Ad
un anno dal V congresso del Prc
Un
primo bilancio di verità, dopo un anno dal V congresso, rappresenta un
esercizio politico assolutamente elementare per verificare la linea politica del
Prc nel vivo della lotta di classe e degli avvenimenti nazionali ed
internazionali. Un bilancio costantemente evitato dal gruppo dirigente
maggioritario, nella consapevolezza di rimuovere contraddizioni ed errori che,
tanto più oggi, rischiano di iscrivere pericolose ipoteche sulla stessa
esistenza della rifondazione comunista.
Una
necessità politica che però vive nella coscienza di tanti militanti che al V
congresso ritennero che l’uscita dal governo Prodi nel 1998 e la
ricollocazione all’opposizione avesse costituito “un atto rifondativo” e
che occorreva costruire un programma fondamentale della “sinistra
d’alternativa”. Una proposta politica che, se da un lato ha tradotto
obbiettivamente un diffuso sentimento di autonomia di classe maturato nella base
militante del partito, dall’altro è stata utilizzata dal gruppo dirigente
maggioritario come abbellimento (scomodando persino Engels nel definirla una
“bandiera piantata nella testa della gente”), per costruire la “sinistra
plurale” (tesi 37), smentita, tra l’altro, di lì a poco dalla capitolazione
di Jospin in Francia.
Una
linea politica che fin dall’ora si proponeva di costruire un’alternativa di
governo con le forze della sinistra moderata e riformista, precostituendo un
terreno per il riavvio di un processo negoziale che, malgrado giudicato
“difficile e faticoso”, era posto come prioritario. La costruzione di un
governo di “sinistra plurale” fu ritenuta un elemento di discontinuità e di
effettiva novità da gran parte del corpo del partito, perché, seppur in forme
contraddittorie, poneva la rottura con il centro liberale.
Tutta
l’articolazione della proposta politica era motivata da un giudizio negativo
sulle forze dell’Ulivo. La tesi 30 del documento di maggioranza sentenziava
“il fallimento strategico del centrosinistra e dei Ds”: un giudizio
lapidario e senza appello, esteso al “centrosinistra mondiale da Clinton a
Blair”. In Italia, si asseriva: "questo
fallimento ha assunto la fisionomia di scelte economiche, sociali e
istituzionali distinguibili da quelle del centrodestra solo dal punto di vista
quantitativo: in particolare ha prevalso la logica delle privatizzazioni, delle
liberalizzazioni, del progressivo deperimento del ruolo redistributivo dello
stato, della subalternità ai grandi potentati economici. (...) I gruppi
dirigenti della sinistra moderata appaiono non solo incapaci di uscire dalla
gabbia dell’alleanze di centrosinistra, ma soprattutto prigionieri di una
continua rincorsa verso il centro e verso una ricollocazione neocentrista
dell’Ulivo". E così una piattaforma d’opposizione al governo delle
destre richiede “il rovesciamento” della logica del centrosinistra e delle
sinistra moderata.
La
finzione diviene realtà, e una linea politica d’alternativa al
centrosinistra, decantata al V congresso come musa incantatrice, strada facendo
ha gettato la maschera e oggi mostra la sua reale fisionomia: costruire il
compromesso politico e di governo con l’Ulivo per il 2006, sottacendo
sapientemente che la Margherita e la maggioranza Ds sono allineati con
Berlusconi contro l’estensione dell’articolo 18, per l’invio delle truppe
italiane in Irak (come precedentemente in Afghanistan e nel Kossovo) e si
riservano di aprire alla maggioranza di centrodestra sullo stesso Lodo Maccanico
(vedi l’uscita dall’aula del senato al momento della votazione di settori
significativi del centrosinistra).
La
parabola negoziale del gruppo dirigente del Prc è divenuta irrefrenabile: così
mentre il segretario dei Ds Fassino al congresso dei giovani imprenditori
tenutosi a Riva del Garda, in piena sintonia con D’Amato, presidente di
Confindustria, giudica il referendum sull’estensione dell’art. 18 “dannoso
ed inutile” chiedendo esplicitamente “di non partecipare al voto”,
Bertinotti invece di sollevare una campagna di scandalo sul tradimento ordito
dagli apparati del principale partito della sinistra, costruendo nel suo blocco
sociale una vasta mobilitazione, chiede al centrosinistra, in nome del risultato
delle amministrative e dell’unità delle forze di opposizione, di indicare ai
propri elettori la libertà di coscienza o in alternativa un “Sì tecnico”,
evocando in penombra lo scambio consumato con la non belligeranza alle politiche
del 2001.
