Iniziamo
un viaggio tra aree e tendenze del Prc
Il centrismo di Falcemartello
Tra
ortodossia apparente e subalternità reale al riformismo
di
Ruggero Mantovani
Con
l’approssimarsi del VI Congresso nazionale del Prc, il cui sfondo di analisi e
di prospettiva politica impone profonde riflessioni sul quadro politico e
sociale, riemergono, per quanto mai sopite, differenze e contrasti tra le
diverse tendenze programmatiche del partito. Una preziosa occasione critica sia
delle posizioni espresse dal variegato arcipelago neoriformista e sia di quelle
legate al “centrismo” politico. Iniziamo questo nostro viaggio nelle aree
del Prc partendo dal gruppo di Falcemartello.
Perché
li definiamo "centristi"
Razionalizzare
in particolare le differenze politiche tra il centrismo e il marxismo
rivoluzionario è uno dei temi fondamentali di Progetto Comunista. Una chiarificazione teorica e politica che fa
emergere il marxismo non come una ideologia scolastica, ma come un metodo
dialettico e una proposta
programmatica.
Il
fenomeno del centrismo, come spiegava Trotsky, non è mai statico ed uniforme,
ma nelle differenti fasi storiche si è manifestato attraverso diverse soluzioni
politiche, coprendo il campo contraddittorio che separa il riformismo dal
marxismo rivoluzionario. Esplorando le formazioni politico-culturali che in
questi anni si sono contraddistinte nel dibattito interno a Rifondazione
Comunista, è necessario analizzare le posizioni espresse da Falcemartello poiché
indipendentemente dalla sua composizione quantitativa rappresenta uno
straordinario esempio di centrismo politico, i cui connotati essenziali
intrecciano un’apparente ortodossia teorica, con una pratica di ripiegamento
strategico agli apparti del movimento operaio.
Capitale
e poli borghesi: cosa sfugge a Falcemartello
Nell’editoriale
apparso sulla rivista Falcemartello
nel numero di maggio, si ripropongono una serie di argomentazioni, già
ampiamente espresse in questi anni, sia sul governo Berlusconi e sulla natura
del blocco borghese e sia sul carattere socialdemocratico dei Ds.
Si
sostiene: “Poco più di tre anni fa Berlusconi si sedeva per la seconda volta
sulla poltrona di Palazzo Chigi; non erano pochi allora nella sinistra quelli
che dipingevano un quadro a tinte fosche spiegando che la destra avrebbe per un
lungo periodo egemonizzato la società italiana”. Prescindendo dalla
rivendicata primogenitura sulla previsione della crisi del governo Berlusconi,
questa impostazione nelle sue pieghe fa emergere un giudizio complessivo del
blocco borghese, riproducendo un modulo argomentativo già ampiamente
sperimentato: la piccola e media borghesia sempre e comunque egemonizzata dal
grande capitale. Ma la storia si costruisce con fatti concreti e i fatti hanno
la “testa dura” e difficilmente si piegano a ricette precostituite, persino
quando vengono propagandate, impropriamente, in nome del marxismo. Anzi è
proprio Marx ad aver costruito la dialettica ricollocando ogni generalizzazione
nel campo materiale delle condizioni storiche, bollando di idealismo ogni
filosofia che tendesse a capovolgere il rapporto tra idea e realtà.[1]
Ora, pur volendo sorvolare per economia espositiva su una minuziosa
ricostruzione storica degli instabili equilibri borghesi, di cui il fenomeno del
fascismo è senz’altro un esempio paradigmatico, sono le dinamiche emerse
dalla crisi capitalistica della vicenda italiana negli anni Novanta a ribaltare
una visione scolastica della borghesia come blocco unitario. Al contrario con il
crollo dell’Urss e l’emergere della globalizzazione capitalistica, si è
registrata una concreta polarizzazione borghese, con fenomeni di
proletarizzazione di una frazione della piccola borghesia e un arricchimento di
quella piccola e media borghesia commerciale e industriale del nord. Un fenomeno
che è stato accompagnato da un crescente conflitto con quel grande capitale che
per molti decenni ha beneficiato delle politiche governative. Un conflitto che
se da un lato, nel periodo del secondo governo Berlusconi è stato segnato dalla
conquista del timone in Confindustria da parte di D’Amato, dall’altro ha
caratterizzato fin dai primi anni Novanta la nascita sia della Lega e sia di
Forza Italia, rappresentando, in definitiva, il tratto distintivo del
centrodestra. Uno spostamento di equilibri all’interno del polo borghese che
ha contribuito alla fine della prima repubblica e del regime democristiano, il
cui effetto è stato tangentopoli e la nascita del bipolarismo come strumento di
stabilizzazione delle politiche dominati. Una crescente autonomia della
piccola e media borghesia imprenditoriale, che con la nascita del secondo
governo Berlusconi ha segnato la supremazia di Forza Italia sulla Lega,
precostituendo un patrimonio da offrire al grande capitale e proiettandosi
come forza centrale della borghesia italiana. Un disegno che oggi trova
una battuta d’arresto nell’intreccio di fenomeni maturati in quest’ultimi
tre anni, sia a livello nazionale che internazionale. L’impossibilità di
Berlusconi di realizzare una politica di finanziamento del capitalismo italiano
attraverso l’avvio di opere pubbliche e di sgravi fiscali, indotta dalla crisi
economica e dal patto di stabilità europeo, ha acuito una crisi di egemonia in
particolare sul quel blocco sociale piccolo e medio borghese. Una crisi di
egemonia del centrodestra che si è combinata con il crescente sviluppo dei
movimenti di contestazioni sociale sviluppatisi nel vivo di una profonda crisi.
