Suonala ancora, Paolo!

La canzoncina del riformismo in tempi di sacrifici

 

di Alberto Airoldi

 

“Il paese è realmente allo sfascio sia per quanto riguarda la situazione sociale che per quanto riguarda l’apparato produttivo e l’economia”. Questo adagio, nella fattispecie formulato da Paolo Ferrero (“Si scrive Berlusconi, si legge Montezemolo”, Liberazione, 14/5/2005), sarà una delle melodie ricorrenti di un eventuale prossimo governo di centrosinistra. Nel futuro servirà ad accompagnare le lacrime e il sangue ma, per ora, visto che sta ancora governando la destra, la canzoncina dovrebbe servire a fare sognare. Il sogno, peraltro, non è molto originale: si chiama “Patto tra i produttori 25 anni dopo”. Probabilmente per evitare problemi con la Siae, Ferrero cambia titolo, ma lo spartito è il medesimo: “Intreccio tra redistribuzione del reddito e politiche economiche pubbliche che rafforzino l’apparato industriale e lo riconvertano in termini ambientalmente compatibili”, liberamente ispirato dal maestro J.M. Keynes, che dio l’abbia in gloria.

Peccato che in questi 25 anni l’intreccio tra rendita e profitto si sia approfondito: la “speculazione” è parte fondamentale del capitalismo in crisi. Peccato che la crisi non sia solo italiana: spiace ribadire argomenti usati pure dalla destra, ma la crisi italiana, con le sue specificità, si inserisce in una crisi internazionale. Peccato che nessun governo, anche di sinistra, anche rosso-verde, abbia mai deciso di uscire dalla crisi con politiche redistributive. La crescita mondiale del Pil, tanto per dirne una, è oggi ben inferiore rispetto agli anni del famoso “patto tra i produttori”. Quello slogan dei primi anni ’80 era figlio di una crisi economica iniziata da meno di un decennio, da una lunga stagione di lotte e dalla crisi di prospettiva del riformismo italiano, che avrebbe poi portato alla dissoluzione del Pci. Quale sarebbe il blocco sociale dei produttori da contrapporre alla rendita nell’Italia di inizio millennio? Forse i piccoli produttori dei distretti industriali, a pezzi dopo anni di esaltazione del “piccolo è bello”? Quelli a cui i Letta e i Bersani vanno a spiegare quanto è bello il “modello toscano”? Forse i grandi imprenditori tornati a sostenere il centrosinistra: i vari Benetton, Illy, Soru, Divella, ma anche Profumo,  ecc.? O forse qualche agricoltore biologico e qualche imprenditore di nicchia?

Mentre il padronato ristruttura, licenzia, delocalizza, Rifondazione che cosa propone? Di rilanciare insieme a loro l’economia nazionale. Non licenziate, non chiudete, anzi, aumentate i salari! Noi, tassando i patrimoni e facendo pagare le tasse, vi garantiremo una nuova politica industriale. La presunzione è sempre la stessa: i padroni non sanno fare i padroni, per questo ci vogliono i comunisti (meglio se a capo di qualche ministero della programmazione economica) che glielo possono insegnare. Tutto nell’interesse dei lavoratori, s’intende.

Chissà se Ferrero si è accorto che questa ambiziosa politica di costruzione del nuovo blocco sociale, di “rovesciamento del paradigma degli anni ’80 e ‘90” si appresta a discuterla con D’Alema, Mastella, Rutelli? Chissà perché di questo ambizioso programma, che sarebbe dovuto emergere dalle commissioni miste (di una delle quali pure lui faceva parte), non c’è ancora l’ombra? Chissà se pure Prodi, quando parla di scelte impopolari di un futuro governo, intende impopolari per le “rendite parassitarie”?

Forse non si è accorto, dato che, giudicando retrospettivamente l’esperienza del governo di centrosinistra, attribuisce solo a una fantomatica “stretta del ‘98” la scelta di continuità con le politiche antioperaie degli anni ’80 e ’90. Forse Ferrero pensa realmente che la finanziaria lacrime e sangue del ’96, il record delle privatizzazioni del governo Prodi, il Pacchetto Treu, regolarmente votati dal Prc,  non fossero delle scelte con un preciso carattere di classe. Forse pensa realmente che per entrare in Europa allora dovessero pagare i lavoratori e che ora, per risanare il paese, debba pagare la “rendita”. Forse non ha capito che il “nuovo paradigma” è come il “programma dei 100 giorni”: un’illusione per riformisti fuori tempo massimo, nel migliore dei casi, uno slogan per turlupinare i propri elettori nel peggiore.

Prodi invece ha le idee più chiare: oggi come ieri dovranno pagare i lavoratori. Certo, forse pagherà anche qualcun altro… bottegai in via di estinzione, piccoli imprenditori decotti, ma una cosa è certa: Prodi non farà mai quel che non hanno fatto Schroeder, Blair, Simitis, Jospin. I soldi per il “rilancio dell’azienda Italia” li cercherà, come gli altri compari, nelle tasche dei lavoratori, con buona pace di movimenti, sindacati e associazioni, i quali, come sempre, sono utili solo per incassare voti (e possono essere ripagati elargendo posti, consulenze, agevolazioni). Cofferati non suggerisce nulla?

Insomma: la canzoncina del Patto tra i produttori non pare proprio poter incantare. Il pianista Paolo Ferrero potrà, nell’assenza di una prospettiva di classe, continuarla a suonare, ma difficilmente qualcuno gli chiederà commosso – come nel film Casablanca -: “Suonala ancora, Paolo!”.