America
Latina: nuove esplosioni, altro che stabilizzazione!
Intervista
a Christian Rath, dirigente del Partido Obrero d’Argentina
A cura di Alberto Airoldi
D. Dopo un’ondata di crisi rivoluzionarie, in America
Latina sembrava essere subentrata una fase di maggior stabilità. Tuttavia,
quando i commentatori politici iniziarono a scommettere sull’uscita dalla
crisi, arrivarono le nuove esplosioni in Equador e Bolivia. Qual è l’analisi
del Po sull’attuale situazione del continente?
R. La crisi politica latinoamericana si intensifica al
ritmo della decomposizione economica e della ribellione delle masse. Le nuove
esplosioni in Equador e Bolivia sono la più acuta espressione di un processo
complessivo, caratterizzato dal fallimento delle politiche capitalistiche di
aggiustamento, che accrescono lo sfruttamento delle masse, ma sono incapaci di
aprire alle loro economie e alle loro borghesie uno spazio nel mercato mondiale.
Questi aggiustamenti, che rappresentarono una via parziale per contrastare la
tendenza al crollo del grande capitale nel suo insieme, tendono a trasformarsi
nel prologo di situazioni rivoluzionarie. Si conferma il fatto che viviamo in un
periodo di catastrofe del capitalismo e di tendenza verso la rivoluzione, perché
le masse non accettano passivamente che questa catastrofe rovini sulle loro
vite. E’ questo processo che sta alla base di un fenomeno impressionante in
America Latina: il crollo dei partiti tradizionali. Insieme a queste tendenze
cresce la propensione da parte del capitale e dell’imperialismo a rivolgersi a
governi di centrosinistra per contenere la ribellione e la decomposizione dei
sistemi politici. L’imperialismo ha grossi problemi nel fare appello
all’intervento armato in funzione dei propri interessi - per il quadro di
libertà democratiche e di organizzazione delle masse - e deve agire attraverso
la mediazione dei propri agenti di “sinistra”: il Pt in Brasile, il Frente
Amplio in Uruguay o lo stesso Kirchner in Argentina. I governi di centrosinistra
del continente stanno sviluppando a fondo una politica di collaborazione col
governo statunitense e col Fmi, scontrandosi con una ribellione che ha come
protagonisti i vari tipi di “piqueteros”. Quando il presidente boliviano Mesa tenta un golpe
contro il popolo con la parola d’ordine “Via i blocchi”, sta agendo allo
stesso modo di Kirchner quando condanna i picchetti e di Lula quando denuncia i Sem
Terra. La furia contro i picchetti e i “piqueteros”
è il grido di guerra dei governi che svendono i propri interessi nazionali
contro i movimenti di lotta, un metodo che esprime l’azione diretta delle
masse e una scuola di lotta rivoluzionaria.
D. Qual è la situazione economica dei paesi che hanno
subito più drammaticamente la crisi?
R. Il caso dell’Argentina è esemplare. Duhalde prima e
Kirchner dopo hanno imposto il maggior aggiustamento fiscale della storia del
paese, per mezzo della svalutazione della moneta e del relativo congelamento dei
salari. Il recente “cambio” del debito in default ha chiuso il cerchio di un
debito esterno pari a tutti il Pil e che si aggiusta con l’inflazione,
un’ipoteca che si vuole far pagare ai lavoratori e non ai capitalisti che
hanno beneficiato di questo indebitamento. C’è stata una classica operazione
di riscatto del capitale, iniziata con la svalutazione del peso e la
de-dollarizzazione dei contratti e che è culminata nella rinegoziazione del
debito pubblico. Tuttavia, complessivamente, la bancarotta non è stata superata
perché lo stato argentino è obbligato a contrarre nuovi debiti per poter
cancellare i vecchi, sia pubblici che privati, oltre ai giri di utili e
dividendi delle privatizzazioni e un aggiustamento costante su un corpo sociale
di milioni di disoccupati e poveri. Il governo sta conducendo l’Argentina a
una nuova bancarotta e creando le condizioni per una nuova ribellione popolare.
