La
crisi del Forum Sociale Mondiale
di
Valerio Torre
Dopo
la parentesi dell’edizione del 2004 tenuta a Mumbai (India), il Forum Sociale
Mondiale 2005 è tornato nella sua sede d’origine, a Porto Alegre, capitale
dello stato del Rio Grande do Sul, in Brasile, subito dopo che le elezioni
amministrative dello scorso novembre avevano sancito la sonora sconfitta del Pt
(Partido dos Trabalhadores) di Lula in
quella che, appunto, era stata per anni la sua città “simbolo”: sconfitta
suonata quasi come una premonizione del trattamento cui sarebbe stato sottoposto
di lì ad un paio di mesi il presidente brasiliano.
Ed
infatti, la sessione del 27 gennaio - il Global Call contro la povertà - si è
svolta all’insegna della più grande contestazione mossa a Lula dalla vittoria
nelle elezioni presidenziali del novembre 2002 e dall’insediamento del suo
governo nel successivo gennaio 2003: cinquemila esponenti della sinistra
radicale hanno rumoreggiato per l’intera durata del suo intervento,
lanciandogli contro il significativo slogan “Lula sei come Bush!”.
Per
fronteggiare tale situazione, le strutture organizzative del Pt hanno fatto
affluire in massa sostenitori del presidente, tutti in maglietta rossa con la
scritta “100% Lula”, i quali, soverchiando i contestatori, hanno consentito
allo stesso Lula di portare a termine il suo intervento con la paternalistica
reprimenda: “Questi che non vogliono ascoltare sono figli del mio Partido
dos Trabalhadores e un giorno si ricrederanno!”.
Nell’improbabile
attesa di quel giorno, intanto, altri 112 militanti del Pt - tra cui uno dei
suoi fondatori, l’economista Plinio de Arruda Sampaio Junior, il sindacalista
Lorge Luís Martin dell’esecutivo nazionale della Cut (Central Unica dos Trabalhadores) - hanno diffuso durante il Fsm un
manifesto, significativamente intitolato
“Manifesto
rottura”, in cui venivano elencati 13 ragioni per rompere con il partito.
Fsm e Lula: fine della luna di miele con i
movimenti?
Tuttavia,
più che la rumorosa contestazione patita dagli spalti e conclusasi con 15
arresti e 3 feriti oppure l’ulteriore scissione di non marginali dirigenti del
Pt, a Lula ha forse fatto molto più male il silenzioso dissenso dei
rappresentanti dei Sem terra che hanno
seguito il suo intervento con muto distacco, quasi a voler simbolicamente
rappresentare l’allontanamento politico ormai maturato in questi due anni,
come testimoniano le numerose interviste rilasciate da João Pedro Stedile, il
carismatico leader del Movimento dei Sem
terra (Mst), che, pur senza dichiarare apertamente la definitiva rottura col
partito, ha ripetutamente messo in rilievo la divergenza di obiettivi rispetto
al governo [“il nostro compito, da 20 anni, è continuare a portare avanti il
processo di coscienza dei contadini poveri, organizzandoli e spingendoli alla
lotta per la conquista dei loro diritti. Questo continueremo a fare. Lula o non
Lula” (il manifesto, 18/4/2004)].
Del resto, non poteva restare senza conseguenze il crescente ricorso, da parte
del governo, ad azioni militari per reprimere i contadini dediti agli asentamentos
(le occupazioni delle terre), come è accaduto nei primi giorni di febbraio
nella città di Coqueiros do Sul, dove è stata schierata una brigata militare
per isolare e stroncare l’occupazione di un latifondo, garantendo così al fazendeiro
di turno di appropriarsi del raccolto di 50 ettari di mais piantato dai Sem
terra.
D’altronde,
oltre al venir meno dell’appoggio del Mst, va registrata la fine
dell’idillio con i settori avanzati della chiesa cattolica, come dimostra
l’abbandono, da parte del religioso Frei Betto, del coordinamento del
programma “Fame zero”, su cui Lula ha costruito gran parte della sua
campagna elettorale. In proposito, richiesto del motivo che hanno determinato
tale defezione, egli ha risposto: “Perché non avevo più argomenti per
difendere la politica economica del governo”, per di più smentendo la vulgata
per cui il presidente sia accerchiato o mal consigliato: “Lula è responsabile
di tutte le decisioni del governo… Credo che abbia fatto una scelta davanti a
questa contraddizione che vive il paese tra una politica sociale dinamica ed una
politica economica conservatrice”.
Ed
il grado di importanza della frattura con la sua base sociale di riferimento è
testimoniato dal recente Carnevale di Recife, nel Pernambuco, nell’ambito
delle cui manifestazioni Lula è stato ridicolizzato da un famoso attore comico,
che, prendendo spunto da un piccolo intervento chirurgico subito dal presidente
al naso, ne ha imitato la voce sostenendo - tra l’ilarità generale - che
l’operazione era stata determinata dalla necessità di tagliare un pezzo
dell’organo un po’ troppo cresciuto a causa delle promesse non mantenute!
