Dopo il 12-13 giugno una scelta chiara di prospettiva
O CON GLI OPERAI DI MELFI
O CON MONTEZEMOLO E L'ULIVO
Il 12-13
giugno Silvio Berlusconi ha ricevuto un colpo. Ora è necessario affondare il
suo governo. Ma non in direzione di un ritorno alla concertazione oggi sospinta
da Montezemolo e dal centro liberale dell'Ulivo. Bensì nella direzione operaia:
quella indicata dai lavoratori di Melfi, della Fincantieri, dell'Alitalia.
Quella della svolta sociale dell'intero mondo del lavoro e della giovane
generazione. Quella di un'alternativa di società e di potere, che è
incompatibile con i D'Alema e con i Prodi.
Il voto del
12-13 giugno ha in parte registrato, a suo modo, la lunga stagione di lotte che
ha attraversato l'Italia negli ultimi tre anni. La flessione marcata di Forza
Italia ha misurato la crisi del blocco sociale berlusconiano, sia sul versante
del lavoro dipendente che delle classi medie impoverite (anche se il profilo
confindustriale del Triciclo di Prodi ha frenato la rottura col Polo di questi
settori sociali). L'avanzata dei Ds leggibile in particolare nel voto
amministrativo è stata in parte il riflesso passivo della crisi berlusconiana e
in parte il portato attivo delle mobilitazioni sindacali e dei loro veicoli
(dalla Cgil alla sinistra Ds). Il relativo successo del Pdci e del Prc ha
riflettuto rispettivamente l'evoluzione a sinistra di un settore popolare di
base Ds e la domanda di radicalità di un settore d'avanguardia della giovane
generazione. Le ricadute sul voto della nuova stagione di mobilitazioni sono
state dunque diverse e contraddittorie tra loro. Ma il segnale che esprimono, da
differenti versanti, è uno solo: una domanda di rigetto delle vecchie politiche
dominanti che segnano da vent'anni la vita nazionale e, insieme, la ricerca
confusa di una svolta. Contro Berlusconi in primo luogo. Ma anche in aperta
diffidenza verso quel centro liberale dell'Ulivo che è stato estraneo od
ostile, per tre anni, a tutti i principali movimenti di lotta (operaio, noglobal,
antiguerra e girotondino) e alla loro avanguardia di massa.
La
Confindustria cambia cavallo
Quale
prospettiva dare, dunque, al segno e alla domanda di questo voto? La risposta
poggia, necessariamente, sulla lettura di classe delle tendenze in atto.
La crisi del
berlusconismo si aggrava ma è già in agguato l'ennesimo ricambio di
alternanza. La nuova Confindustria di Montezemolo cambia cavallo, rompe con
Berlusconi, e rivendica il ritorno alla concertazione. Bankitalia e le
principali banche del Nord e del Centro seguono a ruota il nuovo corso
confindustriale. Si badi: non c'è alcun "cambio di programma"
nell'agenda del grande padronato e dei banchieri. Restano in prima fila le
vecchie domande di ulteriore controriforma pensionistica, di rilancio di
liberalizzazioni e privatizzazioni, di stabilizzazione della flessibilità,
magari ammortizzata. E quando parlano di un nuovo intervento pubblico a favore
di ricerca, nuove tecnologie, aiuto alle esportazioni, parlano semplicemente di
nuove risorse ai padroni, pagate, in tempo di crisi, dal taglio delle pensioni e
da nuove privatizzazioni. Come si vede, non c'è alcuna svolta progressista di
un padronato "illuminato". La svolta riguarda invece le modalità
d'attuazione del programma padronale. Non più scontro sociale col movimento
operaio organizzato, non più tentativo di isolamento ed emarginazione
dell'apparato burocratico della Cgil, ma rilancio di un quadro organizzato e
stabile di collaborazione e coinvolgimento delle direzioni maggioritarie del
movimento operaio, a partire proprio dalla Cgil. E i vertici della Cgil
raccolgono prontamente, con entusiasmo, la nuova apertura padronale: pronti ad
assumersi, come sempre, "le proprie responsabilità" nel caso di
un'autentica ricomposizione del patto sociale.
Margherita e
maggioranza Ds si candidano, dal canto loro, a sponda politica dell'operazione.
Nella prospettiva di quel secondo governo Prodi che tanto più oggi si delinea
come il governo della grande industria e delle grandi banche in funzione della
rimozione delle lotte e dei movimenti.
Se questo
processo di alternanza si realizzerà è impossibile prevederlo con certezza. Ma
certo esso è già in pieno corso. E l'accentuarsi della crisi del berlusconismo
potrà ulteriormente sospingerlo.
Chi pensa
che la ripresa delle lotte e dei movimenti possa di per sé rallentare o
correggere questo processo ha una visione capovolta della realtà: di per sé
la ripresa delle lotte, e tanto più la loro nuova radicalità, è la principale
spinta propulsiva dell'alternanza borghese liberale: è il principale fattore
che spinge la borghesia a puntare su un nuovo equilibrio politico
(centrosinistra) e su nuove relazioni sociali (concertazione), mirate a
disinnescare le micce di rivolta e favorire la pace sociale. Si può non
vederlo?
