Marxismo rivoluzionario n. 1 – speciale / fabbriche occupate

LA CLASSE OPERAIA NON CHIEDE IL PARADISO

 

 

di Pablo Heller

 

 

L’assemblea legislativa [di Buenos Aires, ndr] ha approvato per le imprese Ghelco e Chilavert due progetti di legge che difficilmente possono qualificarsi come esproprio in favore dei lavoratori. I progetti approvati, nel dichiarare gli attivi di “pubblica utilità”, evitano la svendita dei beni di entrambe le fabbriche, svendita inevitabile in caso di dichiarazione di fallimento, e frenano il rischio di uno sgombero che pende minaccioso sulla testa dei lavoratori. Ma al di là di questo merito indiscutibile le leggi in questione non offrono alcuna risposta alle esigenze che si presentano alla nascente gestione operaia.

I lavoratori non sono padroni degli attivi e degli impianti. Gli immobili sono soggetti a “occupazione transitoria”, cioè restano nelle mani dei vecchi padroni o dei creditori, sotto l’arbitrio del giudice e del sindaco che amministrano la procedura di fallimento. Il governo cittadino è obbligato a pagare un affitto ai padroni o ai creditori. Scaduto il termine di due anni di occupazione transitoria, i padroni possono disporre nuovamente del bene e possono utilizzarlo come più gli piace.

 

I lavoratori pagano due volte

I lavoratori sono costretti, se vogliono continuare le loro attività, ad acquistare l’immobile o a rinegoziare il contratto – alle condizioni di mercato. In questo modo, i lavoratori perdono due volte: perdono perché non riscuotono le indennità e i salari loro dovuti; e perdono una seconda volta perché abbonano al padrone o ai suoi creditori il valore del bene, facendosi carico di pagarlo di tasca propria, o con i crediti del lavoro in caso di dichiarazione di fallimento o rimettendoci i fondi che sono riusciti ad accumulare nel quadro del nuovo percorso sotto gestione operaia. In definitiva lo sforzo operaio va a favore del riscatto del capitale fallito.

Le leggi di esproprio approvate permettono, trascorsi i due anni, di concedere alla cooperativa la “priorità” nell’acquisto dell’immobile; ma questa è solo l’espressione di un desiderio, perché per rendere effettiva tale priorità occorre una legge speciale per la quale, inoltre, è richiesta la doppia lettura parlamentare e una votazione favorevole dei due terzi dell’assemblea.

 

Una strana “statizzazione” a danno dei lavoratori

I lavoratori non sono padroni neppure dei macchinari. Questi e altri attivi (marchio, attrezzature di lavoro, ecc.), con l’eccezione degli immobili, diventano proprietà del governo cittadino il quale, a sua volta, li cede in comodato ai lavoratori. Si tratta di una sorta di “statizzazione”, ma assai curiosa e particolare, poiché lo Stato non assume questo ruolo quando si tratta di assicurare i salari e le condizioni di lavoro: gli attivi sono “statali” ma gli operai non diventano dipendenti statali.

E’ importante sottolineare che, sotto questo aspetto, le leggi [di esproprio, ndr] approvate dalla città di Buenos Aires differiscono da quelle approvate della provincia di Buenos Aires; queste ultime infatti contemplano la “donazione” dei beni espropriati ai lavoratori (incluso l’immobile). Non essendo proprietarie dei mezzi di produzione, degli impianti espropriati, le cooperative della città di Buenos Aires non raggiungono neppure lo status di “cooperative di produzione”. Siamo di fronte a una cooperativa di lavoro ma, al contempo, su questo piano, essa si muove  con un certo svantaggio rispetto a  molte cooperative “di comodo” che occultano una relazione di dipendenza o costituiscono una terziarizzazione nascosta, poiché queste ultime, almeno, fanno i conti con un padrone che assicura loro le attrezzature o anticipa i fondi necessari alla produzione. I lavoratori delle fabbriche espropriate si trovano, al contrario, abbandonati a sé stessi: non sono proprietari di nulla, non hanno un salario assicurato alla fine del mese, neppur minimo, e per di più mancano completamente di capitale di lavoro.

