Via
Berlusconi
ma non per Prodi
di
Marco Ferrando
Cacciare
Berlusconi è necessario e possibile. Ma a farlo devono essere i lavoratori in
una prospettiva indipendente, non i liberali dell'Ulivo sulle spalle dei
lavoratori e contro le loro lotte. L'intera situazione sociale e politica
italiana ruota attorno a questo nodo centrale.
Le
nuove difficoltà di Berlusconi
Nell'ultima
fase politica il governo Berlusconi ha aggravato le proprie difficoltà.
L'approfondimento della crisi economica italiana ed europea lo costringe ad
accelerare una nuova offensiva antioperaia ed antipopolare proprio nel momento
in cui quella medesima crisi accentua tutte le contraddizioni del suo blocco
sociale e politico.
Si
allarga il disincanto verso il governo in settori popolari del suo elettorato,
nel Nord e nel Sud. Numerosi potentati che avevano investito nel berlusconismo
prendono le distanze dall'esecutivo (Confindustria) o passano alla sua aperta
contestazione (Bankitalia). La grande stampa borghese, da sempre critica,
accentua il proprio scetticismo sulla stessa tenuta del governo e, in ogni caso,
sulla sua reale capacità di incidenza in materia di "riforme
strutturali" (Corriere della Sera
in testa). E Berlusconi appare stretto in una tenaglia: se si dedica alla
defatigante ricucitura delle contraddizioni interne al Polo della Libertà si
vota a un'impresa resa problematica dal ridursi delle basi materiali di ogni
mediazione, e si espone al rischio di un galleggiamento precario e logorante. Se
invece prova a ergersi a "Bonaparte" e a scavalcare le contraddizioni
del Polo invocando direttamente il consenso del "popolo", allora si
espone a un rischio diverso ma non meno grave: quello di chiedere l'investitura
plebiscitaria proprio nel momento in cui non ha nulla da offrire: neppure... un
regolare campionato di calcio.
Nei
fatti a due anni esatti di distanza Berlusconi rilancia la sua più grande prova
di forza col movimento operaio e sindacale proprio nella fase della sua massima
debolezza sociale e politica.
La
natura antioperaia dell'opposizione liberale
Il
centro liberale dell'Ulivo (Margherita e maggioranza Ds) manifesta proprio in
questo momento il suo vero volto di classe. Più si accentuano i toni
dell'opposizione liberale, più appare chiaro "a chi" si rivolge
quell'opposizione, e "per cosa". Non solo i liberali non difendono i
lavoratori dalla nuova aggressione di un governo in crisi; non solo non
incoraggiano i lavoratori a liberarsi di questo governo, ma lanciano la propria
sfida a Berlusconi proprio sul terreno della politica antioperaia, assumendo ad
arbitri della sfida i banchieri e gli industriali italiani. Il tradizionale
sponsor dell'Ulivo, l'industriale De Benedetti ha aperto il coro: "Magari
Berlusconi realizzasse una vera riforma delle pensioni. Così eviterebbe questa
grana al prossimo governo dell'Ulivo. Ma non ne ha la forza, non ne sarà
capace". A rimorchio si sono collocati in questo solco tutti i massimi
esponenti del liberalismo ulivista. Prodi ha invocato, dal versante europeo, una
"coraggiosa riforma delle pensioni". Letta ha lamentato la mancanza di
coraggio del governo Berlusconi nel campo di riforme strutturali
"indispensabili". Bersani ha comparato la "navigazione a vista di
Berlusconi" con la capacità di governo e con "il coraggio" dei
precedenti governi dell'Ulivo. Visco non manca occasione di denunciare Tremonti
agli industriali e banchieri come un ministro inaffidabile sul terreno del
"rigore". D'Onofrio -consigliere economico di Prodi- dichiara che le
insufficienti liberalizzazioni causano l'aumento dei prezzi e "rischiano di
rilanciare la corsa dei salari" che invece, afferma, "vanno
contenuti" con il recupero della "concertazione". La morale per
tutti è una sola: la borghesia italiana cambi cavallo e avrà le controriforme
che vuole, in un quadro politico stabile, con un personale di governo più
competente e soprattutto senza l'ingombro degli scioperi.
Coerentemente,
sul piano politico, D'Alema e Prodi rilanciano la prospettiva del partito unico
del centro liberale: un partito che si candida a forza centrale della borghesia
italiana, delle grandi imprese e delle grandi banche, come leva di una nuova
stabilità borghese entro una seconda Repubblica definitivamente consolidata.
Un'opposizione
di massa a Berlusconi richiede la rottura con i liberali
I
lavoratori, i giovani, i movimenti di lotta di questi anni hanno una seconda
decisiva occasione per cacciare il governo Berlusconi nel nome di una propria
alternativa. Mandando al diavolo il centro liberale, smascherando e denunciando
il suo ruolo di classe antioperaio.
