LA FARSA DELLA ROTTURA DEL PRC CON BASSOLINO

   

 

di Valerio Torre

 

La decisione del Comitato politico regionale campano di Rifondazione comunista di ritirare dalla giunta Bassolino l’assessore all’agricoltura, Vincenzo Aita, uscendo quindi dall’amministrazione, lungi dal costituire una «scelta … nella direzione della coerenza con … l’ispirazione generale del ruolo di governo in funzione della crescita dei movimenti» (Bertinotti, relazione in Dn del 21/9/2004), rappresenta al contrario la consacrazione della liquefazione del partito nell’intera regione Campania.

Com’è noto, il provvedimento - assunto dall’organismo dirigente pressoché all’unanimità (con un solo voto d’astensione) - sancisce la rottura in occasione dello scontro insanabile fra la popolazione di Acerra, da un lato, schierata a difesa del proprio territorio e della propria salute contro la costruzione del termovalorizzatore, e, dall’altro, l’ente regionale, che ha fatto invece dell’insediamento degli inceneritori l’asse fondativo della sua politica in tema di ciclo dei rifiuti: tuttavia, come vedremo, la scelta del Cpr giunge al termine della triste parabola discendente del partito in Campania e non si configura affatto come un salto in avanti per ripensare - tracciato un bilancio della partecipazione alle giunte locali nell’intera regione - la linea finora praticata riposizionando e ricollocando la prospettiva sin qui seguita dal versante della borghesia a quello dei lavoratori; bensì, come una pantomima finalizzata a rinegoziare la presenza del Prc all’interno dell’amministrazione regionale, recitata anzi con circospezione per non determinare crisi e rotture negli altri enti locali di cui esso fa parte.

 

 

La realtà del partito in Campania  

La realtà di Rifondazione in Campania sta, infatti, nell’avere il partito anteposto - in un quadro complessivo di conflitto sociale acuto e profondo - alla capacità di elaborare programmi incisivi e di condurre le lotte necessarie a dare sbocchi ai bisogni di masse enormemente disagiate, la costruzione di una struttura burocratica sviluppatasi in un ormai avanzatissimo processo di autonomizzazione della nomenclatura nelle istituzioni che si è fatta ceto politico ed ha assunto impropriamente un ruolo dirigente, determinando così un meccanismo che ha trasformato il Prc da partito di militanti in “partito degli assessori”: un meccanismo incondivisibile sostenuto da una strategia governista, intesa come unico orizzonte di sopravvivenza di un partito che era nato dalla dissoluzione del Pci perché ben altre aspettative in esso riponevano tanti militanti traditi dalla Bolognina.

Rifondazione, in regione ed in tutte le giunte locali della Campania, ha assunto un ruolo di completa subordinazione agli interessi della borghesia, coprendo “da sinistra” il programma delle imprese, delle classi dominanti e dei loro ceti politici di riferimento, democristiano e diessino: in questo senso vanno letti, solo per fare alcuni esempi, lo sviluppo dirompente delle privatizzazioni; il finanziamento a pioggia delle scuole private - di cui la Campania vanta il più alto tasso d’insediamento - e delle attività d’impresa; l’abbandono del governo del territorio alle peggiori mire speculative, attraverso l’adozione di piani regolatori generali (a Napoli, a Salerno) che consentono estese cementificazioni; la svendita del mercato del lavoro nella provincia di Napoli agli interessi dei privati attraverso un progetto fortemente voluto - su indicazione della Confindustria - proprio dall’assessore del Prc al ramo: progetto che si inscrive nella cornice di una crescente aggressione poliziesca al movimento dei disoccupati, che, avanguardia da sempre nelle lotte per il lavoro, è oggi lasciato al suo destino da Rifondazione, tanto che è palpabile al suo interno l’egemonia sia di frange camorristiche che di gruppi neofascisti.

