Dieci domande su Porto Alegre, il Rio Grande do Sul, e i loro governi “antiglobalizzatori”

 

di Franco Grisolia

 

 

Mentre scriviamo non si è ancora realizzato il ballottaggio per l'elezione del presidente del Brasile. Sembra comunque del tutto probabile l'elezione del leader del Partito dei Lavoratori., Lula.

Grandi illusioni su tale vittoria sono e saranno sviluppate dai dirigenti riformisti e del movimento operaio e di quello antiglobalizzazione. La realtà sarà sicuramente diversa da quella che si aspettano tanti lavoratori e giovani convinti da questi dirigenti e dalla fallace immagine radicale di Lula. Già Lula ha dato piena assicurazione al Fondo Monetario Internazionale, alle potenze imperialiste, alla grande finanza e alle multinazionali. La sua politica ne garantirà gli interessi fondamentali, in alleanza con le forze borghesi del suo Paese, già rappresentate dal suo vice-presidente, dirigente del borghesissimo Partito Liberale.

 I lavoratori, i contadini e le masse povere del Paese non troveranno purtroppo con Lula soddisfazione ai loro bisogni e una via per uscire da miseria, dipendenza, sfruttamento e oppressione. Torneremo su questa esperienza centrale sul nostro giornale. Nel frattempo riteniamo cosa utile, per presentare quello che è già il reale bilancio della gestione del PT, anche dei suoi settori riformisti più a sinistra di Lula, ripresentare qui dieci domande che avanzammo in  un volantino diffuso più di un anno fa sulla realtà di quella che viene spesso presentato come la prima realizzazione di un nuovo mondo possibile: Porto Alegre e il Rio Grande do Sur. C'è appena bisogno di aggiungere che non abbiamo ancora avuto una serie risposta dagli apologeti di quelle esperienze.  

Nel movimento internazionale antiglobalizzazione la città di Porto Alegre e lo stato del Rio Grande do Sul (di cui appunto Porto Alegre è capitale) sono assurti a simbolo di una “alternativa di società” alla “globalizzazione”. I loro governi, di natura analoga – formati cioè dal Partito dei lavoratori (PT) del Brasile e con addirittura al loro interno rappresentanti che si dichiarano, sia pure cautamente e criticamente “trotskisti” – si presentano come un punto di riferimento a partire anche dal famoso “bilancio partecipativo” di Porto Alegre; indicato questo come una nuova modalità di stabilire un rapporto progressivo tra istituzioni rappresentative e masse popolari.

Convinti, con Lenin, che “i fatti hanno la testa dura” vogliamo porre sulla realtà “antiglobalizzante” di Porto Alegre, del Rio Grande do Sul e sulla politica dei loro governi dieci domande.

 

1)       E’ vero che il famoso “bilancio partecipativo” di Porto Alegre concerne solo una minima parte (più o meno il 20 %) del bilancio complessivo dell’ammini­stra­zione metropolitana?

2)       E’ vero che il potere delle strutture “partecipative” su questa fettina del bilancio è in ogni caso consultivo e non decisionale?

3)       E’ vero che il governo “antiglobalizzazione” del Rio Grande do Sul ha  elargito milioni e milioni di dollari di sussidi a fondo perduto (un regalo cioè) in primo luogo ai capitalisti locali, ma offrendoli anche a grandi multinazionali?

4)       E’ vero che l’ex sindaco di Porto Alegre, il “trotskista” Raul Pons, ha ipotizzato una modifica delle norme pensionistiche vigenti con l’introduzione di un fondo a capitalizzazione, ipotesi fallita solo perché la Corte federale brasiliana l’ha ritenuta incompatibile con le vigenti norme nazionali?

5)       E’ vero che il governo del Rio Grande do Sul si è contrapposto alla lotta degli insegnanti dello stato per l’adeguamento dei loro salari all’inflazione e che in tale opposizione ha utilizzato contro gli insegnanti anche la polizia militare (equivalente brasiliano dei carabinieri dipendente dal governo dei singoli stati)?

6)       E’ vero che tale utilizzo della polizia militare si è realizzato anche contro dei “Sem terra” che occupavano un municipio?

7)       E’ vero che sia a Porto Alegre che del Rio Grande do Sul si è proceduto a una riduzione dei posti di lavoro nel pubblico impiego?

8)       E’ vero che a Porto Alegre dopo dodici anni di governo “antiglobalizzante” la maggior parte dei servizi sono privatizzati e tra essi i trasporti locali che hanno costi elevatissimi per i livelli salariali brasiliani?

9)       E’ vero che nelle “antiglobalizzate” Porto Alegre e Rio Grande do Sul  i profitti sono aumentati più ampiamente che nel resto del Brasile?

10)    Ed è vero che nel contempo è aumentato, nella città e nello Stato, il livello della disoccupazione di massa (17% a Porto Alegre)?

 

La risposta a tutte queste domande è purtroppo: “Sì”.

Questo spiega perché la Banca Mondiale – non quella “riformata” ma quella attuale – ha dichiarato in un suo documento che il sistema del “bilancio partecipativo” di Porto Alegre è uno “strumento efficace di gestione pubblica”.

Da sempre i rivoluzionari nel movimento operaio e antimperialista si sono scontrati con i riformisti che con le loro ricette “progressiste” tentavano di bloccare lo sviluppo della lotta di classe nell’ambito della società e dello stato capitalistico. Gli “antiglobalizzatori” di Porto Alegre, anche quando si travestono sul piano ideologico da “marxisti rivoluzionari”, non sono che dei riformisti moderni. Semmai si può aggiungere che, come si vede da quanto sopra, il loro riformismo non produce nemmeno quei parziali elementi di conquiste minime che all’origine, un secolo fa, i riformisti di allora riuscivano a volte a garantire al proletariato. Oggi i neoriformisti offrono solo “immagine” al pari di quella società che a parole così nettamente condannano.

La mitologia su Porto Alegre e il Rio Grande do Sul ha una specifica funzione negativa. Essa serve per convincere i movimenti che si sviluppano contro il dominio del capitale finanziario che “un altro mondo è possibile” senza porre in questione il sistema del profitto e il suo potere statuale. Anche dalla realtà sfrondata dai miti di Porto Alegre e del Rio Grande do Sul si riconferma quella che è la reale soluzione:

Un altro mondo è certamente possibile e necessario ma si chiama socialismo internazionale e può nascere solo sulla base della distruzione rivoluzionaria della società borghese e delle sue strutture di dominio e con la costruzione del potere del proletariato e degli oppressi.