Fare sindacato in fabbrica, da comunisti

 

Corrispondenza operaia dai cantieri navali di Genova

Andrea Bono (*) e Guido Misi (**)

 

 

Innanzitutto è bene partire da una premessa per spiegare qual è il clima che si percepisce tra gli operai (soprattutto quelli più giovani): è bene sbaragliare il campo da qualsiasi equivoco, poiché chi come noi “fa sindacato” oggi, deve vivere quest’esperienza con una visione rivoluzionaria, intesa naturalmente come egemonia dei rivoluzionari all’interno dei sindacati reazionari, anche se essere dei buoni e veri rivoluzionari non è impresa delle più facili. Noi diciamo che i giovani operai sono attualmente le vittime più esposte ai pericoli e agli scempi che questa attuale fase del capitalismo ci propone, o meglio ci impone. I giovani di cui parliamo sono quell’immenso esercito di proletari che lavorano nelle fabbriche piccole e grandi, quotidianamente sottoposti alle variegate forme di flessibilità che da più parti sono state decantate, e che pochi nella realtà pratica di tutti i giorni osano mettere in discussione. Noi alla Fincantieri di Sestri, mettiamo in discussione questa versione perversa del mondo del lavoro che ci viene propinata e lo facciamo prendendo i nostri rischi, perché ogni giorno ci scontriamo con l’azienda e con tutti quelli che ne reggono il gioco più o meno consapevolmente.

Con quest’ultima frase vogliamo dire esplicitamente che anche le confederazioni sindacali all’interno dei luoghi di lavoro svolgono spesso un’opera controproducente alla causa del proletariato, avendo probabilmente dimenticato o distorto la funzione vera che il sindacato ha il dovere di svolgere tra i lavoratori. Per descrivere l’atmosfera odierna non si può prescindere dal dire quale è il pensiero diffuso che serpeggia sempre più insistentemente in fabbrica: molti lavoratori, i quali sovente peccano di qualunquismo, non hanno una buona opinione dei sindacalisti, e noi con questa realtà ci dobbiamo fare i conti e ci facciamo i conti interrogandoci sugli errori che facciamo noi e che fanno anche gli altri compagni militanti nel sindacato. Perché i lavoratori sono arrivati a pensare questo? E ci chiediamo ancora se in questa fase di dure lotte che ci vede impegnati tutto questo presenti degli aspetti positivi circa la reattività degli operai o se invece sia sintomatico di uno scoramento determinato da anni di sconfitte, cosa del resto ampiamente comprensibile. Non possiamo permetterci di dormire sugli allori, e anche se alla Fincantieri di Genova la CGIL ha avuto, dopo il Patto per l’Italia, 150 nuovi tesserati (a scapito di CISL e UIL) non dobbiamo essere indotti a pensare di aver definitivamente conquistato la coscienza di questi lavoratori, poiché in realtà spesso chi si iscrive al sindacato all’interno della fabbrica lo fa più per consuetudine che per reale convincimento, e questo la per mancanza di sufficiente formazione sindacale. Su questo fattore dobbiamo fare un’attenta riflessione, per non rischiare di cadere in preda a successivi periodi di sconforto: anche per la CGIL potrebbero verificarsi delle emorragie di iscritti, nulla ovviamente è da ritenersi definitivo.

La situazione di passività sociale che ancora possiamo verificare è un altro aspetto che bisogna considerare: in quanto ampie fasce di lavoratori godono ancora di situazioni di benessere oggettivo, riconducibili, il più delle volte, a condizioni economiche agiate delle famiglie, per cui è facile dedurre che oggi noi giovani non lottiamo più per il salario e le condizioni di lavoro con la stessa determinazione che era caratteristica di tempi passati, dove i lavoratori provenivano da un contesto sociale caratterizzato dalla miseria e dall’indigenza.

Oggi dentro la nostra fabbrica i lavoratori hanno quasi tutti dai 20 ai 30 anni di età: gli anziani sono andati in pensione “grazie” alla legge sull’amianto e l’azienda sta così guadagnando notevolmente. Va in realtà detto che i giovani sono stati assunti con basse qualifiche professionali, CFL e più in generale con condizioni contrattuali assai sconvenienti, cosicché i dirigenti di Fincantieri stanno riempiendosi perbene le tasche

Un po’ della sfiducia che si respira deriva anche da questo complesso di elementi. I giovani lavoratori si sentono sempre più precarizzati e sempre meno difesi