Un’
impostazione che non veda l’estraneità delle radici profonde delle forze
egemoni del centrodestra, dai salotti del grande capitale, finisce, ed è il
caso di Falcemartello, con l'ignorare, ed è paradossale tanto più oggi, i
legami materiali e strategici tra il capitalismo italiano e il centrosinistra,
ritenendoli al più una torsione tattica della borghesia, percepita come blocco
unitario e fisiologicamente collocata con i governi di centrodestra.
Sia
detto di passata, al contrario tutta la vicenda italiana degli anni Novanta è
stata segnata proprio dall’incontro tra il centrosinistra e la grande
borghesia, che, ricordiamo, solo dopo l’esito del voto alle politiche del 2001
ha scelto di investire (per interesse e non certamente per vocazione ontologica)
sul centrodestra; dispiegando al contempo profonde contraddizioni che hanno
acuito l’attuale instabilità del governo Berlusconi.
La
natura di classe del partito di D'Alema e Fassino. L'incredibile analisi di
Falcemartello
Il
ruolo del Pds nei primi anni Novanta è stato indispensabile per i gruppi
dominanti, segnati da un lato dalla crisi di egemonia sulla piccola e media
borghesia e dall’altro dal venir meno della Dc che ha rappresentato per
decenni la rappresentanza politica e sociale dei loro interessi. L’aggancio
alla socialdemocrazia pidiessina è risultato indispensabile non solo per
superare nella contingenza le contestazioni operaie del 1992 contro il governo
Amato e stabilizzare il quadro politico dopo la caduta del governo Berlusconi
nel 1994; ma al contempo per disporre di un personale politico che potesse
gestire complessivamente le politiche controriformatrici sul terreno nazionale
ed internazionale, capace d’investire i legami di massa del Pds e organizzare
un sistema di consenso e sostegno sociale.
E
proprio l’abbraccio negli anni Novanta tra grande capitale e il
centrosinistra, con un ruolo centrale del Pds-Ds ha eroso e demotivato la base
operaia, passivizzando il conflitto (il minor numero di scioperi registrati dal
dopoguerra) e permettendo al capitalismo italiano un reale processo
d’integrazione nel polo imperialistico europeo.Un fenomeno complessivo che ha
inciso profondamente sull’evoluzione liberale dell’apparto Ds, dislocando la
sua funzione da agente a gestore diretto degli interessi dell’imperialismo
italiano.
Al
contrario non si può ritenere, come fa Falcemartello, che l’apparato Ds sia
qualificabile come una forza classicamente socialdemocratica, sulla base dei
legami con le masse sindacalizzate, e giudicare “l’abissale distanza che
separa la politica e le prospettive dei vertici del centrosinistra dalle
aspirazioni di milioni e milioni di persone”, al più come una politica
sbagliata.
In
definitiva ogni forza politica esprime la natura del suo apparato, non tanto per
i suoi legami con i soggetti sociali di riferimento e per le scelte politiche
che compie, ma anzitutto per la funzione materiale e sociale che assolve in un
dato contesto storico, sull’asseto complessivo della società civile e
politica[2].
