Marxismo rivoluzionario n. 2 - speciale
Bilancio
storico e politico dell'esperienza di Allende e del governo di Unidad Popular
CILE,
11 SETTEMBRE 1973. LA TRAGEDIA DEL RIFORMISMO
di Tiziano
Bagarolo
1.
L' "altro" 11 settembre
Trent’anni
fa in Cile, l’11 settembre del 1973, un colpo di Stato militare di inaudita
violenza, ispirato e preparato con la collaborazione della Cia, rovesciava il
presidente eletto Salvador Allende e il legittimo governo dell’Unidad Popular
e istaurava una dittatura feroce e totalitaria.
Il golpe cominciò all’alba nella città portuale di
Valparaiso. Si mosse per prima la Marina, secondo i piani prestabiliti,
occupando il porto e la città. Informato di questi sviluppi, Allende si
precipitò alla Moneda, il palazzo presidenziale nel centro di Santiago. Si
rivolse attraverso la radio ai cileni e in particolare ai lavoratori per
invitarli alla vigilanza e alla fermezza. Eppure mostrava ancora di prestar fede
alle rassicurazioni appena ricevute da Pinochet che negava il coinvolgimento
dell’Esercito nella sedizione. Solo alle 9 meno un quarto, quanto ormai anche
la Moneda era circondata dai carri armati dell’Esercito e la Forza aerea si
apprestava a bombardare il palazzo, Allende si arrese all’evidenza. A questo
punto, con coraggio e dignità, dopo aver rifiutato la proposta dei golpisti di
un salvacondotto per lasciare il paese, il compañero Presidente, armi
alla mano, si apprestò a resistere e a morire, per dare una lezione morale ai
generali “codardi, felloni e traditori”.
Se la sorte di Allende si compì in poche ore – e non è
molto importante stabilire se si suicidò per non cadere nelle mani dei militari
o fu da questi “suicidato” –, annientare l’avanguardia di quella classe
operaia che aveva osato troppo, per spezzare la volontà di resistenza delle
masse, richiese invece molto più tempo e una barbarie confrontabile a quella
del regime nazista o di quello franchista negli anni trenta del secolo scorso.
Al riparo di uno stato d’assedio durato quasi cinque anni, in Cile furono
uccisi, imprigionati, torturati, fatti scomparire, licenziati, esiliati (e
perseguitati anche all’estero dalla famigerata polizia segreta del regime)
migliaia e migliaia di quadri e attivisti della sinistra e delle organizzazioni
popolari. Si aprirono in Cile 160 campi di concentramento e i primi furono gli
stadi.
Putroppo i “gorilla” di Santiago e i loro mandanti
raggiunsero i loro obiettivi. Il movimento operaio cileno fu rimandato indietro
di decenni. Ciò consentì un radicale esperimento “neoliberista” che
avrebbe cambiato in profondità il paese e sarebbe diventando un “modello”
ben oltre l’America latina. Ancora oggi, a tredici anni dalla fine del regime
militare, la cosiddetta “democrazia” cilena è posta sotto la tutela dei
militari al punto che non è ancora possibile perseguire e punire i crimini
della dittatura.
Eppure il governo di Allende era tutto fuorché un governo
rivoluzionario. Si era insediato attraverso regolari elezioni e il voto del
parlamento. Agiva nel pieno rispetto della costituzione. Cercava costantemente
accordi con l’opposizione borghese e in particolare con la Democrazia
cristiana. Le principali riforme che stava attuando erano la riforma agraria che
era stata deliberata dal precedente governo democristiano e la nazionalizzazione
delle miniere del rame in mano alle multinazionali nordamericane che era stata
votata dal parlamento all’unanimità! Addirittura, per ulteriore garanzia,
Allende aveva fatto entrare nel governo i massimi rappresentanti delle Forze
armate alle quali non aveva lesinato autonomia e privilegi.
Il governo della Unidad Popular era insomma un governo di
collaborazione di classe, non si proponeva di costruire il socialismo espropriando
la borghesia e togliendole il potere statale, ma soltanto di modernizzare le
strutture economiche e sociali del paese e di migliorare le condizioni di vita
dei lavoratori e delle masse popolari che erano ancora quelle tipiche di un
paese arretrato e dipendente del terzo mondo. Il modello politico che l’Unidad
Popular cercava di applicare era il “fronte popolare”, ossia un’alleanza
delle forze operaie con settori pretesi “avanzati” della classe dominante
allo scopo di realizzare un programma di riforme democratiche, non di realizzare
il socialismo.
Perché allora un tale esito? Perché una repressione così
spietata e una dittatura così prolungata? Che cosa è accaduto perché un
movimento operaio in grado di conquistare il governo del paese subisse una così
improvvisa e tragica disfatta?
Rispondere a queste domande significa ricostruire e fare il
bilancio di un’esperienza storica di grande significato, e non solo per il
movimento operaio cileno o latinoamericano. In Italia, come è noto, la tragedia
cilena fornì lo spunto all’allora segretario del Pci per teorizzare il
“compromesso storico”, ossia la ricerca di accordo organico con il
principale partito della classe dominante (1). Cercheremo di rispondere a questi
interrogativi nelle pagine che seguono, ricostruendo l’origine, gli sviluppi e
lo sbocco finale della crisi rivoluzionaria vissuta dal Cile tra la fine degli
anni sessanta e l’inizio degli anni settanta del secolo scorso. E cercando,
dopo la ricostruzione storica, di fare il bilancio politico e storico della
vicenda di Allende e dell’Unidad Popular.
2. Una crisi che matura da un decennio
L’esperienza
dell’Unidad Popular si sviluppa sulla sfondo di eventi sia interni sia
internazionali di grande portata. La vittoria di Allende alle presidenziali il 4
settembre del 1970 è lo sbocco di una parabola di ascesa delle lotte e della
combattività della classe operaia e degli altri settori sfruttati e oppressi
della società cilena che data da almeno un decennio. Questa ascesa, a sua
volta, ha come sfondo una situazione internazionale che vede ovunque rimessi in
discussione gli equilibri precedenti. Il 1968 è l’anno del Maggio francese,
del Tet vietnamita, della “primavera” praghese; il 1969 è quello
dell’autunno caldo italiano, del “Cordobazo” argentino e di grandi lotte
operaie in Uruguay; il 1971 è l’anno dell’asamblea popular in
Bolivia. Più in generale non va dimenticato che gli anni sessanta sono segnati
in America latina dall’influenza della rivoluzione cubana.
In Cile il decennio si chiude con la crisi dell’ambizioso
tentativo riformista borghese rappresentato dal governo del presidente
democristiano Eduardo Frei, nato sull’onda della kennediana “Alleanza per il
progresso” (2). Ed è proprio da questo fallimento del riformismo borghese che
occorre prendere le mosse per comprende il successo di Allende e la crisi
rivoluzionaria che si sviluppa in Cile all’inizio degli anni settanta.
Il
riformismo borghese della DC e la sua crisi
La DC cilena era nata a metà degli anni cinquanta guardando
ai modelli delle DC europee al governo in Italia e in Germania e ispirandosi
ideologicamente alla dottrina sociale della chiesa. Tra la fine degli anni
cinquanta e l’inizio degli anni sessanta essa si afferma del panorama politico
cileno come una forza ad un tempo riformista e moderata, che si contrappone sia
al liberalismo borghese sia al socialismo del movimento operaio, che si dichiara
apertamente per la collaborazione di classe in opposizione alla lotta di classe
“marxista” e si rivolge non solo ai ceti medi e agli intellettuali ma anche
alla base sociale della sinistra, cioè alle masse operaie e ai contadini. Al di
là dell’ideologia, la DC si presenta soprattutto come una carta di ricambio
per la classe dominante, in sintonia con le promesse dell’“Alleanza per il
progresso”, nel momento in cui si delinea l’ascesa delle lotte sociali, la
crisi dei vecchi equilibri e l’usura dei tradizionali strumenti di dominio.