Eppure qualcosa ci lascia presagire che il nostro operato non è stato privo di frutti. Oggi possiamo dire che in fabbrica sono sempre più numerosi i giovani desiderosi di sapere, cresce sempre più il numero di coloro che hanno voglia di fare qualcosa, anche se di qui alla militanza vera e propria il passo non è così breve. Noi ci stiamo sforzando per capire cosa debba più o meno essere il sindacato, crediamo di avere qualche buona idea da comunisti circa la sua funzione all’interno della classe operaia, in particolare la giovane classe operaia. Il sindacato è riformista? Ebbene, i rivoluzionari presenti all’interno di esso, hanno il dovere di dare maggiore cura ai loro membri giovani. Il sindacato non deve limitarsi a dare istruzione tecnica o formazione professionale, non deve e non può limitare il suo operato all’assistenza fiscale e previdenziale: di enti bilaterali di cui non abbiamo proprio bisogno. Invece il sindacalista rivoluzionario deve occuparsi soprattutto dell’educazione comunista, su vasta scala, tenendo a mente che spetterà alle nuove generazioni realizzare effettivamente la rivoluzione sociale.

Conquistare la nuova generazione, educarla, innalzarla all’intendimento della necessità della rivoluzione, far sì che ogni giovane divenga militante cosciente delle aspre lotte future. Questo dovrebbe essere. Questo, ahinoi, attualmente non è.

E’ da sottolineare infatti quanto siano grandi le distanze che separano i vertici sindacali dalla classe lavoratrice. Da questo discorso dobbiamo escludere CISL e UIL in quanto, a nostro modo di vedere, hanno perpetrato ai danni dei lavoratori tradimenti così evidenti e gravi da non poter neppure essere considerati dei veri sindacati, ma dei puri e semplici enti governativi. Dobbiamo e vogliamo invece affrontare un discorso serio nei riguardi della CGIL, alla quale non si può certo evitare di muovere delle severe critiche. Saprà la CGIL farsi realmente carico della grande responsabilità che ha nei confronti dei suoi iscritti e non? Su questo non è difficile nutrire qualche dubbio e in ogni caso se il sindacato non sarà in grado di cogliere gli elementi propizi che questa fase storica presenta, un altro durissimo colpo verrà inferto ai milioni di esseri umani sinceramente speranzosi di poter lottare per salvare il proprio futuro e la propria dignità. Quale ennesima occasione verrà perduta dalla classe operaia, quale ulteriore obbrobrio verrà compiuto nei confronti dei lavoratori, se anche la CGIL, come dubitiamo, si dimostrerà inadeguata ad affrontare vere situazioni di scontro con il governo?

Oggi in fabbrica si è combattuti tra correnti di pensiero che differiscono spesso anche profondamente tra loro, ci si trova invischiati in acute e non di rado strumentali contraddizioni causate dal marasma politico di cui la CGIL soffre. Da un lato si dice che l’autunno sarà caldo, si punta il dito sulla grande battaglia per la salvaguardia dell’art. 18 e sulla regolamentazione del mercato del lavoro. Le intenzioni ad un primo sguardo possono apparire assolutamente meritorie. Peccato si ometta di presentare alla classe operaia tutta quella serie di altri elementi che stanno movendo le fila della politica dei vertici CGIL. Cofferati, Epifani e Company promuovono una campagna per la tutela dei diritti, ma si guardano bene dal mettere seriamente in discussione gli strumenti che loro stessi hanno fornito ai padroni in tema di flessibilità; possiamo dire senza timore di esagerare che la flessibilità rappresenta un crimine contro chi vive del proprio salario; un concetto elementare quest’ultimo, che però evidentemente un gruppo di borghesi che si arroga il diritto di dirigere il sindacato dei lavoratori non considera con la dovuta attenzione. Gli strumenti di flessibilità che costoro hanno regalato ai capitalisti consentono ai padroni di calpestare ulteriormente e impunemente i diritti dei lavoratori. 

In più i vertici del più grande sindacato italiano continuano ostinatamente a sventolare lo stendardo dell’europeismo spinto, dimostrando così la loro vicinanza a talune lobbies economiche care all’Ulivo. Essi tentano di ingannare il proletariato italiano con false promesse circa le garanzie di miglioramento del tenore di vita che una buona gestione dell’unione politica e monetaria del Vecchio Continente apporterebbero. Accusano il governo Berlusconi di essere riluttante rispetto alle linee guida dettate dall’Unione Europea, mentre presentano alle classi sociali più povere un eventuale governo di centrosinistra come l’unico vero difensore dei principi di europeismo, come unico baluardo garante della democrazia (borghese).