La forza
dei lavoratori può cacciare Berlusconi
E' vero
invece che la ripresa delle lotte contiene una potenzialità politica
alternativa che richiede, per dispiegarsi, un progetto politico
anticapitalistico, fondato sull'indipendenza di classe.
Da tempo
abbiamo segnalato l'esistenza, in Italia, delle potenzialità di esplosione
sociale. Non ci eravamo sbagliati. Le lotte degli autoferrotranvieri, di
Scanzano, dell'Alitalia e soprattutto di Melfi indicano la ripetuta tendenza di
settori proletari a rompere le vecchie regole del gioco degli scioperi farsa e
ad imbracciare l'uso della propria forza. Queste lotte hanno prodotto risultati
contraddittori sul piano strettamente sindacale me di enorme rilevanza politica:
hanno costretto padronato e/o governo a indietreggiare, a trattare sulla
piattaforma degli scioperanti, a cadere. E il fatto che ciò sia avvenuto alla
Fiat, a venticinque anni dalla sconfitta dell'autunno '80, riveste un
significato storico per il proletariato italiano. Né è un caso che queste
lotte, trainate da una giovane generazione operaia, tendano a moltiplicare i
propri effetti di propagazione incidendo sul senso comune delle masse: "se
hanno vinto a Melfi, con uno sciopero a oltranza, perché non imitarli anche
noi?". Alla Fincantieri, alla Polti di Cosenza, questa è stata la
tendenza. E anche lì i risultati non sono mancati.
Ecco allora
la lezione. Se la forza operaia può vincere un padrone, anche il più
intoccabile e sperimentato, perché la forza unita di tutto il mondo del lavoro
non potrebbe piegare la resistenza dell'intero padronato e del governo?
Perché la
forza operaia non potrebbe cacciare dal basso Berlusconi sulla base di una
piattaforma di rottura con la borghesia e di un'azione di sciopero generale
prolungato? Non si dica che "questo è impossibile" così come sino a
ieri si dichiaravano "impossibili" gli scioperi a oltranza. E' vero
invece che il salto da singole lotte radicali ad un'azione di classe generale
esige una volontà politica concentrata, una direzione politica e sindacale che
punti sino in fondo sulla classe operaia e sulla sua forza. Che rompa col tran
tran concertativo della vecchia burocrazia dirigente del movimento operaio,
anche quella "di sinistra". Che dunque sia autonoma, innanzi tutto,
dalle forze politiche della borghesia e da ogni logica di compromesso di governo
con esse.
L'opposizione
comunista è incancellabile
Il punto
decisivo dunque è, come sempre, il progetto politico che si persegue. E questo
vale in primo luogo per il Prc.
L'intero
scenario sociale e politico nazionale carica il Prc di una grande responsabilità.
Ponendolo di fronte a un bivio sempre più stretto e assolutamente inaggirabile.
Se solo
volesse il Prc potrebbe costruirsi come il punto di riferimento politico di una
nuova generazione di lotta. Potrebbe introdurre una proposta di unificazione
delle lotte, attorno ad una piattaforma di svolta e ad una forza d'azione
generale prolungata. Potrebbe battersi fra i lavoratori e nelle loro
organizzazioni di massa contro ogni ripresa della concertazione, organizzando e
unendo tutta l'avanguardia di classe in alternativa ai vecchi apparati. Ma
potrebbe far questo ad una sola condizione: quella di rompere col centro
liberale di Prodi e D'Alema, appellandosi all'intero movimento operaio e a tutte
le sue espressioni perché insieme si rompa col liberalismo borghese e insieme
si lavori a costruire una vera alternativa di società e di potere.
Se invece la
maggioranza dirigente del Prc continuerà a perseguire, e in forme sempre più
chiare, il proprio futuro inserimento in un governo basato sugli industriali e
sui banchieri, la sua intera politica ne rimarrà segnata. Oggi con
l'adattamento silenzioso alla burocrazia Cgil, con la moltiplicazione degli
assessorati nelle giunte locali uliviste, col rifiuto di sostenere la resistenza
irakena all'aggressione imperialista. Domani, ben più gravemente, con la
diretta concertazione negoziale delle politiche antioperaie del governo Prodi:
ossia col diretto passaggio di campo dall'altra parte della barricata (di
classe).
Progetto
Comunista si contrapporrà a questo esito distruttivo con tutte le proprie
forze. E fa appello a tutti quei compagni e compagne del partito che, al di là
di ogni passata collocazione congressuale, vogliono contrastare la deriva
governista del partito e impedire che si compia. A tutti diciamo: una
cancellazione dell'opposizione comunista sarebbe inaccettabile. Non solo
per noi. Ma per un settore significativo dell'avanguardia operaia e giovanile.
(15
giugno)