Le elezioni presidenziali del 1958, che hanno visto prevalere
il candidato conservatore Jorge Alessandri per pochi punti percentuali sul
candidato delle sinistre Salvador Allende, convince Washigton a puntare a fondo
sulla carta democristiana. Così, nel 1964, ad Allende si contrappone il
democristiano Eduardo Frei come unico candidato di un fronte borghese che
comprende, oltre alla DC, i tradizionali partiti liberale e conservatore. Frei
si presenta con lo slogan “Revolución en Libertad” e un programma
riformista: riforma agraria, “cilenizzazione” del rame, investimenti per
sostenere il mercato interno e le esportazioni, modernizzazione delle strutture
statali, ecc. Frei conquista la maggioranza assoluta con il 56% dei voti, ma
Allende e il fronte delle sinistre (Frap, Frente de Acción Popular)
arrivano al 39% (il 5% va a un terzo candidato, il radicale Duran) (3).
Con l’appoggio di Washington, che autorizza prestiti al
Cile per varie decine di milioni di dollari (4), Frei attua buona parte del suo
progetto. Punto saliente è la nazionalizzazione delle risorse minerarie del
paese, ovviamente con congrui indennizzi per le società straniere espropriate.
La principale ricchezza del Cile è il rame. Frei intende acquisire subito il
51% del settore, che è quasi per intero in mano alle multinazionali
statunitensi Anaconda Copper Mining e Kennecott Copper Co., e in un secondo
momento di riscattare il restante 49% (5).
Con la riforma agraria, rivendicazione storica in Cile, Frei
si propone due obiettivi: uno sociale, disinnescare una fonte di conflitto
sociale creando una classe di contadini proprietari socialmente conservatori; e
uno economico-produttivo, modernizzare il settore agricolo, estendendo
l’utilizzo del suolo, aumentando la produttività, per ampliare il mercato
interno quale base per lo sviluppo dell’industria nazionale (6). Nel 1965 il
latifondo occupa in Cile quasi i tre quarti della superfice, con milioni di
ettari di terreni lasciati incolti (7). La riforma fissa alle proprietà un
tetto di 80 ettari di terra di buona qualità o una superfice equivalente (che
nel caso di terreni cattivi, ad esempio di montagna, significa che la superficie
può quintuplicarsi). Il resto deve essere redistribuito.
L’attuazione della riforma agraria provoca a Frei problemi
crescenti. L’annuncio ha suscitato grandi aspettative fra i piccoli
proprietari e i contadini senza terra, che si tramutano però rapidamente in
scontento per la lentezza con cui la riforma procede (8). Nel contempo essa è
violentemente contrastata dall’oligarchia latifondista, appoggiata dal neonato
Partido Nacional (nato dalla fusione dei partiti conservatore e liberale), che
non esita neppure di fronte all’assassinio dei funzionari statali incaricati
della riforma. Insomma, più che riuscire a soddisfare i bisogni, le riforme di
Frei hanno l’effetto di creare e legittimare le aspettative dei settori
sfruttati e di stimolare lo sviluppo dei movimenti, mostrando così
indirettamente che i bisogni e la volontà delle masse vanno oltre le
compatibilità del riformismo borghese.
L’ascesa
delle masse
Tra il 1965 e il 1969 si verifica un crescendo di scioperi
contadini e di occupazioni di terre e si sviluppa il processo di
sindacalizzazione (9); si rafforzano inoltre i legami fra i braccianti agricoli
e gli operai industriali e si realizzano anche episodi di autodifesa delle
lotte. A partire dal 1966 si rianima anche il proletariato urbano e delle
miniere e si mobilitano i lavoratori del settore pubblico. Si succedono episodi
di lotte prolungate e di occupazioni di fabbriche a cui il governo dà una dura
risposta repressiva (10). Si sviluppano le lotte dei pobladores (abitanti
dei quartieri poveri), in particolare dei senza casa, con una crescente
partecipazione delle donne e la nascita di organizzazioni di base.
Malgrado i tentativi di divisione sindacale e la dura
repressione (11), l’ascesa delle masse non si interrompe e coinvolge sempre
nuovi settori. Il progetto di riforma universitaria provoca la nascita di un
vivace movimento studentesco (12).
Nel contempo, a partire dal 1967, si deteriora il quadro
economico, anche per la caduta del prezzo mondiale del rame, la principale voce
delle esportazioni cilene. Nel 1969-70 l’inflazione sfiora il 30% e la
disoccupazione tocca il 7% a Santiago e supera il 10% nel resto del paese. Gli
investimenti esteri e la presenza straniera (in particolare statunitense)
continuano comunque a crescere; in particolare in settori industriali dinamici
come l’automobile, la mettallurgia, il petrolio, l’elettrico e la cellulosa,
sostanzialmente controllati dal capitale estero. La crisi sfocia in una
recessione che vede inutilizzato il 30% degli impianti. Cresce inoltre in modo
esponenziale il debito estero: da meno di 1,9 miliardi di dollari nel 1964 a
quasi 3,9 miliardi di dollari nel 1970.
I settori della destra cilena, che pure avevano inizialmente
sostenuto Frei, cominciano a voltargli le spalle e a invocare un’alternativa
conservatrice dai toni sempre più oltranzisti. Si distingue a questo proposito
il principale quotidiano borghese, “El Mercurio”. Non mancano voci che
cominciano a chiedere l’intervento dei militari (lo stesso Frei, per altro, ha
legittimato il coinvolgimento in politica delle Forze armate istituendo il
Consiglio superiore di sicurezza nazionale, composto dal ministro della difesa e
dai vertici delle Forze armate). La destra accusa Frei sempre più rumorosamente
di “aprire la strada al comunismo” (13).
Cade in questo clima, nell’ottobre del 1969, il fallito
pronunciamento militare del generale Roberto Viaux e del Regimiento Tacna di
Santiago, non distante dalla Moneda. Frei fa apello al popolo, la Centrale unica
dei lavoratori (Cut) dichiara lo sciopero generaale. Gli ammutinati di Tacna
cedono senza combattere; le loro richieste economiche, comunque, sono accolte;
il generale Viaux è semplicemente collocato a riposo. Viene nominato nuovo
comandante in capo dell’Esercito il generale René Schneider.
Questi sviluppi hanno un riflesso anche a livello elettorale.
La DC, che aveva conquistato il 42,5% nelle elezioni legislative del 1965,
scende in quelle del 1969 al 31,1%; mentre si verifica un’avanzata dei partiti
di sinistra e un successo a destra del Partido Nacional. In seno alla DC si
delineno differenziazioni crescenti; mentre un settore moderato, preoccupato per
la stabilità e l’ordine, guarda a destra, settori riformisti più legati alla
base operaia e contadina, insoddisfatti delle incertezze di Frei, propugnano un
approfondimento delle riforme. Uno di questi settori rompe nel 1969 con il
partito e fonda il Mapu (Movimiento de Acción Popular Unitario) che si
dichiara marxista e anticapitalista e si orienta verso l’Unidad Popular.
La polarizzazione politica tocca anche il Partido radicale,
storica formazione borghese progressista: mentre un settore si unisce alla
destra, un altro rompe a sinistra formando Democracia Radical.
Avvicinandosi le presidenziali del settembre 1970, il
bilancio del riformismo democristiano non può essere più disastroso. Da un
lato la DC si avvia alla sconfitta, dall’altro i conflitti sociali e politici
si vanno radicalizzando: le masse operaie e contadine, i pobladores, tutti gli
strati sfruttati della società cilena vogliono di più e subito, mentre le
classi dominanti, sempre più divise, stanno perdendo il controllo della
situazione e si ritirano spaventate dai propri stessi propositi riformisti.
Settori crescenti, anzi, guardano alla destra e ai militari come agli unici
strumenti utilizzabili per una rapida restaurazione dell’ordine e dei propri
privilegi.
