La
legge sulla procreazione medicalmente assistita
Referendum
e lotta di classe
Per
l’autodeterminazione della donna, per un’alternativa di società e di potere
di Maria Pia Gigli
La legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente
assistita, oggetto in questi giorni di referendum parzialmente abrogativo, è il
risultato di un compromesso tra interessi diversi. Il governo Berlusconi ha
saputo garantire un terreno favorevole ad una loro piena armonizzazione grazie
alla trasversalità parlamentare realizzatasi tra settori minoritari del
centrosinistra e settori maggioritari del centrodestra, entrambi “sensibili”
per ragioni elettorali ai dictat del Vaticano.
Multinazionali e gerarchie
vaticane contro l’autodeterminazione della donna
Le ragioni della legge 40 trovano origini lontane. Già
nel 1978, anno di approvazione della legge 194 sull’interruzione volontaria di
gravidanza, nasce, proprio per contrastare tale legge, il Movimento per la vita
che tanta parte ha avuto nell’approvazione della legge 40. Da allora
innumerevoli sono stati i tentativi da parte del Vaticano e delle gerarchie
cattoliche di insidiare la legge sull’aborto, di imporre una propria ideologia
morale per il riconoscimento dell’embrione come soggetto di diritto, di
colpire l’autodeterminazione della donna in materia di maternità.
Agli inizi degli anni ’80 nasce il primo bambino
italiano in provetta e si sviluppano le tecniche di fecondazione assistita.
Intorno a tali tecniche subito si realizza un mercato fiorente che vede
protagonisti centri privati, multinazionali farmaceutiche, professionisti e
tecnici spesso attivi anche nelle strutture sanitarie pubbliche. Per molti anni
nessun governo ha sentito il bisogno di “regolamentare” per legge tali
attività, neanche quei politici e parlamentari che oggi si scagliano contro il
far west procreativo.
Le biotecnologie della riproduzione offrono indubbiamente
opportunità di risoluzione di svariati problemi, ma non si può accettare che
in nome della cosiddetta “libertà della ricerca scientifica”, tali
acquisizioni siano occasione di profitto. La ricerca e l’applicazione delle
tecniche per la risoluzione di patologie gravi e invalidanti devono essere
sottratte alla gestione privata e sottoposte al controllo delle donne e dei
lavoratori, insieme con i medici e con i tecnici. La legge 40, pur penalizzando
fortemente tali pratiche, per la prima volta le riconosce e le legittima ma, nel
conflitto tra interessi clericali ed interessi “scientifici”, vincono i
primi e nell’impianto generale della legge prevalgono gli aspetti più retrivi
e reazionari.
Si tratta, infatti, di una legge ideologica che insidia
fortemente la legge 194 mirando alla sua abolizione; riconosce come unica
famiglia il modello tradizionale basato sul
legame di sangue tra genitori e figli vietando l’accesso alle tecniche
alle donne singole e alle lesbiche; vuole esercitare il controllo sul corpo
delle donne impedendo nei fatti l’utilizzazione delle nuove tecnologie della
riproduzione.
Il referendum non basta
In tutta la vicenda è mancata la mobilitazione del
movimento delle donne, ormai da anni egemonizzato da teorizzazioni idealistiche
distaccate dai temi sociali e di classe. Rifondazione Comunista ha privilegiato
l’azione parlamentare e i tavoli di esperti, criticando la legge da un
versante liberal-borghese e non dal versante della lotta di classe. Le forze
politiche del centrosinistra e alcuni esponenti del centrodestra, che avevano
scelto senza successo la via emendataria della legge, hanno dovuto ripiegare
sulla scelta del referendum.
Bisogna dire che i quesiti referendari abrogano solo
alcune parti della legge (quelle più manifestamente umilianti per la donna e
pericolose per la sua salute) ma, in caso di vittoria dei sì, resterebbe ancora
in piedi quella parte dell’impianto ideologico della legge che impedisce
l’accesso alle tecniche alle donne single o alle donne lesbiche. Resterebbe,
inoltre, l’irrisorio finanziamento pubblico all’erogazione del servizio da
parte del Sistema Sanitario Nazionale, lasciando ampi spazi all’iniziativa dei
privati.
