L'ESITO DELLE ELEZIONI E LA PROSPETTIVA DEL PRC

 

Avremo modo di approfondire nei prossimi giorni un giudizio sull'esito delle elezioni amministrative. L'elemento su cui vogliamo richiamare qui l'attenzione è il commento corale della stampa di sinistra secondo cui queste elezioni imporrebbero -sul piano nazionale- il "modello Roma", cioè l'alleanza tra centrosinistra e Prc per battere Berlusconi.

    E' questo anche il senso delle prime dichiarazioni della segreteria nazionale del partito, in cui ritorna l'enfasi sul vecchio binomio (già ampiamente usato quando si voleva aprire la strada al sostegno al governo Prodi) "radicalità e unità". Dichiarazioni in cui si valorizzano come "accordi di svolta" gli accordi di governo stretti col centrosinistra -sul suo programma e coi suoi candidati liberali (da Illy a Gasbarra)- nella quasi totalità delle città chiamate al voto (con l'eccezione delle situazioni dove l'Ulivo, essendo numericamente autosufficiente, ha fatto a meno dei voti del Prc).
    Tutti i commenti e le analisi del voto fatte dal gruppo dirigente maggioritario del partito (v. Bertinotti a Porta a porta) vanno chiaramente nella direzione di accentuare la "svolta" già intrapresa (e da noi già denunciata) con la costituzione delle commissioni paritetiche Ulivo-Prc (con Treu e Mastella) il cui compito è appunto -ormai è evidente- quello di predisporre il programma della alleanza politica e di governo che si vorrebbe realizzare per il post-Berlusconi, a partire oggi da una "unità delle opposizioni".  Ciò risulta chiaro anche dalla lettura dell'intervista rilasciata da Fausto Bertinotti al Messaggero in edicola oggi, che riportiamo qui sotto, in cui si noterà che la famosa "rottura della gabbia del centrosinistra" pare definitivamente archiviata a favore di un ingresso del Prc nella gabbia medesima; a seguire trovate una  dichiarazione di Marco Ferrando, portavoce di Progetto comunista, in cui si ribadisce il nostro dissenso e la nostra intenzione di sviluppare una battaglia politica contro questa prospettiva sciagurata.
 
 
Francesco Ricci   

L'INTERVISTA A FAUSTO BERTINOTTI SUL MESSAGGERO DI OGGI
 
 L’Ulivo vince se apre a Rifondazione, ma occorre anche una vera politica
riformista