Anche a Washington l’allarme per la situazione politica cilena è massimo e ci si prepara ai peggiori scenari (14). In estrema sintesi: si va delineando una crisi profonda della società e dello Stato che preannuncia sviluppi rivoluzionari.
Il risultato elettorale del 4 settembre 1970 è un riflesso di questa crisi e a sua volta contribuisce ad accelerarla e ad approfondirla.
3.
Il progetto di Allende e dell'Unidad Popular
Il
movimento operaio cileno ha una lunga tradizione di lotte e di organizzazione
che risale alla fine dell’Ottocento. Qualche informazione essenziale a questo
proposito. Nei primi anni del XX secolo diversi episodi di sangue segnano
l’apprendistato del movimento operaio. Nel 1909 si forma la prima centrale
sindacale, la Federacion Obrera de Chile, diretta da Luis Emilio
Recabarren, il primo operaio eletto al parlamento (nel 1906). Sotto il suo
impulso nel 1913 viene fondato il primo partito operaio della storia cilena, Partido
Obrero Socialista. Nel 1919, sull’esempio della rivoluzione russa, si
realizza per qualche tempo un’esperienza di poder popular nella città
portuale di Puerto Natales. Nel 1922 viene fondato il Partito comunista che ha
in Recabarren il dirigente più rappresentativo.
Nel 1933 sorge anche il Partito socialista, che conserverà
una particolare fisionomia di sinistra e la presenza di tendenze diverse, anche
“rivoluzionarie” (più propriamente definibili “centriste” da un punto
di vista marxista rivoluzionario), tanto è vero che ancora nel 1969 il
congresso del partito vota una mozione che rivendica la conquista del potere per
“via insurrezionale”.
Nel 1933 si forma Izquierda Comunista, che si collega
all’Opposizione di sinistra internazinale trotskista, e da cui sorge più
tardi il Partido Obrero Revolucionario (Por), che ha nel dirigente
sindacale Humberto Valenzuela il suo esponente più noto. Nel 1965, nel clima
creato dalla rivoluzione cubana, il Por partecipa alla formazione del Movimiento
de Izquierda Revolucionaria (Mir). Il Mir è il frutto di un processo di
ragruppamento di tendenze classiste e rivoluzionarie di diverso orientamento (guevarista,
trotskista, maoista). Diventa in pochi anni una delle organizzazioni
rivoluzionarie più importanti dell’America latina, forte di più di due mila
militanti, con un’importante influenza in settori studenteschi e popolari e
una presenza operaia non marginale. E’ però segnato da gravi limiti politici
e strategici; in estrema sintesi: da una linea guerriglierista che lo porta ad
azioni sostitutiste e all’incomprensione e all’isolamento rispetto al
movimento reale delle masse, proprio nel momento cruciale della vittoria
elettorale dell’Unidad Popular (15).
Nel 1953 è sorta anche la Central Unica de Trabajadores
de Chile (Cut), la centrale sindacale operaia che alla fine degli anni
sessanta organizza la maggioranza relativa del proletariato industriale.
Tuttavia, a dispetto della forte vocazione classista che si
esprime sul terreno organizzativo, i partiti maggioritari (comunista e
socialista) si caratterizzano sostanzialmente per una linea riformista che si è
già tradotta in diversi momenti precedenti (segnatamente nel 1938 e nel 1947)
nel sostegno e/o nella partecipazione dei partiti operai ad alleanze e governi
di “fronte popolare” guidati dal Partito radicale. Anche la realizzazione
del Frente de Acción Popular (Frap) nel 1957, coalizione elettorale fra
il Partito comunista e quello socialista, rientra in uno schema politico di tipo
democratico-fronte populista. In questo senso, la costituzione nel 1969 della
coalizione di Unidad Popular, pur con la rilevante novità dell’egemonia dei
partiti operai, si inserisce nella continuità di una consolidata tradizione
riformista del movimento operaio cileno.
Il
programma dell’Unidad Popular
La proposta di una allenza politico-elettorale ampia, che
superi a destra i confini della coalizione esistente (il Frap), viene avanzata
dal Partito comunista che, in coerenza con la propria ispirazione stalinista e
in una chiara logica di “rivoluzione a tappe”, vuole realizzare un’alleanza
fra la classe operaia e i settori “avanzati” della borghesia nazionale, in
contrapposizione ai settori “arretrati” della stessa, identificati in Cile
con l’oligarchia latifondista, i settori monopolistici e/o legati all’imperialismo
straniero, in particolare nordamericano (16).
L’Unidad Popular (UP) si forma dunque verso la metà del
1969 in vista delle elezioni presidenziali dell’anno successivo. Oltre al PC e
al PS, vi confluiscono il Mapu (nato dalla scissione di sinistra della DC di cui
si è detto), il Movimiento de Accion Popular Independiente (Api, una
formazione piccolo borghese), il piccolo Partido Socialdemocrata (in
realtà di orientamento cristiano sociale), e il Partido Radical, che
rinuncia a presentare Alberto Blatra come proprio candidato (17).
Il programma dell’Unidad Popular (18), presentato alla fine
dell’anno, delinea una strategia democratica che combina propositi
antimperialisti e antioligarchici con un progetto avanzato di riforme
economico-sociali e politiche che ha come referenti dichiarati la classe
operaia, i contadini e le masse popolari, ma anche i ceti medi e i settori
borghesi interessati alla modernizzazione del paese, al controllo delle risorse
nazionali, allo sviluppo del mercato interno e al sostegno all’industria
nazionale. Le proposte sul terreno economico (riforma agraria, redistribuzione
del reddito, nazionalizzazione del rame, delle banche e dei settori industriali
strategici) si pongono in continuità piuttosto che in rottura con la politica
del governo Frei (19).
Sul terreno politico l’UP cerca di rassicurare la borghesia
con dichiarazioni di lealtà democratica e costituzionale, arrivando a delineare
un rafforzamento del ruolo delle Forze armate. Nel contempo prospetta alcune
riforme razionalizzatrici (camera unica eletta con criteri proporzionali) e un
allargamento della democrazia attraverso la partecipazione delle organizzazioni
popolari a nuovi organismi di un preteso poder popular, non contro ma a
lato delle istituzioni esitenti, così da trasformarle in un vero estado
popular (20) attraverso il quale sia possibile avviare il processo di
transizione pacifica al socialismo. Viene anche annunciata una nuova Cosituzione,
che “incorpori il popolo nell’esercizio del potere statale”, da
approvare con un referendum popolare.
Il programma chiama anche alla costruzione di comitati di
base dell’Unidad Popular, che non solo devono agire come comitati elettorali
ma devono altresì “prepararsi a esercitare il poder popular” (21).
La
vittoria di Allende
Il 22 gennaio 1970 l’Unidad Popular sceglie Salvador
Allende come proprio candidato alle elezioni presidenziali. Per Allende, figura
di prestigio della sinistra cilena, sarà la quarta volta che corre per la
presidenza come candidato comune delle sinistre (22). Nelle condizioni di crisi
e di ascesa delle masse, la sua candidatura diventa il canale attraverso cui si
esprime la volontà di cambiamento di vasti settori del popolo cileno. La sua
vittoria viene perciò sentita come una sconfitta della classe dominante e
contribuirà pertanto a stimolare la determinazione e le lotte dei lavoratori.
Significativamente, la borghesia non riesce a contrapporre ad
Allende una candidatura unica. Mentre la destra si rivolge alla figura di Jorge
Alessandri, nella DC prevale la componente riformista che candida un esponente
della sinstra interna, l’ex ambasciatore a Washington Rodomiro Tomic (23).
