La
Spagna di Zapatero
Nuovi
miti, nuove false prospettive
di
Alberto Madoglio
Strano
partito, Rifondazione Comunista. Per anni uno dei punti centrali
dell’innovazione bertinottiana è stato quello di prendere le distanze dai
padri storici del movimento comunista internazionale, per indicare il Prc come
partito sempre alla ricerca appunto dell’innovazione politica e
contemporaneamente in grado, non avendo legami a riferimenti del passato, di
comprendere e interpretare il presente.
Così
nel tempo si sono prese via via le distanze da Lenin, Gramsci, Marx ecc., in un
percorso che è stato sì graduale (nella forma, molto più rapido e privo di
ripensamenti nella sostanza) ma continuo.
Allo
stesso tempo, per trovare esempi che giustificassero le varie contorsioni del
Prc, volte però a traghettare il partito verso una prospettiva di governo con
la borghesia liberale, si sono ricercati e indicati “miti” e punti di
riferimento nel panorama politico presente.
Il
primo di questi riferimenti, e per certi versi più duraturo, è stato il
Subcomandante Marcos (chi ne ricorda più l’esistenza?). Poi e stata la volta
di Jospin, a capo di un governo che nelle illusioni del gruppo dirigente del Prc
doveva rappresentare l’alternativa europea alle politiche del capitale (salvo
essersi distinto per aver fatto il maggior numero di privatizzazioni in Europa
nei cinque anni in cui ha governato, secondo solo all’esecutivo Prodi,
sostenuto per due anni dal Prc); poi di Lula (anche lui oggi non molto in voga
nel partito, dopo essere stato applaudito dal mondo finanziario internazionale);
per arrivare la scorsa primavera alla coppia Chirac-Schroder (indicata
come" la risposta pacifista europea" all’imperialismo guerrafondaio
di Usa e Gran Bretagna).
Oggi
la nuova speranza per il Prc sembra essere incarnata da Zapatero, vincitore a
sorpresa delle elezioni politiche del 14 marzo in Spagna.
Cercheremo
di dimostrare come, anche stavolta, tutte queste speranze siano mal riposte, e
qual è il vero significato dell’ennesimo abbaglio del gruppo dirigente del
partito.
Come
dicevamo, la vittoria elettorale del Psoe ha destato molta sorpresa.
In
verità già alle elezioni amministrative del 2003 vi era stato il sorpasso del
partito socialista sul Partito Popolare di Aznar, primo segnale di disaffezione
verso un governo sostenitore di politiche ultraliberiste e di attacchi violenti
ai diritti dei lavoratori. A ciò si deve aggiungere che la Spagna è stato il
Paese europeo in cui il rifiuto alla guerra all’Irak (in cui la Spagna ha
avuto un ruolo centrale: vedi vertice delle Azzorre di cui parlavamo nel
precedente numero del giornale) è stato più ampio.
In
effetti, alcuni sondaggi pre-elettorali davano un vantaggio sempre più stretto
del Pp nei confronti del Psoe.
La
disastrosa gestione del governo di Madrid delle ore immediatamente successive
agli attentati dell’11 marzo, col maldestro tentativo di incolpare l’Eta per
le stragi nelle stazioni della capitale e di obbligare tutti i mass media ad
avvallare la versione ufficiale del governo, ha fatto il resto.
Le
imponenti manifestazioni popolari antigovernative del week-end elettorale hanno
convinto molti elettori che in passato avevano disertato le urne a dare il loro
voto al partito di Zapatero (il Po ha perso soltanto 300 mila voti rispetto alle
elezioni del 2000) e a decretarne la vittoria.
La
sconfitta di un governo apertamente impopolare e stretto alleato di Berlusconi,
la dichiarazione del neo premier circa il ritiro delle truppe spagnole dall’Irak,
hanno fatto sì che “Bambi” (questo il soprannome del primo ministro
socialista) sia stato indicato da Liberazione
e dalla segreteria del Prc come un nuovo -seppur contraddittorio- punto di
riferimento, anticipazione di una "svolta di governo" (verso il
centrosinistra) anche in Italia.
“Oggi
in Spagna, domani in Italia”, “La svolta di Zapatero”, “Una svolta
possibile”, questi alcuni dei trionfalistici titoli che Liberazione
ha dedicato al dopo elezioni spagnolo.
Ma
è proprio così?
E’
stato lo stesso Zapatero ad affermare che il suo governo avrebbe intrapreso un
“cambiamento moderato rispetto al governo di Aznar” (La
Repubblica, 15 marzo 2004), e già questa sola citazione dovrebbe fare
giustizia di tanto mal posto ottimismo da parte di un partito che, almeno per
l’oggi, si definisce comunista. Ma c’è di più.
Dicevamo
che la decisione di togliere la Spagna dal pantano iracheno è stata sicuramente
una mossa ad effetto e altamente popolare.
Certo,
visto gli alti costi e i bassi benefici ottenuti da Madrid a un anno dalla fine
delle ostilità, si e trattato più di una scelta di buon senso che un eroico
atto rivoluzionario. Ricordiamo tra l’altro che all’inizio Zapatero lasciava
aperto uno spiraglio sulla presenza militare nel paese medio orientale, a patto
che fosse stato sostenuta da una “qualsiasi organizzazione multinazionale” (Onu,
ma anche Nato), così come scriveva il Riformista il 15 aprile.
