno e Prolungato che, insieme a settori di sindacalismo più combattivo,
ha organizzato occupazioni di scuole, raccolte di firme, manifestazioni
nazionali e locali e una conflittualità diffusa che sta ostacolando
notevolmente l'applicazione della riforma. Lo sciopero del 15 novembre e quello
del prossimo 18 marzo, che le riluttanti organizzazioni sindacali confederali
hanno dovuto convocare unitariamente ai Cobas, anche se con piattaforme diverse,
è il risultato di questa potente spinta.
La Cgil, che sull'onda di una sua apparente
radicalizzazione (difesa dell'art. 18) ha avuto nel 2003 una forte affermazione
alle elezioni Rsu, ha partecipato alla mobilitazione con il freno a mano tirato.
Con l'alibi dell'unità a tutti i costi con Cisl e Uil ha assunto posizioni
ambigue sui contenuti della riforma e settarie nei confronti dei Cobas che,
nonostante i limiti organizzativi e d'agibilità sindacale, rappresentano
l'opposizione più coerente dal punto di vista di classe. D'altra parte
autorevoli esponenti dei Ds e della Margherita sono stati espliciti sulle
intenzioni di un eventuale prossimo governo di centrosinistra: la riforma si può
emendare in alcuni aspetti, ma nel complesso è inevitabile. Anche la scelta
governista del Prc ha già causato danni al movimento e difficoltà ai
militanti. Le critiche del periodo "di mobilitazione di piazza" alla
concertazione dei confederali si sono fortemente attenuate e, in occasione delle
scadenze di lotta nazionali, si è privilegiato aprioristicamente il rapporto
con la Cgil nonostante il movimento esprimesse posizioni più avanzate. Questo,
insieme alla mancata generalizzazione delle mobilitazioni con altri settori
dell'istruzione e all'insufficienza delle forme di lotta finora adottate, ha
prodotto un certo logoramento del movimento.
L'approvazione dei rimanenti decreti dovrà mettere in
moto i lavoratori e gli studenti della scuola superiore che finora
sostanzialmente passivi. Occorre contrastare e battere le posizioni incerte e
miglioriste, chiarire che la parola d'ordine deve essere quella dell'abrogazione
della riforma Moratti e adottare forme di lotta adeguate.
Bisogna impegnarsi sulla riuscita dello sciopero del 18
marzo: è un passo in avanti rispetto alle passate manifestazioni al sabato
pomeriggio ma non è sufficiente. La gabbia della legge 146/90 che,
regolamentando il diritto di sciopero, ne depotenzia gli effetti, deve essere
forzata con scioperi prolungati, blocco degli scrutini e delle attività
aggiuntive, boicottaggio e del turismo e dell'editoria scolastica (un giro
d'affari di milioni di euro). Scanzano, Melfi, gli autoferrotranvieri dimostrano
che obiettivi anche semplicemente difensivi si raggiungono solo radicalizzando
lo scontro sindacale.
Febbraio 2005
*Rsu Cobas Scuola