L’arrivo di Lula al governo del Brasile, invece che una politica di
“redistribuzione delle entrate” a favore dei lavoratori, ha significato la
continuità di una politica di riscatto delle banche e del capitale finanziario:
la famosa “tassa finanziaria” ha funzionato come un’espropriazione di
massa degli sfruttati a favore degli usurai.
D. Quali risultati hanno raggiunto i piani dei Lula,
Kirchner, ecc.?
R. Lula, come rappresentante di un partito che si dice dei
lavoratori, ha formato un governo capitalista e agente del Fmi. Ha riunito tutti
i partiti politici borghesi che erano falliti in Brasile e il cui crollo aveva
permesso l’ascesa al governo del Pt, si è cioè impegnato nella ricostruzione
di un sistema politico il cui esaurimento aveva permesso la vittoria del Pt.
Questa regressione politica nella crisi sta incontrando dei limiti perché Lula
è obbligato a condurre un attacco sistematico contro il popolo - aumento del
prelievo per pagare il debito, aumento degli interessi, paralisi del piano di
stabilizzazione dei Sem Terra - e a
riprodurre le condizioni di una crisi d’insieme. In Argentina c’è una crisi
del sistema politico, addirittura una crisi dello stato, che si esprimono nella
parola d’ordine: “Se ne vadano tutti”, in un processo in cui la
riaffermazione delle relazioni capitalistiche si è ottenuto al prezzo di
maggiori disequilibri. Sebbene il governo Kirchner abbia un progetto strategico
che è la ricostruzione della borghesia nazionale, a costo di 4 milioni di
disoccupati e 15 milioni di poveri, un’operazione che oggi ha l’appoggio
della classe dei capitalisti, è obbligato a riflettere le tendenze
contraddittorie di questa crisi e a tentare di costruire un sistema bonapartista.
Per questo motivo attribuisce alle elezioni di ottobre un carattere di
plebiscito. E’ obbligato ad agire per neutralizzare le lotte che promanano
dalla crisi sociale e a cercare di cooptare i leader, le direzioni e le
burocrazie che agiscono in nome delle masse. Sebbene abbia dalla sua parte le
direzioni sindacali e l’insieme del centrosinistra, da un punto di vista
generale, strategico, il tentativo di riorganizzazione sociale e politica sta
fallendo. Questo spiega la destrutturazione dei partiti padronali tradizionali,
in particolare del peronismo, e la crisi dell’apparato dello stato. Nel
complesso ci troviamo nell’anticamera di una nuova bancarotta economica e
politica.
D. Che cosa pensate della situazione venezuelana?
R. Il Po ha definito il governo di Chàvez come
“nazionalismo fiscale”. Ha avuto uno scontro coi gruppi petroliferi, che
erano riusciti a promuovere una loro cricca nella direzione dell’impresa
statale, ma le entrate petrolifere che rimangono in Venezuela vanno alle banche,
con le quali lo stato ha accumulato il 50% del debito pubblico. Le banche sono
straniere e Chàvez non vuole nazionalizzarle. Inoltre con Chàvez le imprese
straniere iniziano a investire nel petrolio insieme all’impresa statale.
Affinché il movimento operaio, che fu il protagonista della ribellione che salvò
Chàvez dal golpe di destra, abbia un futuro, deve comprendere i limiti
insuperabili del nazionalismo borghese.
D. La crisi del Pt sta rafforzando il Pco e favorendo la
crescita di movimenti radicali?
R. Tutte le organizzazioni alla sinistra del Pt, compreso
il Pco, stanno crescendo in termini significativi, cosa che mette in discussione
la natura del loro progetto di fronte alla crisi di un governo dei
“lavoratori” letteralmente insediato dal capitale finanziario. Il Psol, come
altre espressioni della sinistra, ha un approccio democraticista, che ignora la
crisi generale di sistema e la lotta per il potere.
D. E’ vero che la situazione del Cile è diversa dalle
altre?
