La convergenza tra Margherita e maggioranza Ds

 

Il partito unico dei liberali

 

di Marco Ferrando

 

L'unificazione progressiva tra Margherita e maggioranza Ds è seriamente avviata.

Non è un processo irreversibile. Il suo sbocco non è predeterminato. In particolare permangono contraddizioni irrisolte tra i due soggetti contraenti (e al loro interno) in ordine all'egemonia politica sul processo di unificazione: nella Margherita si manifesta la resistenza di un vasto settore ex democristiano che teme la propria definitiva liquidazione politica; nei Ds si esprime la contrarietà di larga parte della minoranza interna e la netta opposizione della componente Salvi.

Inoltre il varo della lista unica per le europee -autentico battesimo per la nuova prospettiva- è esposto alle incognite della legge elettorale (e al risultato delle urne).

Tuttavia nessuna di queste contraddizioni -né il loro insieme- è oggi in grado di bloccare l'innesco dell'operazione, guidata dall'area Prodi e dalla componente dalemiana dei Ds. Qual è il suo fine politico? La ricomposizione del partito centrale della borghesia italiana, di un baricentro politico e istituzionale della seconda Repubblica. Un obiettivo che travalica di gran lunga la semplice dimensione elettorale dell'impresa, e invece si inscrive nella dinamica di fondo dello scenario nazionale.

 

Il fallimento di Forza Italia

L'esperienza del secondo governo Berlusconi, ben al di là delle sue contraddizioni contingenti, ha rivelato una volta di più un aspetto essenziale dello scenario italiano: l'assenza di una rappresentanza politica centrale della borghesia, del grande capitale e della grande finanza. Per una fase Forza Italia era sembrata candidarsi a rimpiazzare il ruolo storico della Dc, vecchio architrave della prima repubblica: aveva irrobustito le proprie radici sociali, esteso la propria presenza territoriale, moltiplicato le proprie relazioni istituzionali, consolidato la propria collocazione europea; il tutto nell'intento di superare i limiti delle proprie origini e di garantire al capitalismo italiano la rappresentanza del suo interesse generale. Ma questa suggestione è fallita. La crisi virtuale del secondo governo Berlusconi -lo sfaldamento del suo blocco sociale, la precipitazione delle sue contraddizioni interne, la moltiplicazione dei suoi scontri istituzionali ha trascinato con sé la crisi del progetto di Forza Italia. Il verdetto è inequivoco: Forza Italia è strutturalmente inseparabile da Silvio Berlusconi. Non solo dal punto di vista elettorale e d'immagine ma dal punto di vista della propria base politica e materiale. La centralità della vicenda Previti e dei guai giudiziari del presidente del consiglio, l'irrisolto conflitto d'interessi con la proprietà Fininvest, lo stesso rapporto "privato" di casa Arcore tra Berlusconi e Bossi come baricentro della vita politica ed istituzionale, hanno riproposto in termini definitivi il carattere di fondo del berlusconismo: il suo particolarismo di clan, la sua natura piccolo-borghese da parvenu, lo spirito avventuriero e piratesco, pericoloso e comico al tempo stesso, della sua impresa politica. La domanda è d'obbligo: può la settima potenza imperialistica del mondo affidare il proprio interesse generale e la propria stabilità di rappresentanza alla corte di Previti, Bondi e Schifani? No. La grande borghesia naturalmente ha usato e usa Berlusconi. Ma non si affida a Berlusconi. E il distacco progressivo dal governo persino dei poteri che lo avevano inizialmente sponsorizzato (Confindustria, Confcommercio, Bankitalia) è più che mai la misura di questa verità.

 

La concorrenza del centro cattolico

A sua volta il fallimento del berlusconismo e di Forza Italia è alla base dei sommovimenti politici che si producono nell'intero scenario nazionale.

L'operazione neocentrista, a guida Fini-Casini, mira esattamente a capitalizzare la crisi strategica di Forza Italia per ricomporre attorno a un altro asse la rappresentanza politica del centro borghese. La gestazione di questa operazione è in pieno corso. Col sostegno della Compagnia delle Opere, la benedizione di larga parte delle gerarchie cattoliche, l'attenzione di ambienti finanziari (Fazio) ed industriali. E' il progetto di un centro cattolico con base di massa, di una rifondazione in buona sostanza della Dc. E tuttavia questo progetto -assolutamente serio- nel mentre concorre ad aggravare la crisi del berlusconismo sconta difficoltà rilevanti di traduzione politica. In primo luogo non può dispiegarsi compiutamente prima delle prossime elezioni politiche e quindi di una sconfitta di Forza Italia: ciò che però produrrebbe un ricambio di governo di centrosinistra, dando al centro dell'Ulivo un vantaggio competitivo difficilmente colmabile nella conquista dei poteri forti. In secondo luogo può affermarsi realisticamente solo attraverso una assimilazione di larga parte di Forza Italia entro un soggetto politico unificato: ma ciò comporta effetti destabilizzanti sugli interi equilibri di centrodestra, a beneficio immediato dell'Ulivo.

 

La base borghese del patto Prodi-D'Alema

Il progetto prodiano-dalemiano di partito unico del centro ulivista gioca qui la sua carta strategica: sfrutta sia la crisi di Forza Italia sia l'impasse del centro cattolico.