Se è vero che la divisione dal fronte borghese favorisce il
candidato dell’Unidad Popular, è anche vero che la scelta di Tomic da parte
della DC non riflette solo lo spostamento a sinistra della base popolare del
partito ma esprime anche il disegno cosciente di contendere ad Allende i settori
popolari attratti dalla sua candidatura. In effetti, delineatasi una divisione
dei consensi dei settori popolari (operai, contadini, pobladores...) fra Allende
e Tomic, sembra a un certo punto che Alessandri possa facilmente prevalere. La
campagna elettorale conosce comunque toni molto accesi che contribuiscono a
radicalizzare gli animi. La destra sviluppa una campagna terroristica in cui
arriva a prevedere, se vincesse Allende, i carri armati russi fuori dalla Moneda;
Tomic radicalizza progressivamente i propri toni nel tentativo di sottrarre
al candidato delle sinistre l’elettorato popolare. Il 4 settembre, tuttavia,
anche se per poche decine di migliaia di voti, Allende vince (24). Va anche
osservato che, malgrado l’allargamento a destra al Partito radicale, l’UP
ottiene nel 1970 un risultato inferiore a quello del 1964.
Ora, non avendo nessun candidato ottenuto la maggioranza
assoluta, la tradizione costituzionale del Cile prevede che il Congresso in
seduta congiunta nomini presidente il candidato primo piazzato. In questo caso,
però, il rispetto di questa prassi appare tutt’altro che scontato e
cominciano subito i tentativi per rimettere il discussione l’esito del voto
popolare. In parlamento, infatti, la DC e la destra godono della maggioranza
assoluta (25).
Dal
4 settembre al 4 novembre
La borghesia cilena ha già fatto due volte in precedenza
l’esperienza del fronte popolare, negli anni trenta e quaranta, e sempre con
risultati “positivi” dal suo punto di vista. Ma questa volta il quadro è
diverso: la credibilità dei suoi partiti è logorata, il peso dei partiti
operai predominante, la radicalizzazione delle masse più profonda.
Forse più ancora che dalla borghesia cilena – una frazione
della quale può sperare di ricavare dei benefici da un governo riformista –
il governo Allende viene giudicato intollerabile a Washington. Kissinger e Nixon
sono allarmati dalle possibilità di contagio dell’esempio di un governo
“marxista” che giunge al potere attraverso le elezioni. Il segretario di
Stato, Henry Kissinger, spiega che “è facile prevedere che se Allende
ottiene la presidenza, ci sono molte probabilità che nel giro di qualche anno
si instauri un governo comunista... un governo comunista unito, ad esempio,
all’Argentina, che già è profondamente lacerata, unito al Perù... unito
alla Bolivia, che già è andata molto a sinistra, contro gli Stati Uniti. Credo
che non dobbiamo autoilluderci che se Allende assume il controllo del Cile non
ci provocherà dei problemi...”. L’amministrazione repubblicana, che ha
rinfacciato per un decennio ai democratici la nascita di Cuba socialista, teme
una replica in Cile di quella sfida. Per questo si vuole evitare in tutti i modi
l’insediamento di Allende e a tale scopo Richard Nixon autorizza la Cia a “fare
tutto il possibile, salvo un’azione del tipo Repubblica Dominicana”. Il
15 settembre, in una riunione con Richard Helms, il capo della Cia, Richard
Nixon dà mandato ai capi dell’agenzia di predisporre un piano da sottopore a
Kissinger “Una possibilità su dieci, ma liberiamo il Cile da quel figlio
di puttana!”) mettendo subito a disposizione dieci milioni di dollari.
Ovviamente c’è il massimo allarme anche nelle multinazionali Usa che hanno i
maggiori investimenti in Cile, come l’Itt che è minacciata dal programma di
nazionalizzazioni di Allende.
In effetti, appena noto l’esito del voto del 4 settembre si
delinea immediatamente una situazione allarmante, accentuata ad arte dalle
dichiarazioni dei rappresentanti del governo in carica: fuga di capitali
all’estero, corsa al ritiro dei depositi dalle banche, immediata sospensione
degli investimenti e dei pagamenti da parte delle imprese straniere, riduzione
degli investimenti interni, dichiarazioni allarmistiche della stampa dei
ministri del governo uscente. E’ solo l’inizio...
Sul terreno politico si delineano subito tre possibili
scenari. Il primo: la ratifica parlamentare di Allende; ma la DC subordina il
suo voto a determinate condizioni: l’esplicito impegno di Allende di
rispettare tutta una serie di vincoli politici e istituzionali che prendono la
forma di un documento denominato Estatuto de las Garantías Costitucionales
(ne parliamo più estesamente più avanti).
Il secondo: la DC vota per Alessandri, il candidato secondo
arrivato, con l’impegno di quest’ultimo di dimettersi subito e di indire
nuove elezioni in cui la DC e la destra dovrebbero accordarsi su un candidato
comune (eventualmente lo stesso Frei) da opporre ad Allende.
Infine il terzo scenario: esso prevede né più né meno che
un colpo di Stato militare che impedisca l’insediamento di Allende.
Washington si muove immediatamente per realizzare il secondo,
o se il secondo non riesce, il terzo, degli scenari descritti. L’ambasciatore
statunitense a Santiago, Edward Korry, dichiara a Frei che gli Stati Uniti non
lasceranno arrivare in Cile “una sola vite e un solo dado, sotto Allende”.
Ma Frei non è disponibile a tentare il golpe istituzionale per timore
della reazione popolare (26).
Anche il secondo scenario – un golpe preventivo
delle Forze armate – si dimostra impraticabile per l’indisponibilità dei
vertici militari, in particolare del comandante in capo dell’Esercito, il
generale Renè Schneider, secondo il quale nel contesto dato l’intervento dei
militari può provocare una rivolta popolare e la guerra civile (27).
Non rassegnata, l’estrema destra cerca di forzare la mano
ai militari con un’azione che si rivela un disastro. Il 22 ottobre, un gruppo
paramilitare diretto dal generale Viaux e armato dalla Cia, tenta di sequestrare
il generale Schneider con l’intento di farne ricadere la responsabilità
sull’estrema sinistra. Ma il piano fallisce: il generale reagisce con le armi
e viene gravemente ferito; muore tre giorni dopo. I suoi assassini sono
rapidamente individuati e arrestati (28).
Il fallito attentato contribuisce a far realizzare il primo
scenario. Il 24 ottobre il Congresso ratifica l’elezione di Allende. Due
giorni prima ha approvato le riforme costituzionali, proposte dalla DC e
accettate da Allende, con cui questi si vincola: ad applicare senza modifiche la
riforma agraria di Frei; a non ostacolare la costituzione e lo svilppo delle
scuole private; a non modificare i testi scolastici della scuola primaria e
secondaria; a non espropriare i mezzi di comunicazione di massa; a non ammettere
“organismi di fatto che operino in nome di un supposto poder popular”;
e, soprattutto, a lasciare immutata la struttura gerarchica delle Forze armate e
dei Carabineros e le regole di selezione e avanzamento degli ufficiali; nonché
a riconoscere l’autonomia (!) dei corpi armati dello Stato borghese (invece
del tradizionale dovere di obbedienza nei confronti del potere esecutivo) e la
loro funzione di “garanti della convivenza democratica” (una sorta di
“diritto di ingerenza” nella vita politica...). Viene così precostituito,
con la firma dello stesso Allende, l’appiglio legale per il golpe del
settembre 1973 (29).
In realtà, l’accettazione dello Statuto delle garanzie
(preteso dalla DC per conto della classe dominante e dell’imperialismo)
contraddice qualsiasi dichiarazione sulla “transizione al socialismo”
proclamata nel programma dell’Unidad Popular o nei discorsi di Allende.
Essa rappresenta l’accettazione piena e definitiva del quadro dello Stato
borghese cileno quale esso è, la rinuncia a ogni intenzione anche solo di
“riforma” dello stesso, addirittura la rinuncia ad esercitare alcune delle
prerogative costituzionali del presidente.
