L'opposizione di Progetto Comunista alla deriva governista

Dove va il Prc?

 

di Ruggero Mantovani

 

L’appello per un’alternativa di classe al governo Berlusconi, per la salvaguardia di un’opposizione comunista al centrodestra e al centrosinistra e il rifiuto fin d’ora dell’accordo sia elettorale che programmatico con l’Ulivo, rappresenta, tanto più oggi, un essenziale strumento di salvaguardia preventiva sia delle ragioni della Rifondazione Comunista, sia degli interessi del movimento operaio e sia delle speranze di quelle giovani generazioni che da Seattle a Genova hanno segnato la crisi dell’egemonia sociale delle politiche capitaliste e richiesto “un altro mondo possibile”.

L’appello contro l’accordo con l’Ulivo e la richiesta di un congresso straordinario, non è dunque una questione posta da una parte del Prc ad un’altra, né tantomeno una campagna tattica della sinistra del Prc.

La richiesta di sancire democraticamente il rifiuto di un accordo programmatico col centrosinistra, attiene più profondamente alle stesse radici della Rifondazione Comunista, alla sua autonomia programmatica, alla sua indipendenza di classe dalle forza della borghesia liberale.

Attiene in definitiva al futuro di milioni di lavoratori e alla necessità di costruire un’opposizione radicale alle politiche liberiste, già ampiamente sperimentate durante i governi del centrosinistra, di cui il "pacchetto Treu", la Turco-Napolitano in materia d’immigrazione e le finanziarie di “lacrime e sangue” ne sono state l’eloquente traduzione pratica.

La scelta di rinegoziare con l’Ulivo un accordo programmatico che porterebbe il Prc, per la prima volta nella sua storia, ad entrare con propri ministri in un governo borghese, mina profondamente le ragioni stesse della Rifondazione Comunista e la sua funzione di rappresentanza politica e sociale delle masse popolari. D’altronde la nascita del Prc non è stata un fatto artificioso, né tantomeno una simbolica autoproclamazione di forze minoritarie. La necessita di rifondare un partito comunista era ed è iscritta nella condizione di classe di milioni di lavoratori e disoccupati, e nella necessità di costruire quel soggetto politico che faccia coincidere l’emancipazione delle masse popolari con l’alternativa socialista.

Di conseguenza la rifondazione comunista per i suoi compiti e per i suoi obiettivi storici non è paragonabile alla nascita di nessun altro partito: essa nasce dalle viscere delle classi subalterne e a queste lega tutta la sua sorte, porta l’impronta incancellabile della classe da cui è nata e in definitiva la sua origine ne predetermina il suo ruolo e ne guida tutta la sua storia.

L’appello contro l’accordo tra Prc e Ulivo per le prossime elezione del 2006 riflette in sé una questione fondamentale: una scelta così grave, da un versante di classe, non può essere decisa dall’apparato dirigente ma dall’intero corpo del partito con un congresso straordinario, proprio perché il congresso non è appuntamento routinario, né uno strumento esclusivamente organizzativo, ma segna viceversa il momento più significativo della costruzione della linea politica e del programma generale del nostro partito. 

Ma allora perché il gruppo dirigente maggioritario rifiuta categoricamente la richiesta del congresso, che permetterebbe ad ogni iscritto del nostro partito di poter pronunciarsi sulla ipotesi dell’entrata nel 2006 in un governo con l’Ulivo?

Un confronto congressuale richiederebbe un bilancio di verità sulla linea politica perseguita fino ad oggi, costantemente evitato poiché renderebbe chiaro che l’enfatica proclamazione della svolta a sinistra del V congresso, che prevedeva la rottura con il centro liberale e sentenziava il fallimento strategico del centrosinistra, strada facendo in questi mesi ha mutato direzione facendo svoltare decisamente a destra il partito. 

Dopo un anno dal V congresso se tutte le questioni di fondo (prospettiva politica, natura delle categorie analitiche sui conflitti e sulle politiche capitalistiche, rapporti con il movimento), tenevano sott’acqua la ricomposizione negoziale con l’Ulivo, oggi quest’accelerazione è un fatto oggettivo, centrale persino nel dibattito e nello scenario politico. Un’accelerazione del rapporto negoziale che in questi mesi è divenuta irrefrenabile. Ricordiamone le tappe.

