Sussidi e protezionismo : Josè Bovè, in difesa della sua classe contro i poveri del mondo

 

di Franco Grisolia

 

 

L’estate dello scorso anno si è sviluppato, su Il Manifesto, un ampio dibattito, a tratti polemico, aperto da un articolo del prof. Cavallaro, intitolato “Ma Marx non sarebbe stato d’accordo”. In esso si argomentava, del tutto correttamente dal punto di vista storico, che Marx si era sempre dichiarato contrario ad ogni forma di protezionismo e perché il movimento operaio si pronunziasse ed agisse conformemente a questa posizione. Di fronte alla lotta no-global contro il “libero mercato imperante” questo intervento sembrava entrare con il peso di un elefante in un negozio di cristalleria e dava il via, appunto, ad una larga serie di interventi di eminenti docenti e intellettuali della sinistra italiana, alcuni interessanti, altri assai meno, tesi prevalentemente ad argomentare perché, almeno nella attuale situazione storica, si debba di fronte al “libero scambio imperante” adottare una posizione diversa. Non è compito di questa nota analizzare in dettaglio le posizioni lì espresse, quello che invece ci interessa è sottolineare che le premesse di questo dibattito (e delle posizioni teoriche dominanti nel movimento “no-global”) sono del tutto false: nel mondo attuale, infatti, il “libero mercato globale” non esiste ed esso e’ dominato ancora dal protezionismo. Semmai meraviglia che su questo come su altri terreni (si vedano le opere di Toni Negri o di Marco Revelli) eminenti docenti o teorici di grido possano sviluppare ampie analisi… senza alcun riferimento con la vera realtà esistente. In questo ultimo anno alcuni aspetti di essa sono stati posti con più chiarezza all’attenzione della “opinione pubblica”. Così è avvenuto a riguardo della decisione del governo Bush di aumentare i dazi protezionistici sull’acciaio. Questa non è una novità, già prima di questo aumento tali dazi esistevano ed in particolare avevano contribuito, ad esempio, alla distruzione dell’industria siderurgica argentina. In realtà solo negli Stati Uniti sono oltre cinquecento le tipologie di prodotto protette da tali dazi protezionistici. Lo stesso avviene negli altri paesi ricchi del mondo. A ciò si aggiungono i grandi sussidi, dati in particolare all’agricoltura. L’Organizzazione Mondiale per il Commercio serve come camera di regolazione del protezionismo dei vari paesi dominanti (con risultati contraddittori) e come strumento per cercare di imporre (lì sì) il “libero commercio” della produzione dei Paesi ricchi verso quelli poveri del mondo. E’ con questi metodi che si sviluppa su un aspetto centrale quello che è stato definito lo “scambio ineguale” tra Nord e Sud del mondo. E’ questa una delle dimostrazioni del fatto che al di là delle panzane sull’ ”Impero Globale” il mondo resta dominato dalle grandi potenze imperialistiche - tra cui gli USA hanno un ruolo centrale, ma non unico e non unificante- a volte in lotta tra loro, e a scapito della maggioranza dell’umanità che vive in Paesi dominati. E’ questa realtà di protezionismo e sussidi per i Paesi dominanti e “libero mercato” per le loro merci nei Paesi poveri che bisogna abbattere. E in questo le vecchie posizioni antiprotezionistiche di Marx restano metodologicamente valide. Se mai un logico protezionismo può essere uno strumento di difesa dei Paesi poveri contro il predominio dei prodotti dei Paesi dominanti (pur tenendo conto di altri fattori come la realtà della divisione internazionale del lavoro; la produzione delle multinazionali nei Paesi dipendenti, che mettono la forza lavoro e le risorse naturali, mentre i profitti vanno altrove; l'impossibilità di ogni soluzione "nazionale" ai problemi generali). E questa posizione sarebbe del tutto in linea con le posizioni del vecchio Marx, che viveva ad un epoca in cui non esisteva il moderno imperialismo, ma la politica coloniali delle grandi potenze sì (si vedano a questo proposito i suoi scritti sulla guerra contro la Cina da parte delle potenze occidentali per aprire il “Celeste Impero” al libero commercio, in particolare... dell’oppio).

Recentemente a Jhonnesburg è stata sollevata la questione delle enormi sovvenzioni che i Paesi ricchi danno ai propri agricoltori. Queste sovvenzioni e il protezionismo uccidono in particolare l’agricoltura dei Paesi del Sud del mondo. Per questo si è avanzata, in ambienti del movimento antiglobalizzazione dei Paesi dipendenti, la prospettiva dell'abolizione di tali sovvenzioni. Questa posizione non poteva che spingere allo scoperto le contraddizioni di classe che i gruppi dirigenti riformisti del movimento cercano con determinazione di occultare. Così la proposta ha incontrato l'opposizione di uno dei guru del movimento, il leader contadino francese Josè Bovè. Intervistato anche dal Corriere della Sera (28 agosto 2002 ) Bovè si arrampica sugli specchi, ma la difesa delle sovvenzioni è netta. La realtà è che il nostro imprenditore agricolo (con tanto di dipendenti) è il coerente rappresentante dei contadini ricchi del suo Paese. Allora, se si tratta di lottare contro le multinazionali la radicalità è ben accetta; ma non si tocchino i profitti dell'agiata piccola borghesia agraria. Quanto ai poveri del mondo... che si arrangino.

Altro che comune "via campesina". Non c'e rapporto sociale possibile tra i contadini poveri e poverissimi del sud (e in qualche caso anche del nord, si pensi a parti del nostro mezzogiorno) del mondo e i contadini ricchi dei Paesi dominanti, rappresentati da Bovè.

Ecco la dimostrazione di come la discriminante di classe debba diventare un elemento essenziale nel movimento antiliberista. Nei confronti della piccola borghesia rappresentata da Bovè, come a maggior ragione rispetto ai padroni "progressisti" di Porto Alegre e del Rio Grande, che sono "antiglobalizzatori" nella misura esatta in cui i loro governi locali di "sinistra" li foraggiano con finanziamenti a fondo perduto, alla faccia dei lavoratori e dei disoccupati delle favelas. L'alleanza di classe necessaria deve essere quello che unisca il proletariato (compreso quello agricolo, i braccianti senza terra che lavorano sfruttati dai latifondisti, dalle multinazionali agrarie e anche dai piccoli impreditori agricoli), i contadini poveri, le masse giovanili precarizzate dalla crisi capitalistica e dalle politiche "neoliberali". In questa loro battaglia esse possono trovare delle alleanze tattiche con la piccola borghesia di un Josè Bovè, ma mai costruire un'alleanza strategica. Perché il loro scopo coerente non può essere, se si vuole realmente costruire un nuovo mondo possibile, che quello del socialismo su scala internazionale. L'unico sistema sociale che può risolvere con una razionale pianificazione globale dell'economia (che includa anche una progressiva e non forzata socializzazione della produzione agricola) i problemi della miseria e degrado sociale di cui soffre oggi la maggioranza dell'umanità.