Questo
passo svela la vera natura dell’Unidad Popular: si tratta di una forma di
collaborazione di classe fra i gruppi dirigenti del movimento operaio e la
classe dominante nel contesto di una acuta crisi politica e sociale (“fronte
popolare”). La borghesia accetta di cedere (per il momento) la massima carica
dello Stato in cambio della garanzia di conservare sotto il proprio diretto
controllo gli strumenti fondamentali del proprio dominio. Insomma, una lezione
di “marxismo pratico” impartita ai dirigenti “marxisti” del movimento
operaio dai rappresentanti della classe dominante, la quale dimostra di sapere
per lunga esperienza storica in che cosa consista, in ultima analisi, il suo
dominio sulla società. Resta da aggiungere che i dirigenti del PC e del PS
minimizzarono il valore della firma di questo accordo e il suo testo fu tenuto
accuratamente nascosto alla base...
4.
La prima fase: le realizzazioni del governo Allende
Il
4 novembre 1970 Allende assume ufficialmente i poteri presidenziali, insedia il
suo governo e inizia con grande energia l’attuazione del programma dell’Unidad
Popular, a partire dalle “prime quaranta misure di base”. Si può
senz’altro affermare che il primo anno del governo Allende risulta
complessivamente positivo, sia per la quantità di realizzazioni, sia per gli
effetti che queste comportano sulle condizioni di vita di milioni di cileni, per
gli immediati riflessi nel rapporto fra l’UP e le masse e fra l’UP e
l’opposizione (30).
Fra le misure più significative realizzate nel primo anno
merita qui elencare: la refezione scolastica per tutti gli alunni della scuola
di base; il programma che concede gratuitamente mezzo litro di latte al giorno a
ogni bambino al di sotto dei 14 anni e alle madri in attesa; l’istituzione di
asili nido e scuole d’infanzia per 80 mila bambini e l’apertura di nuove
scuole di vario grado; la distribuzione gratuita dei libri di testo nella scuola
dell’obbligo; l’aumento delle le borse di studio (le iscrizioni al primo
anno di università aumentano subito dell’80%); l’apertura di consultori e
di nuovi ospedali; un programma di edilizia popolare e l’imposizione di un
tetto a un quinto del salario per il pagamento dei debiti ipotecari; una
campagna di alfabetizzazione degli adulti; l’estensione a tutti della pensione
di vecchiaia e l’innalzamento dei minimi salariali e pensionistici e degli
assegni familiari; l’introduzione di un meccanismo di adeguamento automatico
dei salari all’aumento dei prezzi. Sono inoltre concessi incentivi per il
cinema, per le attività culturali in genere e per la ricerca scientifica.
Sul terreno democratico il governo di UP estende il diritto
di voto ai diciottenni e agli analfabeti; riconosce i diritti fino allora negati
ai popoli indigeni Mapuche e Aymara, a cui vengono restituiti 70 mila ettari di
terre; introduce una serie di meccanismi che oggi diremmo di “democrazia
partecipativa” sul piano locale e sociale. Sono inoltre riconosciuti e
allargati i diritti sindacali. Nel clima di crescente mobilitazione, la Cut
tocca i 900 mila iscritti, pari a circa il 30% della forza lavoro del settore
privato. Attraverso la contrattazione sindacale, incoraggiata dal nuovo quadro
politico, i lavoratori conquistano sostanziali aumenti dei salari reali, e ciò
malgrado il permanere di un tasso di inflazione piuttosto elevato, nel 1971
attorno al 20% (31).
Già fra il dicembre del 1970 e il gennaio del 1971 il
governo presenta in parlamento varie leggi per l’avvio delle riforme
economiche di maggior rilievo, come la nazionalizzazione del rame,
l’istituzione dell’Area de propiedad social (Aps), la partecipazione
dei lavoratori alla gestione delle imprese statali; contemporaneamente procede
all’acquisizione allo Stato delle banche, della compagnia telefonica (la Itt
statunitense) e dei maggiori monopoli e accelera l’attuazione della riforma
agraria.
Mentre si avviano queste riforme, viene attuata una politica
economica fortemente espansiva che consente al paese di uscire dalla recessione
in cui è precipitato negli ultimi due anni del governo Frei. L’utilizzo degli
impianti risale dal 75 al 95%, la disoccupazione scende in due anni dal 9 a meno
del 4%, la crescita del Pil raggiunge nel 1971 il 7,7%. Della positiva
situazione economica approfittano naturalmente anche commercianti e piccoli
imprenditori che capiscono rapidamente che “si possono fare buoni affari
anche con un governo di sinistra”.
Tutto ciò ha un immediato riscontro politico nelle elezioni
amministrative dell’aprile del 1971. L’Unidad Popular ottiene un successo
senza precedenti, arrivando al 50,9% dei voti. E’ questo il momento
favorevole, se Allende e i dirigenti dell’Unidad Popular lo volessero, per
convocare il referendum per una nuova costituzione e “per
istituzionalizzare l’incorporazione del popolo nel potere dello Stato”.
Ma evidentemente l’accordo con la DC nell’ottobre precedente impone di
accantonare simili propositi...
La
nazionalizzazione del rame
L’11 luglio 1971 (data subito eretta a Festa della dignità
nazionale) il parlamento cileno approva all’unanimità (!) la
nazionalizzazione delle miniere del rame in mani straniere. Il fatto non è così
sorprendente: si completa in tal modo un progetto che è stato avviato dal
governo democristiano; d’altra parte, alle compagnie espropriate è concesso
un adeguato compenso, anche se Allende fa inserire nel calcolo dell’indennizzo
uno “sconto” per i superprofitti realizzati dalle compagnie negli anni
precedenti (32). Si costituisce la Corporación del Cobre (Codelco), che
diventa la principale impresa produttiva mondiale del settore per volume di
esportazioni e una delle più efficienti per produttività e bassi costi di
estrazione.
Con procedure analoghe viene avviata anche la
nazionalizzazione delle miniere di salnitro, di carbone e di ferro (la cui
estrazione alla fine del ’71 è già controllata al 95% dallo Stato).
La
altre nazionalizzazioni
Nel 1970 il sistema bancario cileno è particolarmente
concentrato (il 3% delle banche monopolizza il 45% dei depositi, il 55% dei
profitti e il 44% dei prestiti). Tra il dicembre ’70 e il gennaio ’71 il
governo attua la nazionalizzazione delle banche nazionali e delle assicurazioni
dando ordine alla Banca centrale di acquistare il 51% delle loro azioni. In modo
analogo è attuata la nazionalizzazione delle banche estere (fra cui le filiali
delle americane First National City Bank e Bank of America) con
l’accordo delle banche medesime, mediante l’acquisto delle loro azioni
(facilitato da un prestito concesso dalle banche stesse allo Stato e da
restituire in 5 e 7 anni). Il controllo del credito consente subito di allargare
i prestiti ai piccoli e medi produttori e alle cooperative e di abbassare i
tassi di interesse dal 18 al 12%.
Nel 1971 viene nazionalizzata anche la Compañía de Teléfono
y Telégrafo, proprietà della multinazionale nordamericana Itt.
L’“Area
de propiedad social”
L’attuazione del programma in materia di nazionalizzazioni
nel settore industriale procede invece più a rilento e con conflitti molto più
aspri con i proprietari espropriati. Ancora più significativo è il fatto che
speso l’iniziativa è assunta direttamente dai lavoratori, che mostrano di
avere un’idea diversa dal governo sul senso e sui modi delle nazionalizzazioni
e che non esitano a spingersi oltre i confini fissati dai burocrati
ministeriali. In molti casi i lavoratori semplicemente occupano la propria
fabbrica e poi rivendicano la sua inclusione nell’Aps.
