La
"via crucis" di Rifondazione verso un nuovo governo Prodi
TRA
BANCHIERI E CARDINALI
La
nostra opposizione alla deriva governista, per salvare l'opposizione di classe
di
Francesco Ricci e Fabiana Stefanoni
Un
governismo combattivo
"Non
ce ne andremo dalla giunta se non ci cacceranno". Questa orgogliosa
affermazione della volontà di difendere ostinatamente gli assessorati nella
giunta Cofferati è stata fatta da Franco Giordano, capogruppo dei deputati del
Prc. E' accaduto il giorno dopo le cariche della polizia -chiamata dal sindaco-
contro i manifestanti.
A
dire il vero, non si può escludere che i gruppi dirigenti nazionali e bolognesi
del Prc siano costretti -per togliersi dall'imbarazzo- ad arrivare a una rottura
parziale o mimata con la giunta, come avvio di un rinnovato accordo. Non sarebbe
la prima volta: in Campania si è già seguita questa strada. Ma il punto vero
è un altro ed è lì che sta il significato autentico delle parole di Giordano:
l'attrazione governista è talmente forte che ogni ostacolo che si frappone
sulla strada della sua realizzazione verrà rimosso. Comprese le ruspe di
Cofferati o le cosiddette "ingenuità" di Egidio Masella, assessore
indipendente del Prc nella giunta Loiero in Calabria, che assume la moglie
"per avere intorno collaboratori fidati". Siccome tuttavia queste cose
fanno parte della realtà reale, la rimozione non può che essere
immaginaria, fatta con pensieri, sogni e parole, simile a quella su cui
interviene la psicoanalisi.
Così
la vicenda di Bologna e la necessità di demarcarsi dalle nefandezze di
Cofferati, dalla sua caccia agli immigrati, ai Rom, ai disgraziati che lavano i
vetri agli incroci, viene con le parole ridimensionata a "questione
locale" e Bertinotti si affretta a spiegare che quanto succede a Bologna
non ha nulla a che vedere con quanto succederà nazionalmente: sia nel senso che
la "repressione solidale" cofferatiana -fatta col sostegno di tutto il
centro liberale dell'Unione- non riguarderebbe l'Unione nazionale; sia nel senso
che il Prc è ormai matura forza di governo e le sue critiche alla giunta
(peraltro prive per ora di effetti) non alludono a possibili futuri scenari
nazionali.
Così
pure i fatti calabresi sono giustamente stigmatizzati e si chiedono le
dimissioni dell'assessore Masella ma contemporaneamente la vicenda viene
derubricata a semplice "incidente". Fingendo di ignorare che se il
malcostume lambisce lo stesso Prc è perché l'intera giunta calabrese
dell'Unione naviga nella corruzione. E fingendo soprattutto di ignorare il vero
scandalo, che è ben più grave del "nepotismo" di Masella, che
riguarda le politiche anti-operaie della giunta Loiero, con l'assessore (ora ex)
al Lavoro di Rifondazione che dal giorno dell'insediamento annuncia la volontà
di tutelare in ogni modo… la precarietà del lavoro (anche con l'applicazione
della Legge 30).
Altro
che "casi locali": quando si decide di non fare opposizione ai governi
della borghesia, siano essi nazionali o di grandi o piccolissime città, il
risultato è questo.
Una
realtà immaginaria
Il
paziente lavoro di costruzione di una realtà illusoria, di un mondo parallelo
che viene quotidianamente raccontato ai militanti del partito, su Liberazione
o nelle riunioni, non può tuttavia impedire alla realtà reale di essere
tale, non può evitare il suo sonoro disinteresse per le abili costruzioni
retoriche di Bertinotti.
Nel
mondo immaginario si può ribadire -a pochi mesi dall'ingresso in un governo che
l'appoggio dei banchieri Profumo e Bazoli- che il Prodi bis costituirà
"l'occasione storica della Riforma del Paese, di riforme strutturali",
preludio di una "alternativa" ormai non solo "necessaria ma resa
possibile" dal ruolo di Rifondazione e dalla sua capacità di
"orientare a sinistra il programma dell'Unione". Queste frasi possono
essere scritte nell'ordine del giorno conclusivo del Comitato Politico Nazionale
(del 18 settembre scorso). Ma nel parallelo mondo reale -quello in cui purtroppo
siamo costretti a soggiornare in attesa delle "magnifiche sorti"-
succedono cose diverse.
