In lotta con Rutelli per la rappresentanza dei poteri forti

Prodi annuncia i “necessari sacrifici”

 

di Marco Ferrando

 

Mentre i lavoratori francesi respingono col voto l’Europa dei banchieri, in Italia avanza un’alternanza liberale guidata dagli uomini di Maastricht. La “fabbrica” bolognese di Romano Prodi si occupa della confezione pubblica del programma, ad uso e consumo della propaganda, ma il vero programma del prossimo governo è già scritto, nero su bianco, dalla crisi capitalistica italiana. Nella relazione annuale di Confindustria - giudicata “bellissima” da Romano Prodi - Luca di Montezemolo ha avanzato due richieste programmatiche di fondo: 1) l’abbattimento del debito pubblico, quindi una nuova stretta sociale su sanità, pensioni, enti locali, lungo una linea di recupero delle politiche “virtuose” degli anni ‘90; 2) la destinazione di gran parte delle risorse così liberate ai profitti delle imprese e al rilancio della loro competitività internazionale: quindi nuove agevolazioni fiscali ai padroni, nuove elargizioni per “innovazione tecnologica”, ristrutturazioni aziendali, fusioni. Con qualche eventuale ammortizzatore sociale che consenta alle imprese di liberarsi più facilmente di “manodopera in eccesso” e con qualche (eventuale) piccolo incremento della tassazione sulle rendite quale moneta di scambio della politica dei sacrifici. “Processo alle intenzioni”, “pregiudizio ideologico”? Il vero pregiudizio è di chi non vuole vedere la realtà. Il programma del risanamento finanziario è talmente centrale per la borghesia italiana e i suoi portavoce liberali, che Romano Prodi aveva addirittura pregato Berlusconi di continuare a governare sino al 2006 per realizzare una “finanziaria di rigore, che dica la verità al paese”: in modo che il successivo governo Prodi possa amministrare i frutti del “lavoro sporco” di Berlusconi. Solo la debolezza di Berlusconi e la dichiarata sfiducia di Montezemolo nei suoi confronti, ha spinto successivamente il Centrosinistra a chiedere  le elezioni anticipate, candidando un prossimo stabile governo dell’Unione a varare la finanziaria lacrime e sangue commissionata da Confindustria. L’apparente incoerenza dei comportamenti è dunque dettata da una rigorosa coerenza di classe.

 

Il contrasto Prodi-Rutelli sul comando della politica borghese

La centralità programmatica del risanamento finanziario domina indirettamente lo stesso scontro interno al liberalismo italiano. “Perché Prodi e Rutelli incrociano le lame, proprio nel momento della massima crisi di Berlusconi e al prezzo di ridargli fiato?”. Così si chiede smarrito il senso comune di tanta parte del popolo della sinistra. La risposta è semplice, per quanto paradossale. Proprio perché Berlusconi è con l’acqua alla gola, proprio perché si avvicina l’orizzonte del governo dell’Unione, proprio perché il nuovo governo dovrà realizzare politiche di duro impatto sociale, i vari ammiragli del Centro liberale si contendono la guida del timone e il posto di comando: perché proprio un comando vincente delle operazioni di attacco ai lavoratori, in condizioni di stabilità, può incardinare una nuova rappresentanza politica centrale della borghesia italiana. Non a caso il mito di Blair e della sua “terza vittoria”, ben al di là dei suoi termini reali, è stato cantato all’unisono da tutti i dirigenti liberali e da tutta la stampa borghese. Ed è  proprio nel nome della stabilità e della forza del futuro governo dell’Unione che Romano Prodi ha motivato pubblicamente la sua scelta di un’autonoma lista ulivista: “L’Italia ha bisogno di un governo che prenda decisioni severe e prolungate nel tempo che solo una maggioranza compatta e determinata può permettere… L’Italia attraversa una crisi profonda che richiederà necessari sacrifici e interventi radicali che solo un governo forte potrà realizzare… L’Unione serve per vincolare, con un programma comune, l’intera coalizione  ad un condiviso programma di governo. L’Ulivo serve per dare stabilità alla rotta… senza la lista dell’Ulivo non ci può essere garanzia di vittoria e, quel che più conta, di stabilità e di governo” (Europa, 26 maggio). Si può essere più chiari di Prodi? Prodi ci dice che vuole pieni poteri sulla coalizione, attraverso una diretta base d’appoggio elettorale-politica-parlamentare, perché vuole pieni poteri nel futuro governo. E vuole pieni poteri nel futuro governo proprio per realizzare “decisioni severe” e “interventi radicali”  senza essere esposto alle manovre dei partiti alleati e alle incognite della negoziazione quotidiana.