Le imprese che in un modo o nell’altro passano sotto il
controllo dello Stato confluiscono nell’Area de Propiedad Social (Aps),
sottoposta a una guida nazionale centralizzata che ha lo scopo di farne il
settore propulsivo dello sviluppo economico del paese. Nei fatti, le
nazionalizzazioni del governo di Unidad Popular non sono diverse da quelle di un
qualsiasi governo borghese. Non solo prevedono l’indennizzo dei capitalisti
espropriati, ma non si inseriscono in un progetto di rovesciamento del
capitalismo e di trasformazione dei rapporti sociali. Sono concepite,
soprattutto dal PC, in una logica prevalentemente produttivistica di cui i
lavoratori sono chiamati a farsi carico in nome del “bene nazionale” e in
ragione del fatto che al governo ci sono i partiti di sinistra...
La gestione delle singole imprese è invece affidata a
comitati paritetici di rappresentanti eletti dai lavoratori e di funzionari
nominati dal governo. Ma mentre i primi decadono ogni anno, i secondi sono
irrevocabili e spesso agiscono con la stessa arroganza dei vecchi padroni.
Questo conflitto, dapprima latente, tende a diventare aperto nel corso del 1972,
a fronte di due sviluppi quasi concomitanti: da un lato, i compromessi che il
governo stabilisce con le forze padronali e con la DC, che prevedono in molti
casi la restituzione delle aziende occupate dai lavoratori; dall’altro, la
crescente attivazione indipendente dei lavoratori in risposta alla
disorganizzazione economica provocata dalla sedizione della borghesia (le
serrate, il disinvestimento, gli attentati, ecc.).
Nel dicembre del 1971 la lista del governo delle imprese da
includere nell’area di proprietà sociale e dell’area di proprietà mista
comprende 91 imprese, di cui 74 manifatturiere. Un anno dopo, le imprese in mano
allo Stato (“requisidas” o “intervenidas”) sono 202, di
cui ben 152 non previste nel piano iniziale del governo (33). Il progetto di
legge Prats-Millas degli inizi del 1973, volto a definire i precisi confini
dell’Area Social per rassicurare la borghesia, ne include circa 120 e
alcune sono ancora in mani private. Ciò significa che il governo si prepara a
restituirne circa un centinaio ai vecchi proprietari! Ciò provoca la reazione
dei settori più avanzati dei lavoratori. Il 30 gennaio ’73, contro il piano
Millas si svolge a Santiago una grande manifestazione operaia convocata dai cordones
industriales. Sul versante parlamentare il governo si scontra invece con la
DC e con la destra che proprio su questi temi faranno approvare nell’estate
del 1973 un ordine del giorno che accusa il governo di essere fuori dalla
legalità, fornendo così un alibi per l’intervento dei militari.
L’accelerazione
della riforma agraria
Sul terreno della riforma agraria il governo di Unidad
Popular si limita ad accelerare l’applicazione della riforma varata da Frei.
Nei primi 18 mesi di Allende soro infatti espropriati quasi 5,3 milioni di
ettari complessivi, ossia quasi il doppio della distribuzione di terre
realizzata da Frei. La ripartizione della terra realizzata da Allende, sommata a
quella attuata dal governo Frei, mette fine in Cile al latifondo incolto. Sono
beneficiate dalla riforma agraria circa 50 mila famiglie. Un risultato senza
dubbio significativo, anche se tutto interno al quadro democratico-borghese.
D’altra parte, la riforma era stata concepita per modernizzare il capitalismo
nelle campagne e per allargare il mercato interno, non per avviare la
transizione al socialismo...
Le possibilità rivoluzionarie di questo intervento sono
indebolite anche dal modo in cui è attuato. Le terre espropriate sono assegnate
a livello provinciale, con la partecipazione delle organizzazioni contadine,
secondo tre modalità principali: gli asentamientos, le assegnazioni
individuali; i centros de riforma agraria (Cera), ossia grandi aziende
collettive; e i centros de produción, grandi imprese statali. Mancano
però le risorse per promuovere una rapida modernizzazione tecnologica e il
governo non riesce ad attuare una efficace pianificazione del settore. La
maggior parte delle terre sono assegnate per la coltivazione direttamente alle
famiglie contadine. Il governo Allende cerca di incentivare i contadini a unirsi
in cooperative, ma queste non incontrano massicce adesioni. Con i Cera si
vogliono realizzare invece grandi aziende collettive modello, amministrate dai
contadini stessi, su terre particolarmente produttive di proprietà dello Stato;
i lavoratori vi percepiscono un salario base uguale, integrato da una parte
proporzionale ai risultati produttivi di ciascuno; nei Cera le donne sono
considerate su un piano di parità con i lavoratori maschi; nel 1973, tuttavia,
queste esperienze avanzate non coinvolgono più di tre mila famiglie. I centros
de produción sono invece grandi imprese statali tecnologicamente attrezzate
in relazione a specifici ecosistemi (ad esempio le colture forestali,
l’avicoltura, ecc.) che offrono le maggiori possibilità di assorbire il
bracciantato.
Il dato politicamente più significativo è tuttavia un
altro: la riforma viene attuata essenzialmente per via
burocratico-amministrativa, non attraverso la mobilitazione diretta dei
contadini, che quando si sviluppa, invece, tende a scontrarsi con i funzionari
del governo. Ciò non manca di provocare malcontenti e risentimenti per i
ritardi e le inefficienze, che in certi casi offrono il destro per attacchi
demagogici dell’opposizione.
Da un punto di vista strettamente economico, comunque, la
riforma dà risultati abbastanza positivi; la produzione agropastorale aumenta
del 5% nella stagione 1970-71 e dell’1,6% l’anno dopo, pur scontando il
boicottaggio dei proprietari espropriati. Questi aumenti non bastano tuttavia a
far fronte all’aumento della domanda, conseguenza delle maggiori entrate dei
lavoratori e dei settori più poveri. Va detto però che i problemi di
approvvigionamento dipendono soprattutto dal sabotaggio economico messo in opera
dal padronato e dall’imperialismo (34).
Le
“juntas de abastecimientos y precios”
Una iniziativa del governo Allende complementare alla riforma
agraria è la creazione di imprese statali nei settori della commercializzazione
e della distribuzione, per rompere il quasi monopolio detenuto da grandi
compagnie spesso controllate dal capitale straniero, come Balfour, Gibbs,
Williamson ecc. Parallelamente vengono istituite le juntas de abastecimientos
y precios (Jap), elette a livello comunale, con il compito di incentivare
forme di autogestione nella distribuzione dei beni di base, in rapporto diretto
con le aziende dell’area sociale, in particolare nei settori alimentare e
tessile. Questi strumenti, coordinati a livello locale dei commandos
comunales, diventeranno un canale importante della mobilitazione popolare
per contrastare il paro padronale dell’ottobre ’72 e
successivamente.
Le
iniziative di politica internazionale
Delineando le principali realizzazioni del governo di Unidad
Popular non si può mancare di accennare brevemente alle iniziative assunte sul
terreno della politica estera, in genere connotate da un forte valore simbolico.
Il primo passo è il ristabilimento delle relazioni diplomatiche con Cuba (più
tardi con la Cina, il Vietnam e la Repubblica democratica tedesca); il secondo
è la dichiarazione del Cile “nazione non allineata”. Seguono l’invito a
Fidel Castro (che si tratterrà in Cile per ben tre settimane nel novembre del
1971), un lungo tour nelle capitali dell’America latina e in Unione sovietica,
in cerca di sostegno economico. Nel dicembre 1972 Allende pronuncia all’Onu
una vigorosa denuncia dell’imperialismo nordamericano e dei suoi piani di
strangolamento dell’economia cilena. Alla prova dei fatti, però, Allende
continuerà a pagare il servizio sull’esorbitante debito estero ereditato dal
suo predecessore; solo alla fine del 1972 chiederà una moratoria dei pagamenti.
5.
