IL CORRIERE DELLA SERA DIFENDE COFFERATI DA....PROGETTO COMUNISTA
Sinistra, torna il virus della caccia al traditore
«Trotzkji si
vendette allo stranieeero / ma il piccon con lui non fu leggeeero»,
cantavano nel ’68 i marxisti-stalinisti sulle note di «Pensiero» dei
Pooh. Era solo una rima becero-goliardica, la intonavano tra i tormentoni
pecorecci tipo «Osteria numero uno!» e non avrebbe meritato attenzione
se non fosse stata uno di quei piccoli indizi dai quali capisci in che
tempi vivi. Neanche Marco Ferrando, un professore savonese della minoranza
rifondarola, va preso troppo sul serio: è un trotzkjista-surfista che
alla caduta di Prodi accusò Cossutta di fare «gli interessi della
borghesia» e spiegò poi il ballottaggio Chirac-Le Pen come una scelta «tra
la peste e il colera». La sua invettiva contro Cofferati, reo di essersi
schierato contro il referendum sull’articolo 18, è però qualcosa di più
dell’anatema di un isolato intellettuale irriducibile. E riassume
brutalmente un’idea che serpeggia davvero nella sinistra più dura.
Quella del tradimento. Accusa che nel passato lontano e recente ha causato
un sacco di guai. L’ha detto Fausto Bertinotti: «Sergio tradisce la sua
gente». Lo hanno ripetuto certi militanti delusi, come Alessandro Rossi,
nelle e-mail al sito di Aprile : «Come sindacalista Fiom-Cgil mi sento
tradito». Lo ha suggerito, con una formula retorica scivolosetta, Cesare
Salvi: «Temo che milioni di persone possano sentirsi tradite da Cofferati,
e spero che non sia così». Marco Ferrando ha fatto un passo in più.
Spiegando a Luca Telese che il Cinese va a tutti gli effetti considerato
«in senso puramente etimologico» come un «traditore» che ha messo «a
rischio una vittoria possibile per l’estensione dei diritti, a tutto
vantaggio di un governo reazionario». Dunque «un oggettivo alleato della
Confindustria e di Silvio Berlusconi».
Che l’ex segretario della Cgil abbia o meno ragione nella sua scelta di
dire che non andrà a votare ma senza fare propaganda per l’astensione
è del tutto ininfluente. Può anche avere tutti i torti lui. Certo è che
questa caccia ai «traditori» di sinistra, dopo le contestazioni ai
leader sindacali rei di aver firmato col governo il Patto per l’Italia,
dopo i fischi e gli insulti e infine le minacce a Savino Pezzotta,
comincia a diventare negli ultimi tempi un po’ troppo frequente. E
dovrebbe preoccupare prima di tutto quanti, proprio a sinistra, hanno la
testa sul collo.
E’ vero: l’accusa di tradimento, a dispetto di quanto disse un giorno
Franco Marini e cioè che «in politica il tradimento non esiste», è
stata scagliata spesso negli ultimi anni in Italia. Da tutti. Fini è
stato dipinto da Rauti come «peggio di Badoglio, che almeno aveva tradito
nel momento della sconfitta». Bossi seppellito da Berlusconi dopo il «ribaltone»
sotto una grandinata di «Giuda, truffatore, traditore dalla doppia,
tripla, quadrupla personalità». Bertinotti additato da Franceschini come
l’uomo che aveva «tradito, uscendo dal governo, quei lavoratori e
quelle famiglie in difficoltà che a parole, ma solo a parole, dice di
voler difendere». Tremonti contestato nel ’94 al grido di «traditore»
dagli elettori del Patto Segni che lo avevano eletto.
E così via. Fino all’accusa corale del Polo a Oscar Luigi Scalfaro,
pubblicamente bollato da Sgarbi come «una scorreggia fritta» in una
manifestazione in piazza Montecitorio (a proposito del rispetto per le
istituzioni preteso martedì a Bari da Berlusconi), di avere tradito la
volontà «del popolo sovrano».
Ultima puntata, quella dell’altro giorno in cui Giuliano Ferrara ha
investito Martelli, il quale gli aveva scritto rivendicando una presunta
raccomandazione, con una vagonata di insulti: «Bugiardo malmostoso,
traditore della recente storia italiana, viscido serpente con la pelle
rifatta e nemmeno a sonagli. Non si metta mai più sulla mia strada perché
lo torco con le mie mani». Fin qui, però, siamo dentro quel mondo di
tradimenti e scazzottate e gelosie in qualche modo parenti delle corna.