di CLAUDIA TERRACINA

ROMA— «Il no alla guerra e l’attenzione al lavoro e ai bisogni della gente. E’ questa la formula magica che ha fatto volare il centrosinistra allargato a Rifondazione». Fausto Bertinotti commenta a caldo i primi dati delle amministrative e sorride perchè, ancora una volta, ha funzionato quello che lui chiama «il laboratorio Roma». Con un di più rispetto alle passate elezioni politiche. «Questa volta abbiamo fatto una campagna elettorale forte in cui sono entrati prepotentemente i temi della difesa della pace e profonde connotazioni riformiste. A Roma Enrico Gasbarra è stato un candidato ideale».
Eppure, onorevole Bertinotti, Gasbarra è un ex democristiano. Niente di più lontano da Rifondazione..
«Non è vero. Il nuovo presidente della Provincia di Roma è stato molto attento ad allargare la coalizione di centrosinistra e non l’ha fatto strumentalmente, ma assumendo come sue le nostre battaglie, a partire da quella sulla pace, per la quale ha subito associato il suo nome alla bandiera arcobaleno».
Operazione che è stata però criticata dai movimenti.
«E sbagliavano perchè saltava agli occhi l’adesione reale, sincera, a questi temi. Essere uniti è fondamentale per vincere, ma non basta».
Non è quindi sufficiente allargare l’Ulivo?
«Serve ovviamente, ma occorre anche una svolta nei programmi che vanno condivisi».
I risultati di Roma e della Sicilia hanno premiato il suo partito, e anche i Ds, i Verdi e i Comunisti italiani, ma hanno penalizzato la Margherita. Sembra che la coalizione ulivista stia pendendo decisamente a sinistra. Cosa che le farà piacere, Bertinotti.
«E invece no. Intendiamoci. Sono felice del nostro risultato e faccio notare che l’Ulivo perde smalto laddove ha creduto di essere autosufficiente, come a Brescia. Ma sarebbe sbagliato leggere in modo univoco il risultato della Margherita, la cui presenza è fondamentale nella coalizione. Del resto, Gasbarra è della Margherita. Proprio ora non dobbiamo essere manichei».
L’entusiasmo per questa vittoria la sta tirando verso il centro, Bertinotti?
«Ma no. Dico solo che occorre prestare attenzione a tutte le componenti dell’opposizione che, in questi mesi, hanno dato il loro contributo decisivo alla vittoria. Per esempio, non dobbiamo trascurare il ruolo che hanno avuto i cattolici nella battaglia per la pace».
Sta facendo un invito all’Ulivo che verrà, Bertinotti?
«La mia è una pura e semplice constatazione. Vorrei ricordare che anche alle elezioni provinciali di cinque anni fa eravamo uniti, eppure abbiamo perso. Ora invece qualcosa si muove anche in Sicilia».
Che cosa vi occorre, dunque, per tornare a vincere?
«Bisogna dare un segno di svolta e di rinnovamento. Intanto, ricomporre la coalizione è già un segnale di cambiamento. Ma non basterebbe se non si fosse data un’anima a questa alleanza, che si è riconosciuta nella forte mobilitazione contro la guerra e nella promozione dei diritti dei più deboli, ponendosi come vera alternativa alla destra. Infine, in questo voto c’è anche una avversione crescente a questo governo. In Italia sta spirando lo stesso vento che soffia in Europa, a partire dalla Spagna, dove è in crisi la destra di Aznar, pure più presentabile della nostra».
Lei parla di programmi condivisi e festeggia insieme ai partiti dell’Ulivo. Ma questa unità finirà già il 15 giugno al referendum sull’articolo 18.
«Direi che questo risultato può essere il primo passo verso un percorso diverso. Approfittiamone per spostare i rapporti politici del Pese, partendo dalla grande questione dei diritti dei lavoratori. Questa per il centrosinistra è l’occasione per ripensare la sua posizione anche di fronte al disvelamento di Berlusconi che ha individuato il referendum come il principale avversario».


LA DICHIARAZIONE DI MARCO FERRANDO,
PORTAVOCE DI PROGETTO COMUNISTA
 
NO ALL'ACCORDO POLITICO E DI GOVERNO TRA PRC E ULIVO
 
I commenti a sinistra sul voto amministrativo richiedono una immediata chiarificazione di prospettiva.
 
Battere Berlusconi e cacciare il suo governo è, naturalmente, una necessità prioritaria. Ma un accordo politico e di governo tra Prc e Ulivo sarebbe privo di qualsiasi base di principio. Riproporrebbe, in forma ancor più vincolante, la subordinazione del Prc ai poteri forti della società italiana quale si realizzò negli anni di Prodi col voto del Prc al "pacchetto Treu", alle privatizzazioni, all'ingresso nell'Euro ('96-'98). E appare un'ipotesi tanto più grave e grottesca nel momento in cui il centro liberale dell'Ulivo, dalla Margherita alla maggioranza Ds, è allineato con Berlusconi contro l'estensione dell'art. 18, ha votato con Berlusconi l'invio di truppe italiane in Irak, si riserva di aprire a Berlusconi sullo stesso Lodo Maccanico.
 
Cacciare Berlusconi, insisto, è una necessità. Ma non al prezzo di ministri comunisti in un governo liberale, o di un sostegno politico a tale governo.
Una simile eventualità rappresenterebbe infatti, obiettivamente, la distruzione politica del Prc e la clamorosa sconfessione delle stesse ragioni dei movimenti. Per questo sarebbe respinta -come Bertinotti sa bene- da larghi settori della base militante e del corpo dirigente del nostro partito. Ai quali sarebbe difficile spiegare che "un nuovo mondo possibile" passerà attraverso l'abbraccio di governo con Tiziano Treu e Clemente Mastella.
 
In ogni caso se Bertinotti proponesse formalmente l'apertura di tale cammino si imporrebbe immediatamente un congresso straordinario del Prc.