La nuova legge regionale (Bastico) sulla scuola

Emilia Romagna: la scuola di classe del Centrosinistra

 

di Fabiana Stefanoni*

 

In Emilia Romagna, regione governata da una giunta di Centrosinistra che vede anche la partecipazione di Rifondazione Comunista, è in discussione, mentre scrivo questo articolo, un nuovo progetto di legge regionale sulla scuola: ponendosi in continuità con la precedente legge Bastico (già votata dal Prc, nonostante prevedesse finanziamenti diretti e indiretti alle scuole private, in linea con le logiche classiste delle leggi nazionali di Parità e Autonomia scolastica volute dall’Ulivo), la nuova legge avalla quei processi di smantellamento della scuola pubblica che, dopo il varo della riforma Moratti, stanno subendo in Italia una decisa accelerazione. L’aspetto tristemente ridicolo della vicenda è che tale proposta di legge viene presentata dall’assessore regionale alla scuola e alla formazione (Mariangela Bastico, da cui il nome della legge) come un tentativo di “limitare i danni della riforma Moratti”, sfuttando al massimo le competenze assegnate alle regioni dalla riforma del capo V della Costituzione: un atteggiamento che s’inserisce a pieno titolo nel più generale progetto, portato avanti dalla giunta Errani nel suo complesso, di accentuare le dinamiche federaliste che vogliono le Regioni soggetti attivi nella gestione - di fatto smantellamento - dei servizi pubblici (scuola e sanità in primis). Quanto deleterio possa essere questo approccio regionalista a fronte del dispiegarsi della devolution bossiana è pressoché evidente: l’ennesima riconferma del fatto che il Centro borghese dell’Ulivo concorre con le forze del Centrodestra nel presentarsi quale rappresentante ideale degli interessi della piccola e media impresa italiana.

Ma la proposta della Bastico non si ferma a questo: anche sul piano dei contenuti, la legge regionale che il Centrosinistra s’appresta a varare (molto probabilmente entro l’estate) non differisce nella sostanza dai punti salienti della “riforma” Moratti. Del resto, pretendere di contrastare la Moratti riconfermando in toto il principio del sistema integrato pubblico-privato (principio apripista della privatizzazione dell’istruzione pubblica, voluto dai ministri ulivisti Berlinguer e De Mauro) è un po’ come tentare di alleviare un dolore procurandone un altro: la “riforma” Moratti non è che l’accentuazione di processi già avviati dalla “riforma” Berlinguer, senza grossi salti qualitativi, benché all’insegna dell’aggravamento dei processi di mercificazione e aziendalizzazione. Così, la proposta di legge Bastico ripropone il principio che il sistema dell’istruzione pubblica comprenda anche istituti privati di ogni ordine e grado e che questi debbano ricevere finanziamenti diretti e indiretti dalla Regione e dagli enti locali. Nello specifico, la legge ripropone il sistematico finanziamento delle materne private, che da anni in Emilia Romagna godono di tanti favori. Non solo: la legge sbandiera la propria attenzione al cosiddetto “sistema integrato istruzione-formazione professionale”, con tanto di finanziamenti agli istituti adibiti a tale tipo di formazione che, in Emilia Romagna, solo per il 7,2 % sono gestiti da enti pubblici, mentre per il restante 92,8% da privati.

Ma il finanziamento alle scuole private non è l’unico aspetto che il progetto di legge riprende dai suggerimenti di Berlinguer. Altri gravi aspetti di quella “riforma” vengono oggi riproposti senza mezzi termini: l’autonomia didattica e organizzativa delle istituzioni scolastiche, con la connessa ingerenza da parte delle imprese private nella definizione dei contenuti impartiti a lezione e nella valutazione dei percorsi formativi; la cosiddetta formazione continua, che non era altro che la trasposizione sul piano formativo della precarizzazione del lavoro voluta dal pacchetto Treu (con la riforma dell’apprendistato e dei contratti formazione-lavoro s’intendeva rendere l’istruzione pubblica complice - svendendola - dello sfruttamento selvaggio di forza-lavoro soprattutto giovanile); l’alternanza scuola-lavoro, intesa come offerta al padronato di manodopera a costo zero attraverso stages in azienda.

Evidentemente il modello di scuola col quale la regione Emilia Romagna pretende di contrastare la “riforma” Moratti si fonda sulle stesse medesime coordinate di quest’ultima: concezione privatista e aziendalista degli istituti scolastici; pesante selezione di classe attraverso la canalizzazione precoce degli studenti proletari verso la formazione professionale, di fatto fin dai 14 anni; concezione della scuola non già come servizio rivolto alla soddisfazione di un bisogno sociale ma come strumento nelle mani di padroni e padroncini ai fini dell’investimento di capitali e dello sfruttamento di forza-lavoro. Detto questo, in cosa possa consistere quel presunto “opporsi con fermezza” alla riforma Moratti attraverso tale legge, sbandierato ai quattro venti dall’assessore e dai partiti dell’Ulivo, francamente ci sfugge. Lo spirito che informa la legge è lo stesso che sta alla base della famigerata politica dei buoni-scuola portata avanti dalle regioni del Centrodestra, politica che porta all’estremo i principi della Parità, arrivando a prevedere finanziamenti destinati quasi esclusivamente agli studenti delle private.