Ma non basta: a coadiuvare l’opera del socialdemocratico (o liberaldemocratico?!) Cofferati e del “socialista” (a suo tempo craxiano!) Epifani rischia di contribuire con le sue acrobazie anche il PRC. Esso infatti continua a oscillare tra pericolosi ammiccamenti alla maggioranza della Cgil e al progetto neoulivista di Cofferati (non cogliendone l’aspetto profondamente antioperaio) e un atteggiamento di “sfida” alla Cgil lanciata non sul terreno dell’organizzazione e della lotta ma su quello dell’immagine, limitandosi talvolta alla semplice raccolta di firme per i referendum. D’altra parte la maggioranza del gruppo dirigente del PRC dedica al movimento dei lavoratori un’attenzione pressoché nulla., essendo troppo impegnata attualmente a occuparsi di “movimento dei movimenti”, o ad altre pittoresche quanto inutili iniziative di carattere per così dire “partecipativo” che risultano nel concreto poco utili alla causa operaia. Anche in fabbrica quando ai lavoratori è stata descritta la campagna elettorale incentrata sullo slogan (l’ennesimo) del “Bilancio Partecipato” sul modello di Porto Alegre, nei volti e nelle opinioni di molti compagni traspariva l’incredulità e l’amarezza. Bel risultato!

Crediamo che Rifondazione debba invece conferire maggiori spazi all’area marxista rivoluzionaria poiché è inutile girarci intorno: è necessario mettere a fuoco qual è il logico obbiettivo finale di un Partito Comunista (per citare R. Luxemburg), che certo non può essere la “Democrazia Partecipativa” !

Quanto alla CGIL, non ci si può esimere dallo spendere qualche considerazione sul prossimo erede di Sergio Cofferati, ovvero il “compagno” Epifani; come dimenticare che egli ai tempi del referendum sulla scala mobile si schierò apertamente (da buon socialista) sulle posizioni di Craxi? Quale migliore prospettiva per i lavoratori essere guidati nel caldo autunno ormai alle porte, da un così strenuo e collaudato difensore degli interessi di classe (quale?).

Noi dei Cantieri Navali di Genova siamo ben lontani da certi atteggiamenti trionfalistici e autoreferenziali che si respirano tra i burocrati del sindacato poiché nutriamo delle forti riserve in merito alla capacità della CGIL di produrre uno sforzo di lotta continuativa in grado di incidere seriamente sulla durata del governo di lestofanti messi insieme da Berlusconi. Del resto come si può avere fiducia osservando anche la situazione all’interno della nostra fabbrica? Da noi sta prendendo piede la privatizzazione che, ne siamo certi, come sempre, avrà effetti devastanti sui lavoratori e già oggi fatichiamo oltremodo a far rispettare all’azienda anche le minime condizioni di igiene e ambiente di lavoro. Oggi da noi si rischia la pelle per salari oscillanti tra i 600 e gli 800 Euro mensili. Abbiamo bassi salari che costringono molti di noi a fare i classici “salti mortali” per arrivare a fine mese, ma la colpa è da imputare , ci dicono da più parti, alle turbolenze determinate della concorrenza internazionale. Questo contiene delle verità, ma i Comunisti devono opporsi con tutte le forze a modelli di società basati sulle inique dinamiche del mercato capitalista.

In realtà i padroni ci vogliono portare a condizioni salariali e contrattuali sempre più umilianti, questa è la verità e le piattaforme (presumibilmente separate) per il rinnovo del contratto, temiamo, si mantengano fedeli alla linea della concertazione. Ma c’è anche un'altra realtà incontrovertibile: molti di noi lotteranno come già nel recente passato, con scioperi spontanei, blocchi, cortei e tutti gli altri mezzi che riusciremo a mettere in campo. Non tutti i proletari si sono ancora rassegnati a vivere sudditi del padronato. Cercheremo di spazzare via tutti i borghesi e tutti i loro tirapiedi doppiogiochisti. La classe operaia è ancora viva e attiva!

La CGIL la sentiamo nostra e dobbiamo strapparla dalle mani dei burocrati piccolo-borghesi. Ci auspichiamo che Rifondazione Comunista (tutta) sia davvero parte attiva in questo programma e non rischi di lasciarsi fuorviare e marginalizzare dal progetto politico ulivista che ha connotazioni marcatamente borghesi. E Rifondazione non e’ un partito per borghesi., questo è perlomeno il nostro desiderio.

 

(*) Operaio della Fincantieri di Genova Sestri Ponente - Direttivo Regionale FIOM Cgil

(**) RSU - Direttivo Regionale FIOM Cgil