La maggioranza dirigente del Prc pretenderebbe di scrollarsi di dosso l’accusa di subalternità e marginalità sventolando il vessillo del salario sociale, che si configura invece non come strumento di inclusione, ma addirittura come reddito minimo di sussistenza, come misura di regolazione interna al capitale stesso e, quindi, di perpetuazione dell’esclusione: in altri termini, come misura di carattere regressivo. Oppure, vorrebbe apparire rivoluzionaria invocando il già citato job center creato dalla Provincia di Napoli, elefantiaco centro di colloquio ed orientamento dei disoccupati per venire incontro alle esigenze delle imprese; ovvero avvolgendosi nella bandiera della pace e proclamandosi pacifista. Tace, però, sull’assoluta mancanza di sintonia del partito con i movimenti sociali per il reddito, quello dei disoccupati e quello per la pace, che percorrono da tempo strade diverse, lontane dai palazzi del potere dove Rifondazione si è da tempo acconciamente sistemata e si accinge a farlo correndo in braccio a Prodi.

   

La questione Acerra  

Questo complessivo quadro di progressivo sfilacciamento del partito e della sua capacità di incidere nella società campana dando reale prospettiva e voce alle masse svantaggiate ha determinato addirittura una conflittualità permanente fra taluni eletti e gli organismi: è il caso dei tre consiglieri regionali, che, in contrasto con la linea politica regionale del Prc, ne sono usciti. Ed uno dei punti di maggior contrasto - non a caso - era proprio costituito dal caso di Acerra, sul cui territorio Bassolino vuole imporre, senza sentire ragioni, la costruzione di un termovalorizzatore: la battaglia consiliare dei tre rappresentanti di Rifondazione si era spinta al punto da sottoporre al partito una approfondita riflessione sull’opportunità di uscire dalla maggioranza di governo della regione, essendo quello di Acerra il punto di crisi più alto nei rapporti con la coalizione.

Tuttavia, la maggioranza dirigente del Prc (e non solo nei suoi livelli regionali!) respinse - senza neanche sentire il bisogno di favorire una discussione in proposito negli organismi - tale sollecitazione, così subordinando le lotte della popolazione acerrana a difesa del territorio e della salute alla salvaguardia degli interessi della Fibe (gruppo Fiat), aggiudicataria della costruzione dell’impianto d’incenerimento e gestore del piano rifiuti.

Il resto è cronaca dei giorni nostri: il commissario straordinario ai rifiuti Corrado Catenacci, ritenendo che il periodo di ferragosto fosse quello più propizio all’inizio dei lavori, ha dato il via all’insediamento del cantiere; ma gli abitanti di Acerra si sono opposti, inscenando una serie di manifestazioni sfociate in violente repressioni da parte di migliaia di poliziotti, carabinieri e finanzieri fatti confluire dal governo sul luogo per fronteggiare le montanti proteste. I ripetuti tentativi, da parte di un Prc ormai privo di rappresentanza consiliare in regione, di fare breccia nella tetragona posizione di Bassolino a difesa dell’impianto di termovalorizzazione attraverso una faticosa mediazione tendente non già alla revoca della decisione presa, bensì ad una temporanea sospensione dei lavori, non hanno dato esito; sicché, anche per fronteggiare la spinta di piazza sempre più imponente del movimento di protesta dei cittadini di Acerra (il cui sindaco è di Rifondazione), al partito non è rimasto altro che - non potendo uscire dalla maggioranza - ritirare l’unico suo assessore dalla giunta.

   

Il “codismo” di Rifondazione e la ricomposizione negoziale con Bassolino  

A dispetto di come la si vuol presentare, la decisione del Cpr di uscire dall’amministrazione regionale non rappresenta affatto una rottura fondata sulla consapevolezza dell’incompatibilità del programma dei comunisti con gli interessi di cui Bassolino e la sua giunta sono portatori:

1. innanzitutto, perché giunge dopo che il problema di Acerra si è trascinato per anni sullo sfondo di politiche condivise appieno da Rifondazione. Tutto il percorso che ha condotto fino alle cariche del 16 agosto della polizia sui manifestanti non è mai stato messo in discussione dalla maggioranza dirigente del partito, che lo ha semplicemente ignorato sperando che qualche evento la togliesse dall’imbarazzo; ma che in tal modo ha fatto sviluppare fino all’odierna deflagrazione;

