Quando una fabbrica chiude

La difficile resistenza dei lavoratori Parpas

 

di Francesco Doro*

 

La Parpas, fabbrica metalmeccanica di Cadoneghe (Pd), inizia la sua attività nel secondo dopoguerra come piccolo laboratorio artigianale. I soci fondatori sono Parpajola Pietro e Pasquetto Giosuè: il primo proviene dal Pci e oggi la proprietà sostiene i Ds. L’azienda, inserita in un territorio governato dal centrosinistra da cui riceve sostegno tramite i Ds, è diventata nel tempo una delle più importanti del padovano (produce macchine utensili a controllo numerico). Nella metà degli anni ’70 nasce il “Gruppo Parpas” che comprende, oltre alla Parpas, l’Omv (Officine Meccaniche Venete), la Famu, l’Imp (Industrie Meccaniche Parpas) e la Fumagalli di Monza. Il Gruppo Parpas, raggiunti i 500 dipendenti, è diventato un piccolo impero con basi commerciali nel Canada e negli Stati Uniti. E’ basato su una ditta centrale e altre aziende, collegate tra di loro sul piano commerciale e in parte produttivo ma separate sul piano societario: ciò comporta, cosa importante per i padroni, la divisione sindacale del gruppo.

Nel 2002 il Gruppo Parpas si posiziona all’ottavo posto nel settore delle macchine utensili in Italia con un fatturato di 66 milioni di euro. Nella Parpas di Cadoneghe la Fiom Cgil, radicata in fabbrica fin dall’inizio, sotto l’influenza politica dei Parpajola, esprime inizialmente posizioni di collaborazione, finché l’assunzione di giovani lavoratori rinnova la Fiom e i delegati della Rsu che non rispondono più alla vecchia burocrazia Ds. Alla Omv la Fiom e la Fim mantengono la più assoluta calma sociale; mentre alla Famu la Fim svolge la funzione di sindacato giallo: qui alcuni lavoratori cercano di organizzarsi con la Fiom ma devono desistere a fronte di forti pressioni da parte della direzione e dei capi. La Fumagalli, essendo sotto i 15 dipendenti, non è sindacalizzata. Nella Imp, ultima nata a metà anni ’80, il padronato vuole creare una fabbrica modello, con una forza-lavoro totalmente giovane e inesperta, staccata dagli altri siti produttivi.

 

La lotta dei lavoratori 

Ma il filtro dei capi tra direzione e lavoratori non funziona: i giovani delegati dirigono la lotta a partire dalle rivendicazioni più elementari (la fornitura della tuta, delle scarpe antinfortunistiche, le docce ecc), fino a farne lo stabilimento più combattivo dove la Fiom è l’unico sindacato. Si tratta di una combattività forte ma spontanea che, in assenza di una cosciente direzione politica, con l’avvento degli accordi del 23 luglio ’93 porta i delegati su posizioni concertative. I nuovi accordi sulla produttività, che in una prima fase aumentano i bassi salari, instaurano nella fabbrica un clima di responsabilizzazione.

A seguito della elezione della nuova Rsu nel ’98 si riapre una nuova stagione di lotta. La nuova leva di delegati inizia a porre sul tappeto questioni prima rimosse: lo strapotere dei capi, la questione della sicurezza e della salute, la questione salariale. Questo nuovo tipo di azione sindacale determina l’irrigidimento della direzione: la Rsu è diventata “non responsabile”. Il pretesto da parte dell’azienda per rompere definitivamente con la Rsu si verifica dopo l’accordo separato firmato nel 2001 da Fim e Uilm, provocando la rottura con la Fiom. La Rsu contro quest’accordo mobilita i lavoratori, l’azienda manda un messaggio chiaro: “o il sindacato ridimensiona le proprie posizioni o noi non lo riconosciamo come interlocutore”. Per dividere i lavoratori l’azienda tenta la via degli accordi individuali nello stabilimento di Cadoneghe prevedendo aumenti salariali in cambio di totale disponibilità su orari e reperibilità, accordi che passano per responsabilità della Fim e in parte della Fiom. Ma in Imp non passano, anzi scatenano la rabbia dei lavoratori.

La crisi del settore con il conseguente calo delle commesse porta l’azienda a non rinnovare il contratto interno, nel 2003-04 non viene corrisposto il premio di produzione, la direzione cerca di sedare le lotte con provocatorie lettere di richiamo e punizioni esemplari, fino a tentare il licenziamento dei delegati. Nei primi giorni di maggio ’05 viene annunciata la chiusura dell’Imp e il licenziamento dei 48 lavoratori in forza; la Fumagalli viene chiusa, 12 lavoratori licenziati; alla Omv si vuole dimezzare il personale da 120 a 60 dipendenti; alla Parpas centrale viene chiesta cassa integrazione ordinaria per 40 dipendenti; solo la Famu è risparmiata.

I lavoratori della Imp reagiscono fin dal primo giorno con uno sciopero ad oltranza e occupano la fabbrica. In questa prima fase i lavoratori Imp sono uniti, coscienti che la lotta deve essere portata fino in fondo. L’azienda continua a pagare i lavoratori, tenta di rompere il fronte mettendo in sospensione retribuita 12 lavoratori tra i più combattivi e di estorcere le dimissioni dei dipendenti a fronte di denaro. In quei giorni si organizzano conferenze stampa, incontri pubblici con la popolazione e consigli comunali, interventi nelle radio locali, manifestazioni di piazza. Ma negli altri stabilimenti la lotta stenta a partire in mancanza di un serio coordinamento tra le fabbriche. La Famu non si mobilita, alla Omv viene dichiarato uno sciopero di appena 2 ore a seguito dell’intervento di una delegazione di lavoratori Imp e Parpas. Solo in Parpas centrale, dove si verificano gravi aggressioni ad una delegata, gli scioperi si coordinano con l’Imp.

Fin dall’inizio l’azienda ha dimostrato la volontà di chiudere la fabbrica: tale posizione porta alla rottura della trattativa in sede sindacale, che si sposterà in sede istituzionale. Qui l’azienda propone il reintegro di alcune figure professionali nello stabilimento centrale. Queste proposte avranno degli effetti sulla tenuta della mobilitazione in Imp: una parte dei lavoratori chiede la chiusura della trattativa a fronte di una buona uscita non avendo fiducia nella prospettiva del gruppo, altri pensano di essere reintegrati, fattori che fanno venir meno la solidarietà di classe. Alla fine l’azienda cede sul reintegro di dieci figure professionali, per gli altri un incentivo all’esodo. In assemblea, malgrado l’intervento contrario di chi scrive e parte dei lavoratori, la maggioranza non vedendo prospettive chiede che l’accordo venga firmato. La vicenda Parpas mostra nei fatti che anche la lotta più combattiva se rimane isolata a livello aziendale è destinata alla sconfitta.

 

*Ex delegato Imp - Direttivo regionale Fiom Veneto