La base materiale e politica dell'operazione è di tutto rispetto. Le due forze costituenti del nuovo soggetto sono le componenti del centro ulivista più radicate nella borghesia italiana. Prodi conta da sempre sul sostegno delle grandi banche del Nord, a partire da Banca Intesa e Unicredito. D'Alema e la sua Fondazione godono di ampie sponsorizzazioni sia in ambienti bancari (Monte dei Paschi e San Paolo) sia in settori industriali, in particolare di grande impresa.

L'alleanza Prodi-D'Alema è la messa in comune di questo insediamento sociale ai fini di un suo investimento politico congiunto.

A sua volta questo progetto mira ad espandere la propria base di rappresentanza nella borghesia intercettando quei poteri forti che si discostano da Berlusconi. Il sostegno di Prodi alla candidatura emergente di Montezemolo in Confindustria mira a recuperare un controllo delle grandi imprese sull'organizzazione padronale, sfruttando la crisi di credibilità di una gestione D'Amato troppo espostasi nell'appoggio politico a Berlusconi.

Così il sostegno a Fazio mira a capitalizzare il suo conflitto istituzionale con Tremonti e a riattivare un canale di dialogo non sempre lineare con Bankitalia. Infine, a un altro livello, la proiezione di Banca Intesa verso la Compagnia delle Opere, con un lauto affare di 30 miliardi di Euro, ha anche la finalità politica di irrobustire la sponda cattolica dell'operazione ulivista, indebolendo la concorrenza Fini-Udc.

Il fine d'insieme è quello di raggruppare dietro le proprie insegne tutti i settori decisivi delle classi dominanti. Col sostegno di una grande stampa borghese che -a partire dal Corriere della Sera- accentua giorno dopo giorno la propria critica al governo e promuove l'esigenza di un ricambio.

 

Lo spazio politico dell'unificazione liberale

Questa prospettiva di unificazione liberale dispone inoltre di una base politica più favorevole che in passato. Per due anni il fenomeno del cofferatismo e la profonda divaricazione che esso aveva introdotto nel centrosinistra e in particolare nei Ds aveva profondamente ridotto lo spazio di manovra dei gruppi dirigenti liberali del centrosinistra. Così come, su un altro versante, aveva occupato lo spazio negoziale di Bertinotti verso il centro dell'Ulivo. Il crollo di Cofferati ha perciò stesso liberato uno spazio politico inedito. Il "pericolo" di una "scissione" socialdemocratica di una qualche consistenza è ormai svanito in casa Ds: ciò che consente a D'Alema e Fassino una ripresa più lineare della propria prospettiva liberale, con l'obiettivo di completare l'intero percorso della Bolognina. Parallelamente Prodi e i prodiani non debbono più ricorrere ad una interlocuzione privilegiata con Cofferati per aggirare la maggioranza dirigente dei Ds (manovra rivelatasi infruttuosa e conflittuale): possono procedere più direttamente all'incontro strategico col dalemismo attraverso un patto (da verificare) di "disarmo bilaterale".

In questo senso è possibile dire che l'unificazione del centro liberale riflette un obiettivo rafforzamento del liberalismo borghese all'interno dell'Ulivo rispetto alle tendenze socialdemocratiche della coalizione.

 

La volontà di subordinare il movimento operaio e tutti i movimenti

Questo disegno di alternanza di governo e di centralità politica del liberalismo richiede, per affermarsi, una condizione decisiva: la subordinazione del movimento operaio e dei movimenti di massa.

Il centro liberale non è "maggioranza" nel Paese. Ma soprattutto non può guadagnare quella stabilità di governo nella pace sociale che il padronato gli chiede senza integrare profondamente nella propria operazione le rappresentanze politiche e sindacali della classi subalterne. Da qui la pressione sulla Cgil per una sua piena "risindacalizzazione" entro un recupero unitario con la Cisl. Da qui la proposta politica al Prc di una sua piena integrazione governativa sulla base di un patto organico di legislatura: in cambio della promessa di rispettare la sua presenza istituzionale e il suo spazio politico. La verità è semplice: il centro liberale non vuole un'opposizione di classe al proprio futuro governo. E fa della cancellazione dell'opposizione, della sua integrazione di governo, la merce preziosa della propria offerta politica alla borghesia. Cosa c'è di più appetibile per il capitale e le sue politiche antioperaie del ritorno alla concertazione e alla pace sociale? E quale migliore sanzione della pace sociale che la cancellazione dell'opposizione comunista?

La valenza generale della battaglia politica di Progetto Comunista

Sta qui, ancora una volta, il senso generale della battaglia di Progetto comunista. La battaglia per l'autonomia di classe del Prc, per la difesa dell'opposizione comunista, non è una battaglia "ideologica" e "astratta", né riguarda solo i comunisti. E' invece parte integrante della battaglia più generale per l'autonomia dei lavoratori e di tutti i movimenti di lotta dalle classi dominanti e dal loro disegno perché senza questa autonomia le lotte più grandi e generose saranno usate ancora una volta come sgabello di alternanze liberali indirizzate contro i lavoratori e le loro lotte.

A trent'anni dal compromesso storico è bene ricordarlo. Per evitare che una tragedia possa ripetersi... in farsa. Magari sotto le bandiere della "Rifondazione".

 

 

12 novembre 2003