Succede
che Prodi annunci l'intenzione di mantenere le truppe italiane "in tutte le
situazioni in cui sono impegnate", con l'eccezione dell'Irak dove…
verranno sostituite da "forze per la ricostruzione". Succede che Prodi
parli di "miglioramento" dell'attività legislativa di Berlusconi.
Succede che Prodi dichiari il suo progetto di "umanizzare" i Cpt;
oppure magnifichi la "direttiva Bolkestein". Tutto questo proprio nei
giorni in cui si svolgono manifestazioni per la chiusura dei lager per
immigrati; o quando le vie di Roma si riempiono per una partecipata
manifestazione contro
La
cancellazione dell'opposizione e il ruolo delle aree critiche nel Prc
Il
quadro politico-sociale italiano si conferma -come dimostrano anche queste
recenti mobilitazioni- non pacificato. Lo stesso risultato delle primarie indica
paradossalmente proprio questo.
La
truffa delle primarie, presentate come lo strumento attraverso il quale
"spostare a sinistra l'impianto nel quale si andrà a scrivere il programma
dell'Unione" (1) e confermatesi invece come una legittimazione di Prodi è
un ulteriore segnale -anche se distorto- di una volontà di cambiamento, del
desiderio fortissimo di cacciare Berlusconi e persino di una domanda di
sinistra. Sarebbe sciocco, difatti, negare che la partecipazione al voto è
stata più alta di ogni aspettativa; o negare che i 630 mila voti a Bertinotti
anche se pochi in percentuale non sono pochi in termini assoluti. Il punto non
è -a differenza di quanto hanno fatto le aree critiche del Prc, cioè l'Ernesto
e Erre- parlare di "risultato deludente" del partito, rivendicando
comunque il proprio apporto. Il punto è che le primarie sono state una
sconfitta -a prescindere dai numeri- come abbiamo detto ben prima del risultato
noi che, a differenza di altri, non ci nascondiamo dietro un sostegno alla
campagna dei post-it. Una sconfitta perché la partecipazione alle primarie ha
implicato il riconoscimento della carta dei "principi dell'Unione" (le
ferree regole di Maastricht; i patti militari, Nato inclusa; le guerre dell'Onu,
ecc.) e più in generale l'accettazione di un patto di legislatura già siglato,
con tanto di impegno a sostenere lealmente il prossimo governo dell'imperialismo
italiano, fatta salva la possibilità -così prevede l'accordo dei segretari
dell'Unione, controfirmato in giugno- qualche obiezione di coscienza, qualche
"vibrata protesta", qualche astensione parlamentare. Secondo il
modello che si sta sperimentando a Bologna: "non ce ne andremo dal governo
se non ci cacceranno".
Non
si tratta insomma soltanto di criticare "l'americanizzazione"
introdotta dalle primarie, con il loro strascico di personalizzazione e liderismo
(un male antico anche nel movimento operaio e un malattia di cui il Prc soffre
non da ieri). Il punto è vedere come le mobilitazioni antiberlusconiane, che si
esprimono tanto nelle manifestazioni di piazza quanto in forma distorta nel voto
alle primarie, e nello stesso voto al segretario del Prc, sono espressione
(certamente diversa) di una comune domanda di opposizione alle politiche
anti-operaie. Una domanda che ottiene una risposta di segno rovesciato: la
rimozione dell'opposizione politica a un altro futuro governo liberale e
anti-operaio.
In
questo quadro, riproporre stancamente una "priorità del programma"
(ma programma di chi? di quali forze sociali? del governo di quale classe?) come
fa l'area dell'Ernesto; oppure, come fa Erre, rilanciare la mistica dei
movimenti illudendosi che "al di là delle sponde prescelte" (2) essi
potranno ostacolare le politiche borghesi; significa soltanto ignorare la
necessità di preservare l'opposizione politica al prossimo governo padronale.
