Le politiche sociali dell'imperialismo europeo

 

di Alberto Madoglio

 

In un articolo apparso sul numero precedente di questo giornale, cercavamo di spiegare quali erano le vere ragioni che stavano alla base dell'aggressione militare all'Irak. Scrivevamo che si trattava di una guerra per cercare di ridefinire i rapporti di forza a livello internazionale tra le varie potenze imperialiste. Allo stesso tempo la guerra serviva come copertura ideologica utilizzata dalle classi dominanti e dai loro governi nei diversi Paesi, per lanciare un massiccio attacco ai lavoratori, nel tentativo di far pagare a loro i costi di una crisi economica mondiale che al momento sembra non avere vie d'uscita.

A poche settimane dalla fine della guerra, abbiamo la conferma di ciò che scrivevamo. In tutta Europa i governi stanno varando progetti di controriforma sociale e di smantellamento del welfare che mirano a rendere sempre più precaria la vita di milioni di lavoratori, giovani e disoccupati. E in tutta Europa questi progetti si scontrano con una forte resistenza da parte dei soggetti sociali che queste controriforme dovrebbero subire.

Dall'Austria, alla Gran Bretagna, dall'Italia, alla Francia e alla Germania, milioni di lavoratori si sono mobilitati per rispondere colpo su colpo agli attacchi del capitale.

 

Particolarmente interessanti sono i casi di Germania e Francia. Prima che le ostilità in Irak avessero inizio, Chirac e Schroder erano diventati i paladini di larghi settori dello schieramento pacifista, per la loro opposizione alla politica guerrafondaia di Londra e Washington. Gli avvenimenti di questi giorni dimostrano, soprattutto sul versante di politica interna, quanto le loro differenziazioni dall'asse anglo-americano fossero strumentali.

Tutti e due i governi hanno varato piani economici che prevedono una forte riduzione del welfare, agevolazioni fiscali alle imprese, flessibilizzazione del rapporto di lavoro, ecc.

 

In Francia, l'esecutivo guidato dal premier Raffarin ha varato un progetto di modifica del sistema pensionistico che prevede un aumento degli anni necessari per avere diritto alla pensione (nel 2020 serviranno 42 anni di contributi), forti penalizzazioni per chi decide di smettere di lavorare, una variazione del metodo con cui calcolare la pensione. Tutto ciò avrà come risultato che i lavoratori francesi dovranno lavorare di più per avere di meno.

Ma non basta. Allo stesso tempo è stato varato un progetto di riforma del sistema scolastico, che prevede tagli nel personale che provocheranno la perdita di 100.000 posti di lavoro.

 

Ancora più pesante è il piano di riforma del welfare, varato dal Governo "rosso-verde" di Berlino, la famigerata Agenda 2010.

Per cercare di far uscire la Germania da quella che sembra essere la più grave crisi economica degli ultimi anni, il primo ministro Schroder ha imposto un programma di drastica riduzione del welfare: diminuzione nella durata e nella somma corrisposta dei sussidi di disoccupazione (col risultato di mandare letteralmente sul lastrico i 4.500.000 senza lavoro del Paese), minori garanzie contro i licenziamenti, maggiore flessibilità nel lavoro, innalzamento a 65 dell'età pensionabile con relativo obbligo dal 2008 di integrare la pensione pubblica con una privata (regalo per banche e assicurazioni).

 

Era evidente che tutti e due questi progetti di contro riforma sociale avrebbero scatenato le proteste dei lavoratori, e così è stato.

In Francia da settimane si susseguono scioperi e manifestazioni che vedono la partecipazione di milioni di persone, e che hanno il sostegno della stragrande maggioranza della popolazione, nonostante la campagna volta a demonizzare i manifestanti orchestrata dai mass media e dal governo.

La classe operaia francese ha ancora impressa nella memoria la lunga mobilitazione che nell'autunno del 1995 costrinse il Governo Juppè a rimangiarsi un progetto di riforma delle pensioni simile a quello oggi proposto.

In Germania dopo un primo momento in cui il premier e il segretario del maggior sindacato, la DGB, sembravano vicini ad un accordo, vi è stata un rottura, in quanto sotto la pressione dei lavoratori e degli iscritti il leader sindacale ha dovuto fare momentaneamente marcia indietro

La lezione da trarre dagli avvenimenti è molto chiara.

 

L'opposizione alla guerra all'Irak da parte di queste due potenze imperialiste nulla aveva a che fare con una presunta loro volontà di pace, e con la nascita di una nuova politica in campo economico.

Lo dimostra il fatto che i due governi alla fine delle ostilità si siano immediatamente preoccupati di smorzare i toni della polemica con l'alleato americano, abbiano nel consiglio di sicurezza dell'Onu votato una mozione che sancisce l'occupazione militare dell'Irak, e abbiano lanciato appelli per partecipare al saccheggio delle ricchezze di quel Paese.

L'attacco lanciato alle masse popolari con le nuove misure in campo sociale, poi, è il segnale di come in un'epoca di crisi economica profonda, sia assolutamente impraticabile una politica che salvaguardi profitti delle imprese e salari dei lavoratori.

 

Nello scontro oggi in atto in questi due Paesi, il problema non è se la classe operaia avrà o meno la forza per poter resistere agli attacchi che le vengono lanciati da padroni e governi.

Il vero problema è capire se sia a Berlino che a Parigi riuscirà ad affermarsi una direzione politica delle mobilitazioni, che faccia comprendere ai lavoratori che la sola risposta alle loro rivendicazioni, anche le più elementari, potrà esservi solo se si intraprenderà una lotta più complessiva per l'abbattimento di quel sistema economico e sociale che è alla base delle tensioni oggi in atto, cioè il capitalismo.

Non potranno certo essere i socialisti francesi, che oggi in maniera opportunistica si oppongono al Governo di Chirac e Raffarin, coloro i quali potranno garantire un futuro diverso ai francesi.

Gli stessi socialisti che in cinque anni di Governo Jospin, appoggiato dal Pcf, hanno varato un massiccio piano di privatizzazioni, secondo solo a quello effettuato dal governo Prodi -purtroppo con l'appoggio di Rifondazione Comunista.

Lo stesso dicasi per la Germania, dove le critiche di Lafontaine, ex ministro di Schroder e ora suo principale avversario nel partito, sono funzionali ad un eventuale ricambio alla guida del Paese.

Il tutto nel solco della stessa impostazione di classe, come dimostra una recente intervista ad un quotidiano dove il "Napoleone della Saar", riconosce la necessità di "modernizzare" (leggi: ridimensionare drasticamente) tutto il sistema di protezioni sociali conquistate dai lavoratori in decenni di mobilitazioni.

Per la Francia e la Germania è indispensabile che tutte le forze genuinamente rivoluzionarie lottino per la costruzione di un partito che rappresenti realmente le esigenze dei lavoratori, denunciando le politiche antioperaie e antipopolari degli schieramenti dell'alternanza borghese di centrodestra e centrosinistra.

Nonostante che il giornale del Prc abbia loro dedicato nei mesi precedenti titoli entusiastici, non saranno certo né Chirac né Schroder a porre fine alle politiche liberiste oggi tanto in voga.