DOVE VA LA SINISTRA ITALIANA?

 

A poche settimane dall’esito delle primarie e dalla loro celebrazione, una combinazione impressionante di fatti politici getta una luce di verità sull’evoluzione politica italiana e interroga più che mai il nostro partito e il suo futuro.

Guardiamo ai fatti.

Romano Prodi, forte dell’investitura plebiscitaria ottenuta, annuncia la fedeltà agli Stati Uniti del prossimo governo dell’Unione, ed anzi la sua maggiore “affidabilità” internazionale rispetto al governo Berlusconi. Piero Fassino promette che il ritiro dall’Irak sarà “concordato con gli USA”. Tutto il Centro dell’Unione (dalla Margherita alla maggioranza DS e non solo) partecipa festante e in prima fila ad una manifestazione reazionaria, a sostegno di Sharon, convocata dalle forze più guerrafondaie di un governo di guerra: e questo mentre Sharon e la superpotenza militare israeliana continuano la propria guerra quotidiana contro il popolo palestinese coi metodi della più spietata brutalità terroristica. Il partito radicale entra nell’Unione col suo carico di posizioni iperliberiste e militariste tra le braccia aperte di tutto il Centro liberale e dello stesso Prodi: che si limita ad assicurare le gerarchie ecclesiastiche circa l’intangibilità del Concordato (“per oggi e per il futuro”). Intanto la giunta regionale del Piemonte, già benedetta dalla FIAT, si fa esecutrice dei programmi di Prodi e dell’Unione Europea in fatto di alta velocità mandando la forza pubblica contro la mobilitazione popolare; e Sergio Cofferati, forse studiando da dirigente del futuro Partito democratico, si fa custode della “legge e dell’ordine” contro i settori sociali più oppressi, col plauso ammirato di tutta la stampa borghese e benpensante…

Non c’è che dire: se le primarie dovevano spostare a sinistra il quadro politico dell’Unione davvero pochi se ne sono accorti. Viceversa, com’era prevedibile, il consolidamento della prospettiva di governo dell’Unione, cui le primarie hanno sicuramente concorso, porta un segno esattamente opposto: quello del rafforzamento del Centro liberale e della sua egemonia nell’Unione e sull’Unione; quello di una manifestazione più aperta e spregiudicata da parte del liberalismo dei suoi veri intenti e programmi. Si può non vederlo?

 

IL CENTRO DELL’UNIONE SI RAFFORZA

Romano Prodi già oggi usa l’investitura popolare ricevuta come leva di concentrazione nelle proprie mani dei poteri di comando nella coalizione: quegli stessi poteri che domani rivendicherà, nella veste di premier, per gestire le politiche di austerità che già oggi preannuncia. Margherita e maggioranza DS usano a loro volta il risultato delle primarie per rilanciare la prospettiva di unificazione del liberalismo italiano attorno a un “Partito democratico”: e al tempo stesso si disputano, nel nome di Prodi, la leadership di quell’eventuale partito, in una dinamica concorrenziale di reciproco scavalco  nell’intercettazione dei favori dei poteri forti. I poteri forti dal canto loro, svanita la suggestione UDC, si raccolgono sempre più attorno al Centro dell’Unione e al suo futuro probabile premier rafforzando ulteriormente per questa via il proprio peso politico nella costituzione materiale del Centrosinistra: i grandi banchieri del Nord in fila per votare Prodi sono l’immagine plastica di questa verità.

Ma come, si obietta: non è forse vero che le primarie hanno registrato una straordinaria partecipazione popolare, domande di svolta e di protagonismo sociale del tutto estranee agli interessi della borghesia italiana e a chi la rappresenta? Verissimo. Ma proprio qui sta il paradosso e il dramma. Milioni di lavoratori e di giovani, nel nome della contrapposizione a Berlusconi, sono stati sospinti, attraverso il canale delle primarie, verso il candidato dei banchieri: cioè verso un avversario delle proprie domande di svolta e protagonismo. Dopo la più grande stagione dei movimenti degli ultimi trent’anni milioni di lavoratori e di giovani hanno finito col votare chi è stato ed è dall’altra parte della barricata rispetto a tutte le istanze di movimento; chi è stato ed è portavoce di quelle classi contro cui i movimenti si sono levati; chi ha rivendicato e rivendica nello stesso programma con cui si è presentato alle primarie, l’ “aumento delle spese per la difesa”, la centralità del risanamento finanziario dei conti pubblici, l’inevitabilità di “terapie shock” per il paese nella prossima legislatura.

Come si fa a non cogliere l’enormità di questo fatto?