Di
più, mentre il governo Berlusconi sferza un attacco ai lavoratori con la
riforma sul mondo del lavoro e l’ex ministro Treu, in nome dell’Ulivo,
asserisce che rispetto alla riforma varata dal centrosinistra ("pacchetto
Treu") non cambia nulla, si tengono in vita le commissioni paritetiche per
il programma tra l’Ulivo e Prc, in cui Treu è uno dei “saggi” della
commissione sul lavoro.
Veniva
assunta la mitologia della globalizzazione, contrapponendo un “nuovo
capitalismo”, il cui esito sarebbe stato quello di “aumentare enormemente le
disuguaglianze, le ingiustizie e le differenze sociali tra paesi poveri e paesi
ricchi”, ad un capitalismo buono che in passato “sì lasciava umanizzare,
riformare e temperare”.
In
questo nuovo ordine mondiale, veniva detto al V congresso con la tesi 10: "Si
svuota la tradizionale funzione di mediazione dello stato” – poiché –
“la leva del comando dell’economia
risiederebbe nei grandi organismi costruiti su basi a-democratiche a livello
internazionale, come il fondo monetario internazionale (FMI), l’organizzazione
mondiale del commercio (OMC), la banca mondiale (BM) e l’organizzazione per lo
sviluppo e la cooperazione economica (OCSE).”
Da
ciò se ne deduceva l’inadeguatezza della nozione classica
dell’imperialismo, asserendo che sarebbe stato forviante “catalogare
i contrasti e i conflitti internazionali tra stati come effetti delle
contraddizioni interimperialistiche” (tesi 14), pronosticando,
nell’azzardo, come dimostra l’attualità, l’improponibilità di guerre
imperialiste e l’utilizzo dello scontro armato tra stati per il controllo dei
territori e delle risorse di mercato.
Ma
i fatti hanno la testa dura!
All’opposto
la guerra in Irak, e prima ancora in Afganistan e in Kossovo, hanno smentito
clamorosamente l’ideologia bertinottiana di un impero indistinto e
globalizzato, riproponendo nella sua attualità il ruolo ineliminabile dello
stato nazionale quale gendarme del capitale.
Tanto
più oggi, la globalizzazione non è rappresentabile come quadro dell’economia
mondiale, ma l’effetto naturale della restaurazione capitalistica dopo la
caduta del muro di Berlino, mettendo il luce i giganteschi processi di
restaurazione imperialistica nell’est europeo e in forma incompiuta in Cina,
che, congiunti ai nuovi rapporti di forza nei paesi dipendenti, hanno alimentato
una competizione tra stati e blocchi, privando d’ogni base reale sia la
mitologia bertinottiana dell’impero, che le fantasie del campismo
neo-togliattiano.
Si
ripropone nel quadro mondiale la politica di terrore e barbarie
dell’imperialismo, che pur mutando le sue forme non cambia la sostanza:
ingenti concentrazioni monopolistiche; speculazioni finanziarie; riavvio delle
politiche neo-coloniali e della guerra imperialista per il saccheggio dei paesi
dipendenti.
E
proprio la guerra, al di là d’ogni sua rappresentazione meta storica, mostra
il carattere imperialista dell’UE, che lungi dall’essere una semplice area
di dipendenza del capitalismo nord americano, a-democratica e liberista, cui
contrapporre una nuova Europa sociale, come veniva asserito al V congresso dal
gruppo dirigente maggioritario del Prc, si candida ad essere un polo concorrente
agli USA che rivendica la spartizione del bottino dopo la guerra in Irak, ed
invoca la costruzione di un esercito europeo quale strumento fondamentale per
competere nella divisione delle nuove colonie del mondo.
Ad
un anno dal V congresso rimane assolutamente centrale il giudizio positivo sulla
nascita del movimento antiglobal e la sua capacità di contagio che ha
esercitato nella società civile, sia nazionale sia internazionale. Un vento
nuovo che ha rappresentato l’effetto naturale della crisi di egemonia politica
dell’imperialismo e al contempo ha segnato un terreno sociale in cui sono
maturate le più imponenti manifestazioni operaie e pacifiste dal dopo guerra ad
oggi.
Tuttavia
il V congresso veniva celebrato dal gruppo dirigente maggioritario del Prc,
tessendo le lodi della spontaneità del movimento e dell’autosufficienza del
“movimento dei movimenti”.