Nei primi mesi del 2002 dal definire gli scioperi della CGIL “sciopericchi”, in nome dell’autosufficienza del “movimento dei movimenti” si proclamava Cofferati “l’uomo della possibile vittoria”, malgrado lo stesso dapprima si candidava a leader dell’Ulivo per poi riparare più modestamente con la candidatura a sindaco di Bologna.

Nell’ottobre del 2002 la “sinistra d’alternativa”, tanto decantata al V congresso, diveniva l’artificio retorico per giustificare l’impalcatura politica con cui strutturare i rapporti con la sinistra moderata e le convergenze con il centro liberale della Margherita.

Nel marzo del 2003 erano costituite (e attualmente tenute in vita), le commissioni programmatiche paritetiche con Treu, Mastella, Pecoraro Scanio rispettivamente su Lavoro, Mezzogiorno e Ambiente, proprio nel momento in cui l’ex ministro Treu, a nome dell’Ulivo, asseriva in merito alla riforma Biagi del governo Berlusconi, che nulla cambiava rispetto alla riforma varata dal centrosinistra (appunto col "pacchetto" che porta il suo nome).

Un terreno prezioso su cui sono state costruite le alleanze con l’Ulivo per le amministrative del 2003, che fa ritenere a Bertinotti che “la Margherita è una forza fondamentale nella coalizione”.

Una svolta celebrata pubblicamente da tutti i commenti politici del centrosinistra, i cui leader hanno più volte definito i nuovi rapporti tra il Prc e l’Ulivo come “salto di qualità”, “vero punto di svolta” considerando la desistenza del 1996 superata e reale la possibilità di una convergenza programmatica con l’obiettivo di ministri comunisti in un futuro governo dell’Ulivo.

Un commentario politico del centrosinistra eloquentemente ben esemplificato dal titolo del settimanale Aprile (giugno 2003): “per rifondazione il centrosinistra non è più una gabbia, ben tornato Fausto”.

La costruzione di un rapporto negoziale con l’Ulivo, segnata da contraddizioni laceranti, confligge persino con la logica elementare degli avvenimenti.

Mentre il segretario dei Ds Fassino, al congresso dei giovani imprenditori tenutosi a Riva del Garda, in piena sintonia con D’Amato (presidente di Confindustria) giudicava il referendum sull’estensione dell’art. 18 “dannoso e inutile”, chiedendo esplicitamente “di non partecipare al voto”, all’indomani dell’esito referendario, Bertinotti apprezzava l’apertura fatta da Bassolino confermando “l’importanza dell’interlocuzione dell’Ulivo con il Prc” (Corriere della Sera, 18 giugno 2003), facendo eco alle dichiarazioni del leader della Margherita Rutelli, il quale riteneva che il risultato referendario non avrebbe creato “sostanziali ostacoli nei rapporti politici futuri per le alleanze” (Manifesto, 17 giugno 2003).

E’ poi lo stesso Fassino, uno dei massimi rappresentati del boicottaggio militante del referendum sull’articolo 18, che nel spiegare su un paginone dedicatogli da Liberazione (21 giugno 2003) la quinta essenza della “buona flessibilità”, rilanciava l’intesa politico-programmatica da estendere persino ai movimenti sociali.

Il risultato delle amministrative ha in realtà anestetizzato qualsiasi critica nei confronti di un centrosinistra che ha visto uniti nel medesimo polo del boicottaggio attivo Cofferati, Fassino Rutelli, Prodi, con Berlusconi, il centrodestra e la Confindustria.

La grande rimozione del risultato referendario, che ha segnato un attacco senza precedenti al movimento operaio italiano, si è combinata all’esaltazione dei "laboratori locali" quale trama su cui tessere l’intesa programmatica tra l’Ulivo e Rifondazione: dalle elezioni per il rinnovo dei consigli provinciali di Roma, con il candidato Gasbarra (ex democristiano di ferro) e del Friuli Venezia Giulia con il candidato Illy, imprenditore del caffè legato per rapporti politici e negoziali al leader xenofobo Haider, alla candidatura di Cofferati a sindaco di Bologna, il quale alla festa di Liberazione ha dichiarato che “tutti coloro che hanno partecipato alla costruzione del programma hanno pari dignità. Non ci sono quelli che contano dieci e quelli che contano uno” (L’Unità 7 settembre 2003), alludendo, nel nome del realismo istituzionale, evidentemente alla ripartizione delle poltrone.