"Ma
come si può 'realisticamente' cacciare Berlusconi senza un accordo politico con
i liberali?" Questo si chiedono, con sincerità, tanti lavoratori. E questo
ripetono strumentalmente, con ipocrisia interessata, tutti i dirigenti liberali.
La risposta è semplice.
Innanzitutto
proprio il compromesso politico con i liberali rischia, qui e ora, di salvare il
governo Berlusconi. Berlusconi è oggi più debole di due anni fa. Una vera
risposta di lotta della classe operaia attorno a una piattaforma unitaria
d'azione e con la determinazione a vincere; una risposta di lotta vera, che
superasse la soglia dei puri scioperi simbolici, e che puntasse dichiaratamente
alla sconfitta del governo, potrebbe realmente cacciare Berlusconi. Cosa
l'impedisce? La logica delle coalizioni con i liberali, il rispetto della loro
paura delle masse, il compromesso con gli interessi di classe opposti che questi
rappresentano. E' la logica che per due anni, sotto Cofferati, ha bloccato un
potenziale di lotta gigantesco logorandolo e in parte disperdendolo. E' la
logica che oggi può nuovamente consentire a Berlusconi di sopravvivere e
persino di vincere. E se Berlusconi esce dalla stretta e vince la partita
sociale, si accresceranno le sue possibilità di vittoria alle prossime elezioni
politiche. La storia della Thatcher non ha insegnato nulla?
Rompere
col centro liberale, per una vera alternativa a Berlusconi
Ma
soprattutto solo rompendo con i liberali si può aprire il varco ad
un'alternativa vera al berlusconismo. I lavoratori, i giovani, i protagonisti
delle lotte di questi anni non hanno alcun interesse a cacciare Berlusconi sotto
la direzione e il programma dei liberali. Quella non sarebbe una loro vittoria,
ma una loro sconfitta. Non aprirebbe uno scenario più favorevole per le loro
ragioni ma uno scenario più favorevole per la famigerata ripresa della
concertazione delle politiche di privatizzazione, flessibilità, stretta sociale
"concordata", di cui i dirigenti liberali si professano maestri
insuperabili (in questo caso a ragione). Al contrario cacciare Berlusconi su un
proprio programma indipendente, in piena autonomia dal liberalismo, quella sì
sarebbe una vittoria vera: perché, persino indipendentemente dai suoi sbocchi
immediati, un simile evento darebbe un segno di svolta all'intera situazione
sociale e politica italiana, riporrebbe al centro della scena le rivendicazioni
ed esigenze delle grandi masse, ridurrebbe gli stessi spazi di manovra
antioperaia di un nuovo eventuale governo liberale. E perciò stesso
rafforzerebbe la prospettiva dell'unica vera alternativa: quella di un governo
dei lavoratori e delle lavoratrici su un programma di rottura radicale con la
borghesia e con tutte le sue espressioni.
Una
battaglia di fondo nel Prc, una proposta a tutti i movimenti
Per
questo Progetto Comunista rilancia la propria proposta generale di unità di
lotta dei lavoratori e dei movimenti, nella più completa autonomia dal centro
liberale, in aperta opposizione ad ogni accordo di governo con i liberali.
E'
una proposta rivolta in primo luogo al nostro partito: che non può tornare
nelle braccia di un governo Prodi se non tradendo e distruggendo le proprie
ragioni sociali e politiche. Ma è una proposta rivolta più in generale a tutte
le forze del movimento operaio, a tutte le rappresentanze dei movimenti di lotta
e alla loro avanguardia: che non possono svendere la prospettiva di un altro
mondo possibile nell'abbraccio con i difensori di questo mondo capitalistico,
con i rappresentanti dei suoi interessi, con i migliori gestori delle sue
politiche.
Per
questa proposta di polo autonomo di classe continueremo a batterci con estrema
determinazione. E' una proposta che accresce i propri consensi nel partito, dove
sono ormai numerosi i compagni schieratisi con la maggioranza all'ultimo
congresso che non intendo accettare la "nuova svolta" e chiedono
giustamente rispetto della verità e della democrazia. Ma accresce anche
attenzione e consenso fuori dal partito, in un ambito d'avanguardia di
lavoratori e attivisti di movimento che hanno la memoria lunga, non si fanno
incantare dalle parole, vogliono salvaguardare l'autonomia delle proprie ragioni
e non far da tappetino alle ragioni e agli interessi degli avversari.
Non
defletteremo. E andremo sino in fondo. Perché una cosa dev'essere chiara:
nessun governo della borghesia italiana sarà privato di un'opposizione di
classe e comunista.
(8
settembre 2003)