 

Il rischio dell’auto-supersfruttamento

A queste condizioni, non sfugge a nessuno che queste leggi producono il solo risultato di “calciare la palla per avanti”, come hanno ammesso espressamente diversi deputati nella presentazione di qntrambi i progetti. Il Partido Obrero, che ha presentato leggi di esproprio effettivo per Brukman e Grissinopoli, ha dato il suo voto a entrambe queste leggi solo per frenare i tentativi di sgombero e perché, per questo scopo, erano vivamente reclamate dai lavoratori; ma ha marcat nel contempo le proprie divergenze con i contenuti e l’orientamento generale di questi progetti.

La mancanza di capitale di lavoro in queste situazioni è stata segnalata ripetutamente nell’incontro alla Baskonia [un incontro di cooperative e fabbriche “recuperate” dai lavoratori promosso dal Movimento delle fabbriche recuperate, ndr] come una delle ragioni principali delle difficoltà in cui vengono a trovarsi le cooperative. La mancanza di fondi aumenta il pericolo che l’impresa finisca per diventare ostaggio di qualche gruppo capitalistico che anticipa i fondi e, su questa base, in quanto principale fornitore e cliente, arriva ad esercitare una pesante influenza nelle scelte dell’impresa. L’altra possibilità è che la gestione operaia finisca per sciogliersi, come è accaduto in tante esperienze cooperative nel passato. Il fatto di sopprimere la distribuzione dei dividendi e di decurtare gli stipendi astronomici ai direttori, amministratori e personale dirigente (tutti simboli della gestione operaia) sta a indicare la superiorità dei metodi di organizzazione della classe operaia rispetto a quelli padronali. Ma tutto ciò non può giustificare l’autosfruttamento dei lavoratori nel quadro di un sistema di cooperative senza contenuto politico, che sacrifica i salari e la salute per raccogliere i fondi necessari alla continuità della produzione.

 

Quali obiettivi per le fabbriche occupate

Oggi la lotta si propone di ottenere l’aiuto dello Stato per sostenere la gestione operaia e consentirle di confrontarsi con la forza del capitale. Tutto ciò deve prendere la forma di un programma che contempli questi punti fondamentali:

1. Lo Stato assuma le proprie responsabilità e assicuri in tutte le fabbriche espropriate un livello salariale equivalente al salario contrattuale; lo Stato deve farsi carico della eventuale differenza e integrare il salario mensile dei lavoratori nel rispetto delle condizioni di lavoro indicate dall’accordo. Diritto dei lavoratori delle fabbriche autogestite ad iscriversi al sindacato e a ricevere i benefici previdenziali del settore al quale appartengono.

2. Concessione di un sussidio straordinario alle fabbriche sotto gestione operaia affinché dispongano dei fondi necessari per la riapertura degli impianti e la loro messa in funzione.

3. Trasferimento gratuito dei beni espropriati ai lavoratori.

4. Elaborazione di un piano di produzione, volto ad aumentare il livello di produzione di ogni fabbrica e a dare un nuovo orientamento alla produzione, trasformando le fabbriche espropriate in fornitori privilegiati dello Stato, in funzione delle richieste insoddisfatte di ospedali, scuole, del settore pubblico e della popolazione povera.

Questo programma è parte integrante della lotta per costrui­re una centrale unica di fabbriche occupate e in lotta in grado di promuovere una lotta nazionale contro il capitale e contro lo Stato capitalista, per la nazionalizzazione delle banche e la creazione di un sistema bancario statale unico, che incorpori nel suo gruppo dirigente in forma maggioritaria i rappresentanti delle imprese occupate e sotto gestione dei lavoratori e rappresentanti dell’insieme della classe operaia.

[Da “Prensa Obrera” n. 772 del 19 settembre 2002]