In
lotta con Rutelli per la rappresentanza dei poteri forti
di
Marco Ferrando
Il contrasto Prodi-Rutelli sul comando della politica
borghese
La centralità programmatica del
risanamento finanziario domina indirettamente lo stesso scontro interno al
liberalismo italiano. “Perché Prodi e Rutelli incrociano le lame, proprio nel
momento della massima crisi di Berlusconi e al prezzo di ridargli fiato?”. Così
si chiede smarrito il senso comune di tanta parte del popolo della sinistra. La
risposta è semplice, per quanto paradossale. Proprio perché Berlusconi è con
l’acqua alla gola, proprio perché si avvicina l’orizzonte del governo
dell’Unione, proprio perché il nuovo governo dovrà realizzare politiche di
duro impatto sociale, i vari ammiragli del Centro liberale si contendono la
guida del timone e il posto di comando: perché proprio un comando vincente
delle operazioni di attacco ai lavoratori, in condizioni di stabilità, può
incardinare una nuova rappresentanza politica centrale della borghesia italiana.
Non a caso il mito di Blair e della sua “terza vittoria”, ben al di là dei
suoi termini reali, è stato cantato all’unisono da tutti i dirigenti liberali
e da tutta la stampa borghese. Ed è proprio
nel nome della stabilità e della forza del futuro governo dell’Unione che
Romano Prodi ha motivato pubblicamente la sua scelta di un’autonoma lista
ulivista: “L’Italia ha bisogno di un governo che prenda decisioni severe e
prolungate nel tempo che solo una maggioranza compatta e determinata può
permettere… L’Italia attraversa una crisi profonda che richiederà necessari
sacrifici e interventi radicali che solo un governo forte potrà realizzare…
L’Unione serve per vincolare, con un programma comune, l’intera coalizione
ad un condiviso programma di governo. L’Ulivo serve per dare stabilità
alla rotta… senza la lista dell’Ulivo non ci può essere garanzia di
vittoria e, quel che più conta, di stabilità e di governo” (Europa, 26 maggio). Si
può essere più chiari di Prodi? Prodi ci dice che vuole pieni poteri sulla
coalizione, attraverso una diretta base d’appoggio
elettorale-politica-parlamentare, perché vuole pieni poteri nel futuro governo.
E vuole pieni poteri nel futuro governo proprio per realizzare “decisioni
severe” e “interventi radicali” senza
essere esposto alle manovre dei partiti alleati e alle incognite della
negoziazione quotidiana.
La sinistra italiana a rimorchio dei liberali: senza se
e senza ma
Eppure i gruppi dirigenti della
sinistra italiana perseverano diabolicamente nella politica di sudditanza al
liberalismo. Persino dopo il voto francese. Persino nel momento in cui questa
politica e prospettiva ne umilia il ruolo e la forza.
La burocrazia Cgil, che ha
celebrato un anno fa il matrimonio concertativo con Montezemolo, si è vista
ripagata dalla chiusura di Confindustria verso i metalmeccanici. Ciononostante
preserva la propria rotta di fondo: convinta, con qualche ragione, che il
prossimo quadro politico di governo darà sponda naturale al nuovo “patto dei
produttori”. Questo è il messaggio contenuto nel pessimo accordo sugli
statali che non solo nega il recupero salariale, ma sancisce la riduzione di
150.000 dipendenti pubblici.
Così il gruppo dirigente del
Prc, che ha celebrato nel VI Congresso la svolta governativa del partito, ha già
pagato il primo prezzo della svolta con una dura penalizzazione elettorale e un
conseguente ridimensionamento di ruolo nella stessa coalizione dell’Unione. Ciò
nonostante Bertinotti detta “avanti tutta” al punto di riproporsi come
diretto supporto di Prodi e di benedire, a rimorchio di Epifani, il contratto
bidone degli statali. Perché? Perché solo così può procedere la rifondazione
di una socialdemocrazia italiana quale sinistra organica del Centrosinistra;
solo così è possibile attrarre Pietro Folena, Achille Occhetto e un settore
crescente di vecchia burocrazia Ds oggi allo sbando e alla ricerca di una
ricollocazione.
C’è una logica in tutto
questo? Sì, c’è: la collaborazione sociale e politica con i liberali
“senza se e senza ma” portando in dote la rappresentanza (e il controllo)
dei movimenti. Questa è la vera logica di scambio che presiede le politiche
della sinistra italiana. E proprio i tanto citati “movimenti” ne sono, già
oggi, la prima vittima. Il movimento operaio continua a essere privato di una
piattaforma di lotta unificante e di uno sbocco, del tutto incompatibili col
patto con Montezemolo. Il movimento contro la guerra e l’occupazione dell’Irak
subiscono i contraccolpi del compromesso con Prodi e Fassino sulla politica
estera. La mobilitazione “democratica” contro le riforme istituzionali di
Berlusconi è paralizzata dalla bozza Amato sul premierato soft. Su ogni terreno il blocco delle sinistre con i liberali lega
le mani all’opposizione di massa, a tutto vantaggio della prospettiva
d’alternanza. Proprio questa
prospettiva assegna già oggi ai gruppi dirigenti della sinistra il ruolo di
ammortizzatori sociali e politici delle lotte. E’ l’anticipazione di quanto
avverrebbe, su scala ben più ampia, in un futuro quadro di governo di
centrosinistra. Del resto, cos’altro significa la citata affermazione di Prodi
circa il “vincolo di responsabilità” posto dall’Unione alle sinistre?
Il senso del nostro Appello: salvare e rilanciare
un’opposizione di classe e comunista
Tanto più oggi Progetto
Comunista rivendica il fatto di essere l’unica tendenza della sinistra
italiana a porre la rottura col Centro liberale come asse della propria
politica. I fatti dimostrano, giorno dopo giorno, che solo una rottura col
liberalismo può liberare le potenzialità dell’opposizione di massa e
riaprire dal basso il varco di un’alternativa vera. E che, viceversa, senza
rottura col liberalismo non c’è via d’uscita progressiva per i lavoratori e
i movimenti: ma solo il bivio mortale tra una ripresa insperata di Berlusconi e
un nuovo governo antioperaio di Centrosinistra. In ogni caso una pesante
sconfitta.