In altre parole, i gruppi dirigenti delle due "aree critiche" del
partito, in piena continuità con quanto hanno fatto al recente congresso, si
limitano a "criticare" il corso governista; riproponendo illusioni su
improbabili sostegni esterni al prossimo governo o (è il caso di Erre) un
sostegno "condizionato", da verificare di volta in volta, misura per
misura, una sorta di sostegno "intermittente", affidando poi le lotte
a una loro crescita "oggettiva". Dimenticando che nel frattempo il Prc
verrebbe eliminato nei fatti come potenziale forza di opposizione di classe e
proprio l'assenza di una guida politica priverebbe ogni lotta futura di una
possibile direzione e di uno sbocco. Solo l'incomprensione della posta in gioco,
peraltro, può spiegare la richiesta da parte di Salvatore Cannavò di una
"unità più larga" con la maggioranza bertinottiana "anche in
previsione di un'intensa campagna elettorale." (3).
La
via crucis verso il governo
Le
elezioni si avvicinano e con esse la probabile vittoria dell'Unione e l'ingresso
di una pattuglia di ministri e sottosegretari di Rifondazione nel governo.
Eppure
su nessun giornale borghese (dal quotidiano della Confindustria al Corriere
della Sera) si scorgono timori o perplessità della borghesia e dei suoi
giornalisti per questo fatto "storico" (è da decenni che non giurano
ministri di un partito che si definisce comunista). Gli esiti del recente
congresso del Prc la costruzione di una "nuova identità" imposta al
partito dal gruppo dirigente bertinottiano negli ultimi anni
("non-violenza", abbandono del "Novecento" e dell'idea del
potere dei lavoratori, ecc.) hanno sufficientemente convinto la borghesia
liberale della possibilità di arruolare Rifondazione nel futuro governo,
rimuovendo così una sponda politica di opposizione per i movimenti e le lotte
dei lavoratori, facilitando un processo di "pace sociale", cioè -in
una società divisa in classi- una guerra combattuta solo dalla classe
dominante. L'operazione che abbiamo più volte denunciato su questo giornale
prevede anche il pieno coinvolgimento dei sindacati e della Cgil in un ruolo
collaterale al governo. Il prossimo congresso della Cgil ha appunto la funzione
di garantire la neutralizzazione preventiva di un'opposizione sindacale al
futuro governo dell'Unione: ciò anche tentando di emarginare ogni opposizione a
Epifani all'interno del sindacato. La manovra di assunzione -in ogni senso (con
tanto di garanzie di ruoli e funzionari)- di una parte della sinistra interna
(guidata da Patta) ha questo scopo. Di qui la scelta di Progetto Comunista di
partecipare criticamente
Ma
le prove sulla difficile via del governo borghese non finiscono mai. Così nel
presentare alla stampa il Congresso del Partito della Sinistra Europea (Atene,
fine ottobre) Bertinotti rimarca con soddisfazione il fatto che nei testi
conclusivi "la parola socialismo compare una sola volta" (4). E
siccome l'ingresso al governo in Italia prevede da sempre una autentica
"via crucis" per chi viene da sinistra, il segretario (in parallelo
con Fassino) è costretto a esibire la propria "ricerca di Dio" e a
rivendicare di avere "tanti amici anche tra i cardinali" (5).
Di
fronte a un Prodi (6) che annuncia "la necessità di completare le
liberalizzazioni", la "tutela del principio della mobilità nel mondo
del lavoro" e "l'apertura maggiore al capitalismo privato
nell'istruzione" e "la moderazione salariale" come i cardini del
suo governo, non si può in effetti fare altro che raccomandare l'anima a Dio…
Oppure
-e noi preferiamo questa seconda strada, anche mettendo in conto una possibile
esclusione dei rivoluzionari dal paradiso- costruire l'opposizione di classe a
quel governo di banchieri e cardinali.
(31
ottobre 2005)
Note
(1)
V. l'articolo di Milziade Caprili su Liberazione, 6 ottobre 2005.
(2)
Si veda l'articolo di Salvatore Cannavò su Liberazione, 19 ottobre 2005.
(3)
S. Cannavò su Liberazione, 20 ottobre 2005.
(4)
Bertinotti nell'intervista a
(5)
Bertinotti sempre su
(6)
Intervista di Romano Prodi a