La seconda fase: dalla ritirata alla resa
In
verità, come abbiamo visto, l’inizio dell’offensiva borghese e imperialista
contro Allende precede la sua elezione e si intensifica nei due mesi che
precedono la sua assunzione della presidenza. Da subito essa è ispirata e
guidata direttamente da Washington. Ancor più che per la borghesia cilena –
una frazione della quale può anche pensare di poter beneficiare dalle riforme
dell’Unidad Popular (che, come si è visto sopra, si muovono in continuità
con quelle del governo Frei) – il governo Allende è ritenuto una minaccia
intollerabile dai massimi dirigenti dell’imperialismo nordamericano. A
Washington, Kissinger è allarmato per le possibilità di contagio
dell’esempio di un governo “marxista” che “va al potere” (in realtà
solo al governo) attraverso le elezioni, ossia con piena legittimità
“democratica” secondo gli usuali parametri borghesi. L’amministrazione
repubblicana, che ha contestato per anni a quella democratica di aver permesso
la nascita della Cuba socialista, teme una replica in Cile di quella sfida.
Viene pertanto deciso che l’esperimento allendista deve fallire. Non essendo
riuscito, come si è visto, il tentativo “preventivo” di impedire l’ascesa
di Allende alla presidenza, si decide che Allende deve essere rovesciato.
La
strategia della “destabilizzazione”
La questione è affrontata a Washington con grande impegno e
concepita come un vero e proprio “esperimento” di controrivoluzione. La
strategia prescelta viene definita con un termine che diventerà tristemente
famoso: “destabilizzazione”. Si tratta in buona sostanza di provocare il
caos economico, di suscitare contro il governo le proteste di settori sociali
colpiti e/o spaventati dai media, di suscitare un clima di insicurezza e di
violenza atto a giustificare l’invocazione di un golpe per ristabilire
la legge e l’ordine. A questo scopo viene costituito a Washington un Comitato
speciale (Comitato 40) e stanziate ingenti somme che vanno a finanziare in Cile
le organizzazioni, i giornali, le radio dell’opposizione; le azioni di
sciopero, il sabotaggio economico, i gruppi paramilitari che agiscono con
attentati e assassini politici (35).
Gli effetti di questa strategia cominciano a farsi pesanti
verso la fine del 1971. La situazione economica peggiora. Il pagamento degli
indennizzi (36), il blocco economico attuato di fatto dagli Usa contro le
esportazioni cilene, il taglio dei crediti da essi imposto anche alle
istituzioni internazionali sotto il loro controllo, la caduta di un terzo degli
introiti del rame, dovuta al crollo del prezzo mondiale del metallo provocata
dalla decisione di Nixon di vendere la riserva strategica statunitense,
cominciano a creare crescenti
problemi all’economia cilena (37).
Anche per evitare una ricaduta nella recessione, il governo
continua nella politica monetaria e creditizia espansiva, con la conseguenza di
indurre un’accelerazione dell’inflazione (38). Cominciano a scarseggiare i
beni di prima necessità nei negozi, fanno la loro comparsa le code e il mercato
nero, tutti fenomeni che colpiscono e peggiorano le condizioni di vita di vasti
settori della popolazione, ma che sono percepiti con particolare irritazione dai ceti benestanti poco adusi a
simili disagi.
Facendo leva su queste difficoltà, l’opposizione ricorre
anche alle manifestazioni di piazza. Il 1 dicembre 1971 ha luogo una Marcha
de las cacerolas davanti alla Moneda: sono soprattutto le donne dei ceti
medi a protestare per la mancanza dei beni nei negozi. Le mobilitazioni di
questo o quel settore di piccola borghesia o di lavoratori professionali
diventano più frequenti nei mesi successivi, incoraggiate dal sostegno, anche
finanziario, che ottengono dall’estero (39).
Di fronte alle difficoltà e alle crescenti iniziative dei
suoi avversari, l’UP si divide. Il confronto si sviluppa in due incontri (il
primo all’inizio dell’anno, in secondo a giugno) in cui si riuniscono con
Allende i vertici dell’Unidad Popular e del governo. L’incontro di Lo Curro,
nel giugno del 1972, può essere assunto come uno spartiacque. Si scontrano due
posizioni. La prima è quella sostenuta dal PC e dalla maggioranza allendista
del PS: bisogna cercare un nuovo accordo con la DC ed evitare a ogni costo
l’aggravarsi di una crisi per la quale, secondo il PC, “né l’UP né le
forze sociali su cui essa si fonda sono preparate”; la parola d’ordine
è “calmare le acque”. Ciò significa però enfatizzare gli obiettivi
produttivi e opporsi frontalmente all’azione indipendente delle masse.
La seconda posizione è sostenuta dalla sinistra del PS, dal
Mapu e dalla Izquierda Cristiana, che spingono invece per “avanzar sin
transar” (andare avanti senza negoziare), ossia completare il programma
appoggiandosi sulla mobilitazione dei lavoratori e delle masse. Alla fine
Allende attua un rimpasto del governo. Il ministro dell’economia Pedro
Vuskovic, esponente della sinistra socialista, deve cedere il posto. Al
ministero delle finanze va Orlando Millas, esponente del PC e della linea
vincente. Contemporaneamente si realizza un accordo con la DC per le nomine ai
vertici delle banche nazionalizzate e si stabilisce di escludere dall’area
sociale la Compañia manufacturera de papeles y cartones, la maggiore
impresa nel settore di proprietà di... Jorge Alessandri! (In questo contesto
nel giugno 1972 si svolgono anche le elezioni per la direzione della Cut nelle
quali le liste dei partiti dell’UP e della DC raccolgono rispettivamente il 70
e il 30% dei voti).
In realtà lo scontro ha rivelato che l’UP nel suo insieme
non ha la comprensione esatta della nuova situazione. Ciò che accade è il
fatto che la borghesia è sempre più preoccupata del fatto che le masse
sfruttate tendono a “rompere le dighe” ed è perciò sempre meno disposta a
concedere altro tempo alle direzioni riformiste. Per un verso, dunque, è
destinata a fallire la politica di accordo cercata dal PC e da Allende, in
quanto la borghesia non è affatto intenzionata a concludere patti con gruppi
dirigenti che non sono più in grado di garantirli. Per un altro, d’altra
parte, è del tutto inadeguata la posizione di chi vuole procedere con le
riforme senza rendersi conto che la dinamica rivoluzionaria che si è messa in
moto non può risolversi, in ultima analisi, che con mezzi rivoluzionari, ossia
con la presa del potere statale; o essere stroncata dalla razione violenta della
classe dominante attraverso le istituzioni statali che essa ancora controlla, in
primo luogo l’istituzione militare.
La
nascita dei “cordones industriales”
Effetto di questi processi contraddittori (le masse vanno a
sinistra, il governo va a destra), dalla metà del ’72 si moltiplicano i
conflitti fra le lotte operaie e contadine e il “governo popolare”. Durante
uno di questi episodi – la mobilitazione dei contadini della poblacion
di Melipilla, nei pressi di Santiago, che reclamano la terra e la rimozione di
un magistrato che ritarda le assegnazioni – interviene anche la polizia e ne
seguono scontri e 20 arresti. Quando però la settimana seguente i contadini
occupano la strada, si incontrano con gli operai di alcune fabbriche della
vicina località di Cerrillos che hanno costituito un coordinamento di delegati.
Nasce così nel giugno 1972 il primo organismo di tipo “sovietico” della
rivoluzione cilena, il cordon industrial (coordinamento di settore
industriale, costituito da delegati eletti dai lavoratori) promosso dai
lavoratori di trenta imprese del settore Cerrillos-Maipú (nell’area di
Santiago), il quale farà presto conoscere una dichiarazione “a favore del
controllo operaio della produzione” e per una “assemblea dei
lavoratori al posto del Congresso”. L’idea si diffonde rapidamente;
qualche giorno dopo nasce il cordon industrial in Vicuña Mackenna, altro
quartiere operaio di Santiago. Sarà soprattutto nel corso della mobilitazione
per contrastare la serrata padronale nell’ottobre seguente che l’idea dei
coordinamenti si generalizza: più di cento coordinamenti industriali sorgeranno
in tutto il paese, venti nella sola Santiago.