Una stretta negoziale con l’Ulivo che in prospettiva apre la strada anche a possibili mutamenti radicali dello stesso Prc.

Non è un caso che Bertinotti nel faccia a faccia con Massimo D’Alema, alla festa di Liberazione a Venezia giudicava un “fatto nuovo” la lista unitaria delle forze dell’Ulivo, nelle prossime elezioni europee e amministrative del 2004 e successivamente in un'intervista giornalistica (Corriere della Sera, 8 settembre 2003) dichiarava che il Prc si faceva promotore della costruzione di un nuovo soggetto politico che si colloca a sinistra dei riformisti, strutturato nelle forme di club o associazione, una sorta di izquierda unida super leggera.

Se questo è lo stato reale dei rapporti tra l’Ulivo e il Prc, l’appello nazionale contro questo accordo e l’indizione di un congresso straordinario diventa assolutamente centrale, sia per la salvaguardia della rifondazione comunista come forza alternativa, sia per dare una risposta dopo il 15 giugno agli 11 milioni di persone che hanno votato per l’estensione dell’art. 18, alle decine di migliaia di militanti del movimento operaio, della CGIL e del movimento antiglobal che hanno chiesto una svolta sociale e politica radicale.

E’ questo dunque il punto fondamentale: dinanzi ad un attacco profondo del governo su lavoro e pensioni, dinanzi alle politiche neocoloniali dall’Afghanistan all’Irak, e all’affondo plebiscitario del governo Berlusconi, accompagnato dall’escalation reazionaria sul piano politico-istituzionale, con l’obiettivo strategico di una repubblica presidenziale alla francese, ogni unità con la borghesia liberale dell’Ulivo significherebbe sancire una sconfitta storica per il movimento operaio italiano.

Non è un caso che le forze politiche dell’Ulivo -sulle politiche fondamentali del sistema produttivo e sociale- hanno di volta in volta praticato un’opposizione bipartizan: votato la spedizione militare in Irak con il correlativo ampliamento delle spese militari, condiviso il Lodo Maccanico (precostituendo un paracadute per le inchieste Telekom Serbia), dato la disponibilità alla eventuale modifica di legge costituzionale e condiviso con la Confindustria le critiche da un versante liberista alle politiche economiche e sociali del governo Berlusconi.

Il centro liberale non può in nome dei lavoratori radicalizzare un’opposizione contro il governo Berlusconi, può esclusivamente denunciare alla borghesia la cattiva gestione delle politiche dominanti e candidarsi al governo delle medesime politiche, utilizzando l’elisir della concertazione e la limitazione preventiva del conflitto sociale.

Solo il movimento operaio e la sua avanguardia politicamente più avanzata può sviluppare contro Berlusconi un’offensiva di massa, radicalizzando uno scontro sociale fino alla cacciata del governo.

Solo l’avvio di una vertenza generale del mondo del lavoro che prenda l’avvio dagli 11 milioni di Sì che hanno votato l’estensione dell’Art. 18, dal movimento di massa che si è costituito in questi mesi contro la guerra, dal movimento antiglobal e dall’opposizione sviluppatasi a difesa della democrazia, può nascere quell’esplosione sociale e radicale capace di spazzar via il governo Berlusconi.

L’appello contro un nuovo accordo tra Prc e Ulivo è dunque il presupposto essenziale per il Partito della Rifondazione Comunista, per il movimento operaio e per tutti i movimenti sociali che fin d’ora si sono sviluppati contro il governo di centrodestra, opposizione che sarà tanto più forte e costituirà le premesse per un’alternativa di governo di stretta rappresentanza del mondo del lavoro, tanto più avverrà la rottura con il centro liberale borghese. 

 

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NOTA

L'appello-petizione a cui si fa riferimento nel testo di questo articolo è stato pubblicato su Progetto Comunista nel numero di luglio-agosto ed è scaricabile (insieme al modulo per la raccolta di firme) sul nostro sito web.