Ma gli artifizi retorici utilizzati dagli assessori ulivisti non sono valsi ad ingannare tutti gli studenti e gli insegnanti. Nonostante il plauso della Cgil-scuola, insegnanti e settori del sindacato extraconfederale si stanno mobilitando contro il progetto di legge regionale. Non solo: studenti delle scuole medie superiori, col sostegno di alcuni universitari, stanno dando vita a gruppi di discussione, iniziative pubbliche, momenti di riflessione e critica nei confronti di questo progetto. Ovviamente, studenti e insegnanti hanno chiesto anche l’attenzione del Prc e, in particolare, dei Giovani Comunisti a queste problematiche. Sennonché il nostro partito si trova in una condizione quantomeno imbarazzante, dato che fa parte proprio di quell’alleanza di governo che s’appresta a varare la legge. È, questa, la conferma della giustezza di una convinzione che sta alla base delle nostra battaglie di giovani rivoluzionari della sinistra del partito: opporsi alla mercificazione dei saperi, allo smantellamento della scuola pubblica, all’ingerenza dei privati nell’ambito formativo non può che significare costruzione di un fronte di classe che ponga nell’opposizione netta ai partiti della borghesia la propria discriminante. Inserendosi appieno nelle mobilitazioni, valorizzando i momenti di autorganizzazione studentesca (luogo centrale della costruzione del conflitto), i Giovani Comunisti dovrebbero mirare alla costruzione di un soggetto studentesco nazionale che faccia della discriminante di classe il fulcro del proprio agire. Premessa necessaria è che i Giovani Comunisti prendano atto del fatto che ogni alleanza di governo, anche locale, coi partiti della borghesia priva il partito della possibilità di porsi come referente anticapitalistico per le mobilitazioni studentesche. Che credibilità può avere una battaglia contro la privatizzazione della scuola pubblica se contemporaneamente si avallano, come in Emilia Romagna, politiche di finanziamento agli istituti parificati? Che credibilità può avere una battaglia, anch’essa centrale e strettamente connessa all’ambito studentesco, per la gratuità dei trasporti se contemporaneamente il Prc si astiene, come in Emilia Romagna, su una legge che privatizza il trasporto pubblico locale? Che credibilità può avere, più in generale, una battaglia per l’estensione dei diritti se allo stesso tempo, in combutta con la borghesia, si vota, come in Emilia Romagna, a favore di leggi che prevedono l’intervento dei privati nella gestione dei servizi pubblici (V. la legge regionale sull’assistenza)?

Queste considerazioni sono tanto più valide oggi, nel momento in cui il Prc accelera i processi di avvicinamento all’Ulivo in vista di un’alternanza di governo per il 2006 (come esplicitamente dichiarato in varie interviste dal segretario nazionale Bertinotti). Occorre che i Giovani Comunisti fin da ora prendano una posizione netta di contrarietà a qualsiasi prospettiva di partecipazione del Prc a un futuro governo borghese dell’Ulivo: prospettiva che significherebbe il tradimento delle istanze poste dai movimenti, non solo studenteschi, che hanno preso vita negli ultimi anni. Come giovani dell’amr Progetto Comunista, come rivoluzionari della sinistra del partito, ci batteremo affinché il Prc e i Giovani comunisti abbandonino il progetto di ricomposizione col Centro liberale dell’Ulivo (Margherita e maggioranza Ds); affinché, nell’ambito della scuola, le rivendicazioni di studenti e insegnanti per un’istruzione più giusta, pubblica e aperta a tutti trovino nella lotta per la trasformazione rivoluzionaria socialista l’unico esito credibile. Come scriveva Rosa Luxemburg: “chi si pronuncia favorevole alla via della riforma legislativa, invece e in contrapposto alla conquista del potere politico e alla rivoluzione sociale, sceglie in pratica non una via più tranquilla, più sicura, più lenta, verso la stessa meta, quanto piuttosto un’altra meta, cioè, in luogo dell’instaurazione di un nuovo ordinamento sociale, soltanto dei mutamenti, e non sostanziali, dell’antico”. Anche oggi, anche nelle lotte studentesche, l’alternativa rivoluzionaria è l’unica prospettiva in grado di frenare l’attacco padronale al diritto allo studio.

 

*Coordinamento nazionale Giovani Comunisti/e