Nel mondo del socialismo reale no, lì il tradimento era davvero
un’altra cosa. Basti ricordare il peso avuto nell’immaginario
collettivo comunista anche italiano de La rivoluzione proletaria e il
rinnegato Kautsky di Lenin. O la Piccola enciclopedia del Socialismo e del
Comunismo prodotta dalle Edizioni Calendario del Popolo che alla voce Lev
Davidovic Bronstein scriveva «uomo politico russo menscevico passato poi
al al bolscevismo e, successivamente, al tradimento della rivoluzione». O
il divieto a Botteghe Oscure, ai tempi di Secchia, di usare fazzoletti di
carta perché i guardiani dell’ortodossia non volevano sporcarsi
rovistando di notte nei cestini in cerca di prove contro eventuali
traditori. O i corsi alla scuola del Pci delle Frattocchie raccontati anni
dopo da Maria Antonietta Macciocchi: «Alla "kista", la
maieutica dell’autocritica non socratica, seguiva poi un secondo atto,
il più duro da sopportarsi. Era la volta degli allievi a interrogare la
protagonista dell’autocritica con le domande più acrimoniose o folli,
tipo "hai mai avuto amanti?", "hai mai tradito il
partito?"». Altri tempi, ovvio. Ma certe ferite, riacutizzate da
troppe rivendicazioni degli anni di piombo piene di burocratica ferocia
contro poveretti assassinati come «traditori della classe operaia»,
sanguinano ancora. Come sanguina il ricordo recente di Massimo D’Antona,
giustiziato da un commando brigatista dopo una folle «sentenza» basata
esattamente su quel maledetto stereotipo. E quello recentissimo di Marco
Biagi, che prima di essere ucciso aveva confidato agli amici quanto lo
straziasse il dolore di essere considerato «un traditore».
Fu proprio Sergio Cofferati, allora, a essere additato come uno dei
protagonisti di quel giudizio così sbrigativo e sprezzante che, nei
giudizi di qualche commentatore, si era involontariamente prestato a una
lettura criminale da parte dei terroristi. Lui negò, spiegò, respinse
ogni veleno accanitamente. Senza immaginare che un giorno quella parola
brutta sarebbe stata appiccicata anche a lui. Lì si va a finire: nella
logica del «tradimento» può sempre capitare che qualcuno, un giorno o
l’altro, individui il traditore in te. Per carità: nessuno dubita che
le infelicissime sortite di Ferrando e degli altri incauti censori siano
state solo delle sbracate forzature polemiche. Ma non sarebbe il caso,
dopo quanto è successo negli anni, di abolire per sempre certe parole?
di
GIAN ANTONIO STELLA
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Gentile direttore,
vorrei innanzitutto informare il simpaticissimo Gian Antonio Stella che da tempo riesco a fare il trotskista ma, purtroppo, sempre meno il surfista. Nella misura del possibile vedro di rimediare. E lo terro al corrente.
Quanto al tema del “ tradimento”, mi pare non appartenga alle categorie dello spirito ma della storia. Sia come accusa, sia come pratica.
Come Gian Antonio Stella sicuramente sa, nella storia reale i trotskisti sono sempre stati accusati di tradimento dalla socialdemocrazia e dallo stalinismo per essersi opposti, spesso da soli, allo snaturamento dei principi e alle politiche di accordo con le classi dominanti: sia alle politiche di compromesso con la borghesia liberale (ingresso nei suoi governi), sia a volte alle politiche di intesa con forze nazifasciste (patto Stalin-Hitler del 39). In altri termini sono stati accusati di tradimento per essersi rifiutati di solidarizzare con il tradimento reale, e disastroso, degli interessi dei lavoratori da parte delle loro direzioni.
Con il permesso di Gian Antonio Stella non vorremmo oggi essere accusati di “tradimento”per il solo fatto di aver denunciato come merita la convergenza tra Cofferati e Confindustria contro il referendum per l’estensione dei diritti. Che è e rimane, indipendentemente dai trotskisti, un gigantesco regalo a Berlusconi e un colpo a milioni di lavoratori. Un tradimento appunto: anche di speranze e di troppe illusioni.
MARCO FERRANDO ( Direzione nazionale PRC)