R. In realtà si dovrebbero sottolineare le somiglianze
della situazione cilena con quella del continente, se si considera la condizione
di straordinaria povertà e degrado salariale, mediante la quale il governo
difende la “competitività” della borghesia cilena nei mercati
internazionali, o il peso delle direzioni di centrosinistra adattate al governo
della “Concertazione”, che ha continuato le politiche “neoliberali”
della dittatura militare. Ma l’importante di tutto ciò è segnalare le
tendenze alla rottura di questo equilibrio, dimostrato dalle mobilitazioni di
massa contro la visita di Bush, la lotta dei giovani contro il ticket scolastico
e, fino a un certo punto, le imponenti dimostrazioni di cordoglio per la morte
di Gladys Marìn (la recentemente scomparsa ex segretaria del Partito Comunista,
ndt.)
D. Che cosa resta nell’Argentina di Kirchner del
movimento delle assemblee popolari e delle fabbriche occupate? Quali sono le
prospettive del movimento rivoluzionario in Argentina?
R. Sebbene il movimento delle assemblee popolari e delle
fabbriche occupate sia rifluito, l’Argentinazo
resta presente nella situazione politica, nella memoria e nella coscienza
popolare e tende a manifestarsi quotidianamente. Il governo Kirchner rappresenta
l’illusione di una via d’uscita nazionalista alla crisi economica e di un
rinnovamento sul piano politico: i fallimenti, in entrambi i casi, sono
evidenti. La disoccupazione persiste e si acuiscono le disuguaglianze, da un
lato, dall’altro è fallito il tentativo di eliminare il movimento piquetero, idealmente attraverso il superamento della disoccupazione, o
praticamente mediante la repressione o la cooptazione. Questo fatto, più di
qualunque altro, traccia il quadro della situazione attuale. Il movimento piquetero
non ha potuto essere cancellato dallo scenario, non solo per le sue radici e la
sua solidità politica, ma per la stessa decomposizione del sistema.
L’arretramento del movimento popolare esprime da una parte il riflusso della
crisi a partire dal 2002 e i risultati parziali ottenuti, grazie a questo
riflusso, dai governi, dall’altra l’emergere in seno al movimento di
tendenze politiche che rappresentano i vagoni di coda del nazionalismo borghese.
Le prospettive del movimento rivoluzionario in Argentina restano vigenti perché
il governo, che si presenta come rappresentante degli interessi “nazionali e
popolari”, è solo una parentesi, nella quale si sviluppano le tendenze di una
prossima grande crisi. Si tratta di costruire un’intensa preparazione delle
masse, per agire in funzione di uno sviluppo proprio, dando vita a una costante
lotta politica contro il nazionalismo borghese e il “centrosinistrismo”, e
sfruttando tutte le opportunità che il quadro sociale e politico racchiude per
un’azione rivoluzionaria.
D. Quali sono i legami tra i governi di centro sinistra,
ormai maggioritari nel continente, e gli Usa? Quali relazioni si sviluppano con
l’imperialismo della Ue?
R. I governi di centrosinistra del continente sono
sottomessi agli interessi del capitale finanziario internazionale e di un
insieme di gruppi presenti nei paesi. L’invio di truppe ad Haiti in
sostituzione di quelle statunitensi è stata un’operazione orchestrata
dall’imperialismo statunitense, approvata da quello europeo ed eseguita dai
governi di Brasile e Argentina, come testa di ponte di un’impresa comune. La
vendita di armi spagnole al Venezuela, all’inizio condannata dagli yankees,
ha finito per essere estesa alla Colombia, per affari e per adesione alla
strategia imperialista degli Usa. Come espressione degli interessi dell’Ue
c’è la Repsol, che si può dire che oggi unifichi il continente, dal momento
che si è stabilita in Argentina, Bolivia, Venezuela, Cuba, ed è associata a
Petrobras per lo sfruttamento di riserve in Brasile, o delle privatizzate in
Argentina. Tuttavia non si dovrebbe tralasciare di analizzare che, in
quest’ultimo caso, la borghesia argentina è passata da una politica di
cessione all’estero dell’economia a una di rinazionalizzazione in quei
settori che i capitalisti stranieri hanno deciso di abbandonare dopo la crisi.
Un riscatto di capitali che, nel suo insieme, pagano le masse, mediante sussidi
e appoggi finanziari di stato.