I quesiti referendari sopravvissuti al giudizio della
corte costituzionale (la quale ha respinto il referendum totalmente abrogativo)
e sostenuti da uno schieramento largo di forze (Ds con l’appoggio di gruppi
parlamentari della Margherita, Nuovo Psi e Pri, Cgil) hanno aperto comunque un
dibattito nel paese nel quale come comunisti dobbiamo inserirci evidenziando le
contraddizioni che sono presenti e che sussisteranno qualunque sarà l’esito
della consultazione.
Progetto Comunista ha da sempre sostenuto, nel partito e
sulle colonne di questo giornale, che la legge 40 andava contrastata dal
versante della lotta di classe e di massa, fin dal suo nascere e cioè fin dalla
scorsa legislatura di centrosinistra, senza compromessi di sorta con il centro
liberale dell’Ulivo-Unione, compromessi che si sono protratti fino alla sua
approvazione e che ha visto il Prc subalterno alla prospettiva di una futura
alleanza con il centrosinistra.
Oggi i comunisti e le comuniste sono chiamati/e a
contrastare l’egemonia clericale esercitata in primo luogo dalla Cei che, per
bocca di Ruini, ha “invitato” l’elettorato cattolico ad astenersi. Va
scongiurato l’attacco alla 194, va ribadita l’autodeterminazione delle donne
in tema di procreazione anche con un uso consapevole delle nuove acquisizioni
scientifiche e tecniche.
Liberazione
della donna e prospettiva anticapitalistica
Qualunque sia l’esito
referendario, la lotta dovrà continuare con l’obiettivo della totale
eliminazione della legge 40 (insieme all’abolizione di tutte le leggi del
governo Berlusconi e dei precedenti governi di centrosinistra che hanno sferrato
un duro attacco ai diritti dei lavoratori, degli studenti, degli immigrati) e
con l’obiettivo della ricomposizione di un movimento di massa delle donne, a
partire dalle giovani protagoniste delle ultime stagioni di lotte, che dovrà
riprendere voce sui temi della riproduzione, del controllo della sessualità e
del corpo, dei servizi sociali e sanitari.
Né la chiesa, né i
comitati di bioetica, né i medici né tantomeno le imprese farmaceutiche e
biotecnologiche dovranno imporre i loro interessi sulle questioni riproduttive.
La scienza, infatti, lungi dall’essere neutrale, nel sistema capitalistico è
asservita al capitale e soltanto il rovesciamento del modo di produzione e
dell’ordinamento sociale può permettere, come dice Marx, di “convertire la
scienza da strumento di dominio di classe in una forza popolare” e dunque
“convertire gli uomini di scienza stessi da ruffiani del pregiudizio di
classe, da parassiti a caccia di prebende statali e alleati del capitale, in
liberi agenti del pensiero”.
Fin da oggi è necessario costruire comitati di difesa
della legge 194 per riprendere in mano il controllo della salute riproduttiva,
della contraccezione, dell’aborto, della fecondazione artificiale. È
necessario realizzare reti regionali in difesa dei consultori pubblici che sono
oggetto di smantellamento e privatizzazione, perché siano riconquistati dalle
donne come luoghi di discussione e di gestione della propria salute; rivendicare
l’inserimento di tutte le prestazioni sanitarie relative alla salute
riproduttiva nelle prestazioni del sistema sanitario nazionale, comprese le
tecniche di fecondazione assistita; sfidare le nuove giunte regionali di
centrosinistra e i partiti che le sostengono (inclusa Rifondazione Comunista)
sul terreno della lotta per l’abolizione di tutte le leggi retrive e
reazionarie che finanziano le famiglie “consacrate” escludendo le coppie di
fatto o le ragazze madri, che sanciscono la figura dell’embrione come soggetto
di diritto e la famiglia “naturale” come unico modello.
(3 giugno 2005)