In
realtà, gli eventi svoltisi sullo sfondo del Fsm disvelano la crisi profonda in
cui si agita il governo brasiliano: una crisi che ha indotto i movimenti
“alterglobal” a scegliersi come nuovo nume tutelare quel Chavez che,
intervenendo nella stessa sessione di lavori dopo Lula, ha definito la Cina
“faro della lotta anti‑imperialista”, con i suoi attuali dirigenti
dipinti come diretti e legittimi discendenti di quella “rivoluzione maoista
che ha sfamato un miliardo e duecento milioni di contadini” (Liberazione,
1/2/2005). Che poi la Cina abbia definitivamente abbracciato il capitalismo
innestandolo su una forte struttura statale e che i suoi dirigenti siano
campioni della repressione del dissenso e dei diritti umani, poco importava ai
partecipanti in adorazione: Porto Alegre ha bisogno di un nuovo idolo. Morto un
papa, se ne fa un altro!
Che cos’è il Fsm.
Il
fatto è che il Fsm - nato come tentativo di dare una struttura politica al
vasto movimento antiglobalizzazione sorto sull’onda delle grandi mobilitazioni
di Seattle, Praga e Genova contro un capitalismo sempre più in crisi - è
progressivamente diventato, nel corso degli anni, l’occasione di una
“vetrina” addirittura per i rappresentanti dei governi portatori degli
interessi di quel medesimo capitalismo; e la sua caratterizzazione si è andata
trasformando da “contrapposizione” alla globalizzazione a “tendenza”
verso un altro tipo di globalizzazione, quasi a voler rassicurare i capitalisti
che non si intendeva affatto mettere in discussione la loro dominazione.
Dopo
aver consumato, nel corso delle varie edizioni sin qui tenute, decine e decine
di risoluzioni, tutte incentrate sulla generica aspirazione alla lotta contro la
povertà, al mantenimento del carattere pubblico dei beni essenziali come
l’acqua, alla contrarietà alla guerra con l’Onu in funzione di ente
regolatore dei conflitti, all’applicazione della Tobin tax, non possiamo non
rilevare che, nonostante gli auspici, il tasso di povertà nel mondo è
cresciuto a dismisura (e non solo in quello sottosviluppato: anzi, la tendenza
è in aumento proprio nei paesi più avanzati); che i governi di ogni colore,
anche quelli di centrosinistra e di sinistra, continuano a privatizzare
qualsiasi cosa abbia una parvenza di pubblico; che le guerre per il controllo
delle risorse energetiche ed il posizionamento strategico in determinate aree di
influenza sono aumentate, semmai anche con l’avallo - esplicito od implicito -
dell’Onu; che le speculazioni finanziarie sono sempre più vertiginose, mentre
gli organismi internazionali della società capitalistica non sono affatto
impauriti dall’applicazione di una misura come la Tobin tax.
Sin
dalla sua nascita, il Forum ha fondato la propria strategia sulla base della
ricerca di un accordo planetario tra la periferia del mondo ed il centro
imperialista, tra i poveri ed i ricchi del mondo, al fine di limitare gli
eccessi del capitalismo; ma ha tradito così le genuine aspirazioni alla
radicalità che promanavano dai movimenti che andavano sviluppandosi sullo
sfondo della crisi del sistema capitalistico.
Il
Fsm è, insomma, il fulcro di un’organizzazione fondata su di una strategia
riformista che tende, profittando dell’immaturità politica del movimento e
della crisi di direzione del proletariato, a preservare il regime capitalistico
cercando soltanto di temperare le disuguaglianze che esso genera. In questo
senso, limitandosi a denunciare gli eccessi dello sfruttamento del capitalismo
senza però combatterne il sistema nella sua interezza, il Fsm “non
costituisce una risposta alla crisi, ma è un sintomo di essa” (Coggiola, Governo
Lula, dall’illusione alla realtà). D’altronde, non poteva pretendersi
altro da un’organizzazione che è direttamente finanziata da multinazionali,
imprese dei boiardi di Stato, Ong a loro volta foraggiate dal capitale
finanziario.
Rifondare il Fsm.
La
“stella” di Lula, che sembrava funzionale al perseguimento di questa
strategia, è rapidamente tramontata, mentre già spunta all’orizzonte quella
di Chavez. Eppure, deve far riflettere il fatto che un movimento che si è dato
negli anni una dimensione globale (poiché globale era lo sviluppo del sistema
capitalistico) tenda, nell’immediato futuro, a ripiegare su una dimensione
regionale: nell’edizione appena tenutasi, infatti, è stato deciso che quella
dell’anno prossimo si svolgerà divisa in quattro “eventi” continentali,
mentre quella del 2007 avrà luogo in Africa con la cancellazione del forte
impatto simbolico che la manifestazione a Porto Alegre ha rivestito in tutti
questi anni.
Si
tratta di una soluzione puramente organizzativistica, assunta allo scopo di far
passare in secondo piano il carattere di “ritualità” che il Fsm è andato
sempre più assumendo come logica conseguenza della situazione di stallo in cui
versano le masse che, a partire da Seattle, intendevano lottare contro il
capitalismo di fronte al fallimento delle prospettive e delle strategie di un
organismo che dovrà essere sostituito da una nuova direzione e da un nuovo
metodo politico se il movimento antiglobalizzazione dovrà essere rifondato in
senso socialista e veramente rivoluzionario.