Ma
nonostante la decisione di ritirarsi da Baghdad, il premier spagnolo ha in ogni
modo ribadito il proprio impegno a battersi contro "il terrorismo
internazionale" e a mantenere le truppe, o aumentarle se necessario, negli
altri Paesi in cui l’imperialismo spagnolo difende i propri criminali
interessi (Balcani, Afghanistan, ecc.).
E’
palese, quindi, quanto la patente di leader pacifista affibbiata dal Prc a
Zapatero sia inadeguata. E non è che l’inizio.
Particolarmente
istruttiva e interessante è la lettura del programma elettorale del Psoe e di
un’intervista a Zapatero, consultabili sul sito web del partito socialista (www.psoe.es).
In
materia economica il nuovo premier spagnolo propone un "taglio del 2% delle
spese correnti", un eufemismo per dire che sarà fautore di una politica di
tagli allo stato sociale, come si può evincere dall’accettazione del patto di
Toledo, l’accordo cioè fra sindacati e governo Aznar che rappresentava la
trasposizione in salsa iberica della politica di concertazione italiana (il
patto prevede una riforma delle pensioni in senso privatistico e
l’introduzione del sistema contributivo, una riforma del welfare secondo i
dettami di Maastricht, ecc.
In
questo campo la critica al Pp è tutta centrata sulla politica di lottizzazione
dei potentati economici del Paese, sulla scarsa propensione ad una politica di
vere privatizzazioni, su una scelta di sviluppo basata solo sul lavoro precario
e poco qualificato, invece di puntare ad una più marcata modernizzazione delle
strutture economiche industriali della Spagna.
Insomma
le stesse accuse che in Italia il centrosinistra fa alla Casa delle Libertà,
senza però mettere minimamente in discussione il predominio del capitale sul
lavoro.
In
politica estera, oltre alla già citata scelta di voler mantenere le truppe
spagnole nelle varie aree in cui queste sono impegnate, è ribadita la volontà
di considerare il Sudamerica come un’area strategica per le multinazionali
spagnole (banche, assicurazioni, compagnie telefoniche, ecc.).
E’
anche per questo che la polemica verso gli Usa per la loro gestione del dopo
guerra in Irak si mantiene su livelli molto bassi: per gli interessi
dell’imperialismo spagnolo in America latina è meglio che i rapporti con la
super potenza americana siano improntati alla massima collaborazione, tenuto
conto che, con la prossima creazione del mercato dell’Alca, il ruolo di
Washington sarà ulteriormente aumentato.
Strumento
indispensabile per raggiungere questi obiettivi, è la creazione di un moderno
esercito professionale, fiore all’occhiello del programma di governo di
Zapatero.
Ora,
come tutto questo possa essere millantato come un progresso per le classi
popolari spagnole ed europee è un mistero che neanche la fervida retorica
oratoria del compagno Bertinotti riuscirà mai a spiegarci.
Certo,
il Psoe non è la lista Prodi, il suo radicamento tra le classi subalterne del
Paese e la sua natura socialdemocratica lo costringono ad usare una fraseologia
più “di sinistra” rispetto a quanto non possa fare il centrosinistra
italiano.
Ma
la sostanza non cambia.
Non
è la mancanza di forze apertamente borghesi (come la Margherita o il centro
liberale dei Democratici di Sinistra, per ciò che riguarda l’Italia) nel
governo spagnolo che può far sì che esso possa essere caratterizzato come un
esecutivo di rottura nei confronti delle scelte oggi prevalenti in Europa.
E’il
suo programma che ne determina la natura di strumento che la borghesia spagnola
utilizzerà nel futuro per aumentare i propri profitti e il proprio peso nella
competizione internazionale.
La
stessa scelta di Pedro Solbes (ex membro della commissione UE guidata da Prodi)
per il ruolo di ministro dell’economia, garantisce più di altro la natura di
classe (capitalista) del governo Zapatero.
In
verità la stessa Liberazione, pure
nell’esaltazione post elezioni spagnole, doveva ammettere tra le righe che
“l’unica materia (in realtà non l’unica, ndr) che Zapatero non pensa di
modificare… è la politica economica”.(L. Sudati, 16/03/2004).
Il
giudizio che Rifondazione dà del nuovo governo spagnolo è in realtà
funzionale alla scelta che il gruppo dirigente fa in politica interna.
Avendo
da tempo deciso di contrarre un’alleanza politica per governare insieme al
centrosinistra, in virtù di una probabile vittoria anti-berlusconiana alle
elezioni del 2006, il partito sfrutta ogni occasione possibile per far digerire
questa scelta ai propri militanti.
Magnificando
i risultati dell’esperienza spagnola si può far credere agli iscritti e agli
elettori del partito che anche in Italia sia possibile, con le opportune
differenze, seguire una strada simile.
Non
importa se da qui al 2006 Zapatero imporrà ai lavoratori e ai giovani spagnoli
le stesse politiche di lacrime e sangue imposte dal suo predecessore. Non
importa se il centrosinistra italiano si propone alla guida del Paese con un
programma ancora più antioperaio, se possibile, di quello dei socialisti di
Madrid. Tutto è lecito quando per la rifondazione del comunismo si intende
avere qualche ministro e sottosegretario in un governo di banchieri.
Sta
a noi, rivoluzionari del Prc, smascherare questo imbroglio oggi, per impedirne
uno immensamente più grave nel 2006.