2. quindi, perché non a caso viene adottata quando ormai - non avendo più rappresentanti in consiglio - non è più possibile determinare la crisi negli equilibri della coalizione che governa la regione, sicché diventa assolutamente indolore ritirare un assessore;

3. infine, perché non mette in discussione la partecipazione ad altre giunte locali portatrici di analoghi interessi, quali ad esempio la giunta provinciale di Napoli, guidata dal verde (eppure, bassoliniano di ferro) Dino Di Palma, che, negando addirittura l’utilizzo del gonfalone dell’ente nelle manifestazioni di protesta, non si è espresso - nonostante si professi ambientalista - sulla questione di Acerra: tanto da meritarsi la definizione di «unico italiano senza opinione sul termovalorizzatore» (Metrovie, supplemento a il manifesto, 24/9/2004).

La decisione di rompere con Bassolino è maturata in un contesto di lotte sociali in cui il movimento di Acerra è su posizioni enormemente più avanzate di quelle espresse da Rifondazione; un contesto in cui il Prc ha incarnato la più classica espressione del “codismo” che Lenin denunciava come fenomeno di quei partiti i quali, invece di candidarsi a stare alla testa dei movimenti, si accontentano di rimanerne alla coda.

Rifondazione comunista è stata trascinata a compiere quella scelta dal livello dello scontro innesca-to dalle masse in contrapposizione frontale con gli interessi del capitale e della borghesia imprenditoriale. E, conseguentemente, lo ha fatto non già per guadagnarle alla consapevolezza che i loro bisogni - espressione di quello scontro - sono incompatibili con quegli interessi, bensì, nel più complessivo quadro della sua candidatura a copertura “di sinistra” delle politiche padronali, in funzione del contenimento della pressione delle masse stesse.

Le prospettive della situazione così venutasi a determinare sono nel segno di una più complessiva rinegoziazione della presenza del Prc all’interno dell’amministrazione regionale.

Infatti, Aita, dal canto suo, ha da subito manifestato contrarietà rispetto al deliberato del partito, dichiarando che solo per rispetto della decisione dell’organismo dirigente avrebbe rimesso il mandato nelle mani di Bassolino; il quale, dopo averle accettate, ha subito criticato aspramente la scelta di Rifondazione, addebitandole di non aver tenuto conto… dell’ottimo lavoro svolto in giunta dall’assessore! Come se in discussione fosse l’operato di quest’ultimo e non invece la complessiva politica dei comunisti nell’amministrazione regionale! E puntuali sono giunte le attestazioni di stima per l’assessore da parte delle burocrazie sindacali: appunto, come se si fosse trattato di un referendum pro o contro Aita! Il quale ha cercato di giustificare il suo dissenso rispetto alla scelta del Cpr attraverso una serie di proposte (ASCA, 17/9/2004) tra cui... il mantenimento dei termovalorizzatori e la richiesta della delega all’ambiente!!!

Il segretario regionale, Vito Nocera, ha subito ripreso il lavoro di ritessitura dei rapporti necessari alla ricomposizione negoziale, “rilanciando la politica unitaria” (Il Mattino, 18/9/2004), beninteso purché trovino spazio le istanze dei movimenti. Peccato che al movimento di Acerra non interessi affatto il rilancio del centrosinistra in regione Campania o quale assessorato vada a Rifondazione una volta rientrata in giunta, ma soltanto che Bassolino non gli costruisca il termovalorizzatore sotto casa.

Alla maggioranza dirigente del Prc, al contrario, interessa chiudere al più presto possibile la crisi con il rientro “morbido” di Vincenzo Aita in giunta: ed anche questa volta, con tanti saluti ai movimenti!

È questo il senso del frenetico lavorìo sotterraneo di questi giorni fra i vertici nazionali e regionali del Prc e dei Ds, tutti intenti a trovare una via d’uscita onorevole che consenta a Rifondazione di riprendere il posto in amministrazione consegnandole la bandierina di difensore delle popolazioni acerrane: alle quali non resterà altro che una lotta ad oltranza contro una giunta regionale che, ancora una volta con il contributo determinante del Prc, intende sacrificarne i bisogni sull’altare degli interessi del capitale.

 

(30 settembre 2004)