 

LE SINISTRE SUCCUBI DEI LIBERALI

Questo fatto interroga a sua volta i gruppi dirigenti della sinistra italiana e del nostro stesso partito. Tutta la sinistra italiana ha rinunciato a un proprio ruolo indipendente e alternativo al liberalismo. Tutta la sinistra italiana ha anzi gareggiato al proprio interno - in uno sgomitamento senza fine – per conquistare lo spazio di interlocutore affidabile e privilegiato di Romano Prodi e del Centro liberale dell’Unione garantendogli preventivamente il proprio sostegno, mani e piedi legati, per tutta la prossima legislatura. Come è sancito nel patto di governo del 20 giugno.

Le stesse primarie non sono forse figlie di questa scelta strategica? Accettare le primarie e prendervi parte ha significato nei fatti una cosa sola: sancire la propria internità strategica definitiva al Centrosinistra e al suo futuro governo, puntando ad incassare parallelamente la rappresentanza egemone della sinistra della coalizione. In cambio Prodi e il Centro dell’Unione hanno ottenuto la desiderata incoronazione di popolo usando la sinistra italiana come sgabello della propria ascesa; usando i movimenti e le lotte di questi anni e il loro lascito antiberlusconiano come fattore passivo e subalterno di un ricambio di governo delle classi dirigenti. La risultante è che il nostro partito ha certo ottenuto e consolidato il ruolo agognato di sinistra del Centrosinistra: ma al prezzo di un’umiliazione quotidiana delle proprie ragioni come l’esperienza di Bologna e del Piemonte documentano drammaticamente. Nel mentre le energie dei movimenti di lotta di questi anni soffocano giorno dopo giorno nella prigione dell’Unione, come dimostra l’assenza clamorosa di un’iniziativa di massa per il ritiro delle truppe e contro la stessa finanziaria di Berlusconi. Oppure sono private, come nell’Università, di una prospettiva di continuità e di uno sbocco.

 

UN’ALTRA PROSPETTIVA E’ POSSIBILE

Così non può continuare. Né ci si può continuare a nutrire di illusioni. Dopo le primarie per il Premier, “Primarie di programma”, da affidare alle Assemblee regionali dell’Unione? Significherebbe spacciare per democrazia di popolo assisi dominate dalla nomenclatura liberale e così fornire legittimazione “democratica” al programma del liberalismo italiano. “Unità delle sinistre” su un programma comune per “spostare a sinistra” l’Unione, come chiede l’Ernesto? Ma il programma dei banchieri e di Montezemolo è inscritto nella natura sociale degli interessi dominanti, ed è documentato dai pronunciamenti quotidiani di Prodi. Cosa si aspetta a prenderne atto? L’ “unità della sinistra” nella gabbia del Centrosinistra sarebbe unicamente la sua capitolazione “unitaria” ai liberali. Pressione dei movimenti sull’Unione, come chiede Erre? Ma proprio l’unione con i liberali confindustriali milita contro l’iniziativa dei movimenti. O qualcuno pensa che il rilancio del conflitto possa convivere con una prospettiva di rilancio della concertazione?

L’intera impostazione va allora capovolta. Non si tratta di spostare a sinistra l’Unione (dall’alto o dal basso) ma di liberare dall’Unione la sinistra. Questa è la sfida vera che dobbiamo promuovere.

Tutte le forze della sinistra italiana, le organizzazioni di massa, le rappresentanze di movimento di questi anni vanno sfidate a rompere con Prodi e ad unire nell’azione le proprie forze attorno a un polo di classe indipendente. Solo questa scelta può liberare una piattaforma di mobilitazione vera che punti a rovesciare Berlusconi dal versante delle ragioni dei lavoratori: sino anche alla prova di forza di uno sciopero generale vero e prolungato. Solo questa scelta può liberare la stessa definizione di un programma anticapitalistico di vera alternativa: che certo non può ridursi ad emendamenti di facciata al programma controriformatore del liberalismo, ma deve mettere in discussione finalmente i rapporti di classe e di proprietà basandosi sulla forza dei lavoratori e dei movimenti contro le compatibilità di sistema.

Certo, è una prospettiva difficile, ma è l’unica alternativa vera. Fuori da questa svolta strategica di fondo tutta la situazione politica continuerà a srotolarsi giorno dopo giorno sul piano inclinato dell’alternanza, sino all’ingresso di tutte le sinistre, con tanto di fanfare, nel governo della settima potenza imperialista del mondo, sotto la guida dell’emblema stesso dell’Europa di Maastricht e della Bolkenstein. A questo sbocco si dovrebbe sacrificare l’esistenza stessa di un’opposizione di classe e comunista in Italia?

 

 MARCO FERRANDO