 

La sinistra italiana a rimorchio dei liberali: senza se e senza ma

Eppure i gruppi dirigenti della sinistra italiana perseverano diabolicamente nella politica di sudditanza al liberalismo. Persino dopo il voto francese. Persino nel momento in cui questa politica e prospettiva ne umilia il ruolo e la forza.

La burocrazia Cgil, che ha celebrato un anno fa il matrimonio concertativo con Montezemolo, si è vista ripagata dalla chiusura di Confindustria verso i metalmeccanici. Ciononostante preserva la propria rotta di fondo: convinta, con qualche ragione, che il prossimo quadro politico di governo darà sponda naturale al nuovo “patto dei produttori”. Questo è il messaggio contenuto nel pessimo accordo sugli statali che non solo nega il recupero salariale, ma sancisce la riduzione di 150.000 dipendenti pubblici.

Così il gruppo dirigente del Prc, che ha celebrato nel VI Congresso la svolta governativa del partito, ha già pagato il primo prezzo della svolta con una dura penalizzazione elettorale e un conseguente ridimensionamento di ruolo nella stessa coalizione dell’Unione. Ciò nonostante Bertinotti detta “avanti tutta” al punto di riproporsi come diretto supporto di Prodi e di benedire, a rimorchio di Epifani, il contratto bidone degli statali. Perché? Perché solo così può procedere la rifondazione di una socialdemocrazia italiana quale sinistra organica del Centrosinistra; solo così è possibile attrarre Pietro Folena, Achille Occhetto e un settore crescente di vecchia burocrazia Ds oggi allo sbando e alla ricerca di una ricollocazione.

C’è una logica in tutto questo? Sì, c’è: la collaborazione sociale e politica con i liberali “senza se e senza ma” portando in dote la rappresentanza (e il controllo) dei movimenti. Questa è la vera logica di scambio che presiede le politiche della sinistra italiana. E proprio i tanto citati “movimenti” ne sono, già oggi, la prima vittima. Il movimento operaio continua a essere privato di una piattaforma di lotta unificante e di uno sbocco, del tutto incompatibili col patto con Montezemolo. Il movimento contro la guerra e l’occupazione dell’Irak subiscono i contraccolpi del compromesso con Prodi e Fassino sulla politica estera. La mobilitazione “democratica” contro le riforme istituzionali di Berlusconi è paralizzata dalla bozza Amato sul premierato soft. Su ogni terreno il blocco delle sinistre con i liberali lega le mani all’opposizione di massa, a tutto vantaggio della prospettiva d’alternanza.  Proprio questa prospettiva assegna già oggi ai gruppi dirigenti della sinistra il ruolo di ammortizzatori sociali e politici delle lotte. E’ l’anticipazione di quanto avverrebbe, su scala ben più ampia, in un futuro quadro di governo di centrosinistra. Del resto, cos’altro significa la citata affermazione di Prodi circa il “vincolo di responsabilità” posto dall’Unione alle sinistre?

 

Il senso del nostro Appello: salvare e rilanciare un’opposizione di classe e comunista

Tanto più oggi Progetto Comunista rivendica il fatto di essere l’unica tendenza della sinistra italiana a porre la rottura col Centro liberale come asse della propria politica. I fatti dimostrano, giorno dopo giorno, che solo una rottura col liberalismo può liberare le potenzialità dell’opposizione di massa e riaprire dal basso il varco di un’alternativa vera. E che, viceversa, senza rottura col liberalismo non c’è via d’uscita progressiva per i lavoratori e i movimenti: ma solo il bivio mortale tra una ripresa insperata di Berlusconi e un nuovo governo antioperaio di Centrosinistra. In ogni caso una pesante sconfitta.

Da qui l’appello pubblico che rivolgiamo a tutte le forze interessate alla salvaguardia e al rilancio di un’opposizione di classe e comunista nel nostro paese. E’ un appello che rivolgiamo innanzitutto a decine di migliaia di compagni che si raccolgono nel nostro partito e attorno ad esso, al di là di ogni steccato congressuale: a compagni delusi dalla deriva bertinottiana, a compagni che già si sono espressi criticamente nel VI Congresso del partito, a compagni che hanno lasciato il partito perché in dissenso con la sua linea. A tutti chiediamo di non rassegnarsi e di costruire con noi un progetto di autentica rifondazione. Così ci rivolgiamo anche a un più ampio settore di avanguardia sociale e politica, a quegli ambienti di giovane generazione che si sono affacciati nelle lotte di questi anni e che non meritano di essere piegati a una soluzione di governo confindustriale (magari nel nome della “democrazia partecipativa”): a tutti proponiamo di costruire e rilanciare con noi una coerente prospettiva di classe. Che coniughi il rigore dell’opposizione a un futuro governo dell’Ulivo, con la lotta per un governo dei lavoratori: l’unica vera alternativa, l’unico governo in cui possono entrare i comunisti.