Che i Ds non siano esclusivamente riconducibile al suo apparato e che essi
esprimano ancora legami reali con il grosso del lavoro dipendente è
assolutamente reale. Ma questa condizione non può far ritenere, come nel caso
di Falcemartello che: “ (…) la
borghesia, anche quella che oggi sostiene il centrosinistra, non ha alcuna
intenzione di rafforzare il partito dei Ds, ma al contrario vuole indebolirlo e
se possibile scioglierlo. Non vogliono affatto consegnare a Fassino le chiavi
del centrosinistra, tanto più in una prospettiva di governo, ma al contrario
vogliono legare ancora più strettamente il vertice Ds al loro carro”.
Ancora
una volta si sovrappone una visione speculativa che capovolge la realtà. E’
senz’altro vero che la maturazione liberale dell’apparto Ds non è un
fenomeno definito e che tanto più oggi con la riemersione del conflitto è
destinato ad acuire e moltiplicare le contraddizioni interne e nel blocco
sociale di riferimento. Ma negare che i Ds hanno costruito l’asse centrale
delle politiche borghesi nei governi del centrosinistra, poiché questa funzione
sarebbe incompatibile con una socialdemocrazia, che riteniamo fuori dal tempo e
dalle dinamiche materiali, se da un lato ha reso ipertrofica la tattica di
“fronte unico” con i Ds divenendo un obiettivo politico di fondo;
dall’altra mortifica l’azione dei comunisti nella prospettiva della
conquista della base Ds ad un’egemonia alternativa e anticapitalista.
Questo
è il punto. Il centrismo di Falcemartello non rileva esclusivamente in merito
all’analisi dei fenomi (per quanto il marxismo è anzitutto un metodo da cui
discende una giuda per l’azione); ma nell’impostazione politica e strategica
nei confronti della socialdemocrazia. Anche se l’apparto Ds fosse
rappresentabile come classicamente socialdemocratico, la qual cosa è
sconfessata dalla realtà, non potrebbe essere considerato tout-court un
“partito operaio”, ma, asserirebbe Lenin, “operaio-borghese”: operaio
nella sua base di massa e borghese nella funzione di agenzia nel movimento
operaio. E proprio Lenin assunse come battaglia fondamentale la distruzione
delle agenzie borghesi nel movimento operaio, quale precondizione della
costruzione dell’egemonia comunista. Una prospettiva politica che ha
individuato il “fronte unico” come manovra tattica e strumento d’
influenza dei comunisti sulle masse. Mai recepita in astratto, ma costantemente
delimitata dalle dinamiche che la lotta di classe genera.
Si
domanda: è sensato, in nome di un’astratta unità aver avanzato la
prospettiva, ed è il caso di Falcemartello, di un governo Ds-Prc all’epoca di
Prodi e la desistenza verso i candidati Ds nelle elezioni del 2001? Riteniamo:
se la socialdemocrazia è impegnata nella gestione diretta delle politiche
borghesi, tanto più entra in rotta di collisione con le ragioni della classe
operaia e tanto più la politica comunista deve entrare in rotta di collisione
chiedendo l’unità d’azione contro di essa. Al di fuori di questa logica
rimane l’antica utopia del centrismo di ogni tempo: spostare a sinistra le
agenzie della borghesia, impegnando in questa impresa la pressione delle masse,
e costruire un’alternativa non nel mondo della realtà ma nell’ideologismo.
Una prospettiva sicuramente consolatoria, ma che temiamo non serva a far
maturare le condizioni storiche per la liberazione delle masse popolari nel
mondo.
[1] Sul punto si segnalano alcune opere di Marx: Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850; Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte; La questione ebraica; Manoscritti economico-filosofici del 1844.
[2] La scorrettezza analitica sopra riferita di Falcemartello è senz’altro riassumibile con due esempi assolutamente paradigmatici. Nel 1997 in occasione del cosiddetto “referendum per la Padania” convocato da Bossi sostenne che “Il movimento operaio non dovrebbe opporsi ad una simile consultazione, ma dichiararsi disposto a mobilitarsi affinché ne vengano rispettati i risultati”. Invece di chiamare il movimento operaio a mobilitasi contro una posizione reazionaria contro la secessione, non appoggiando per principio l’autodeterminazione della borghesia ma viceversa per i popoli oppressi spesso negato proprio da Falcemartello bollandola di nazionalismo (è il caso della nazione Basca e Irlandese). Un altro esempio del clamoroso capovolgimento del marxismo rivoluzionario è data nel 1998 dal pronunciamento della tendenza internazionale di FM che fa capo a Ted Grand, Socialist Appel che si espresse per il sistema elettorale maggioritario, il più reazionario che il sistema democratico borghese ha formulato poiché con questo sistema il Labour Party avrebbe vintole elezioni.