Nello stesso senso va l’asamblea popular che si
forma alla fine di luglio a Concepción, la seconda città operaia del paese, in
cui si ritrovano più di 3.000 delegati, rappresentanti di fabbrica, dei partiti
di sinistra e delle organizzazioni popolari e studentesche. Deliberatamente
non vi aderisce il PC, che accusa l’assemblea di essere una “manovra
della reazione e dell’imperialismo che utilizza come schermo l’ultrasinistra”.
Anche Allende attacca l’assemblea di Concepción perché, spiega, “nessun
rivoluzionario sensato può ignorare il sistema istituzionale che governa la
nostra società, di cui fa parte il governo di Unidad Popular”; la
creazione di organismi di doppio potere nel quadro di un governo che rappresenta
i lavoratori è una dimostrazione di “irresponsabilità”: “il doppio
potere è sorto in altre circostanze storiche, in opposizione a strutture di
potere reazionarie che non avevano una base sociale e un appoggio popolare”
(40).
Il
“paro de octubre” e la sua disfatta
Su questo sfondo, il 9 ottobre comincia lo sciopero dei
camionisti con lo scopo dichiarato di far cadere Allende. Il loro leader, Leon
Villarin, è un dirigente del gruppo fascista Patria y Libertad. La scintilla
che provoca l’incendio è il sospetto che il governo voglia realizzare un
sistema di trasporti pubblici, che andrebbe ad intaccato il potere di una
corporazione di piccoli proprietari particolarmente potente in un paese con la
conformazione geografica del Cile. Il blocco armato da parte dei camionisti e
dell’estrema destra dell’unica arteria che mette in comunicazione il nord e
il sud del paese provoca rapidamente la penuria di molti generi di prima
necessità, del combustibile e delle materie prime. Ai camionisti si uniscono in
un secondo tempo altri settori piccolo borghesi (tassisti, medici, avvocati,
insegnanti, piccoli negozianti, professionisti...) e soprattutto gli
imprenditori la cui associazione proclama la serrata.
L’offensiva della borghesia è stata ispirata e viene
sostenuta generosamente dai dollari della Cia. Ma ottiene anche un “effetto
collaterale” imprevisto e indesiderato (per il padronato): spinge i lavoratori
a reagire e a prendere nelle proprie mani non solo il futuro del governo bensì
anche il proprio. Di fronte al sabotaggio economico della borghesia i lavoratori
si assumono l’onere di far ripartire la produzione: occupano e riaprono le
fabbriche chiuse, riorganizzano la produzione e i rifornimenti; in piena
emergenza costruiscono un’alternativa operaia all’economia dei padroni (41).
In questo contesto nascono i coordinamenti industriali in
tutto il paese. I cordones indu-striales diventano la specifica forma
cilena dei soviet e rappresentano il punto più alto di organizzazione
rivoluzionaria della classe operaia, lo strumento di una svolta potenzialmente
decisiva nello sviluppo della crisi rivoluzionaria e del suo sbocco.
Non esplicano soltanto compiti pratici di coordinamento degli
sforzi economici fra le diverse fabbriche e i diversi settori. Sono in nuce
gli strumenti di un contropotere che non solo può opporsi all’autorità
padronale sui posti di lavoro o nella produzione, ma costituisce anche la base
embrionale di una nuova organizzazione del potere politico, fondata
sull’azione diretta delle masse, cioè l’embrione di un dualismo di
poteri che è il segno distintivo di una crisi rivoluzionaria matura. I
cordones sono inoltre uno strumento del fronte unico perché nei cordones si
realizza l’unità della classe nelle sue diverse articolazioni, in quanto essi
integrano tutti i lavoratori al di là della loro appartenenza di partito o alla
posizione rispetto al governo.
Potenzialità analoghe si sviluppano anche nei quartieri e
sul territorio. Per contrastare l’interruzione dei rifornimenti, la chiusura
dei negozi, l’accaparramento, l’aumento dei prezzi e il mercato nero, si
diffondono le juntas de abastecimientos y precios (Jap, comitati di
approvvigionamento e dei prezzi) e i comandos comunales (direzioni
comunali) che coordinano a livello municipale questi interventi e garantiscono
la continuità dei servizi pubblici. Pur se promossi dal governo e sotto il suo
controllo, questi organismi diventano canali di una mobilitazione che presto va
oltre i meri compiti di coordinamento e di amministrazione economica; passano
alla controffensiva requisendo i camion, riaprendo i supermercati chiusi,
sgomberando manu militari le strade occupate, ecc.; dall’esigenza di
fronteggiare le bande fasciste nascono anche le prime esperienze di autodifesa.
In breve, nelle strade e nelle città si assiste al
dispiegarsi di una guerra civile strisciante che però non ha, dal lato delle
masse, un coordinamento e una direzione coscienti. Infatti, invece di
appoggiarsi sull’autorganizzazione delle masse e di mettersi alla loro testa,
il governo attiva le risposte istituzionali e proclama la legge marziale,
conferendo nelle zone più calde i pieni poteri all’Esercito, che ovviamente
li impiega piuttosto per reprimere le iniziative delle masse che per far
rispettare la “legalità” al fronte padronale.
Dopo 26 lunghissimi giorni, nei quali la classe operaia
cilena ha dimostrato di poter prendere in mano il proprio destino e quello del
paese, lo sciopero dei padroni può dirsi sconfitto e la classe dominante
costretta di nuovo sulla difensiva. Ciononostante, quale prova delle sue buone
intenzioni, Allende chiama il 3 novembre i militari a far parte del governo; il
generale Prats, capo dell’Esercito, diventa ministro dell’Interno; il
generale Bachelet, capo della Forza aerea, si occuperà dei rifornimenti. Più
che per spezzare il blocco padronale, la mossa sembra imposta dalla volontà di
imporre una tregua al movimento delle masse vittoriose.
Luis Corvalan, leader del Partito comunista, saluta
l’ingresso dei militari nel governo come un “segno di forza del governo e
della democrazia”. Ma il Pentagono, negli stessi giorni, in un rapporto
denominato Ottobre in Cile, arriva ad altre conclusioni. Segnala il
rischio imminente che il governo sia scavalcato dall’insurrezione popolare e
osserva che solo un regime duro potrebbe disarticolare l’organizzazione dei
lavoratori (42). In altre parole, il regime “democratico” in Cile ha
ormai i giorni contati (43).
La radicalizzazione della classe operaia si manifesta anche
in un salto nella coscienza politica dei lavoratori che si rivela nelle
discussioni sul programma, gli strumenti e le prospettive delle lotte.
Si legge nel Pliego del Pueblo (una sorta di
manifesto), elaborato e diffuso nell’ambito dei cordones industriales in
opposizione al Pliego del Chile diffuso dalla reazione durante lo
sciopero dei camionisti: “L’esperienza di queste giornate ha dimostrato
che i lavoratori non hanno bisogno dei padroni per far funzionare l’economia.
Nei suoi disperati tentativi di paralizzare il paese il padronato ha mostrato
soltanto il suo carattere parassitario... La conclusione è chiara: i padroni
non servono.”
Rispetto all’Unidad Popular: “è necessario... creare
un’altra modalità di rapporto con il governo e le sue istituzioni. Nessuno ha
il diritto, meno che mai in nostro nome, di agire senza consultarci... Nessun
funzionario può dimenticare che la sua prima responsabilità è verso il popolo
e che, pertanto, è obbligato a sottostare al suo controllo organizzato”.
Sul piano politico si osserva che “non si può risolvere la crisi con
concessioni e alleanze con qualche militare di alto grado... Occorre uscire in
avanti, appoggiandosi alla forza della classe operaia e delle masse popolari,
con un’offensiva permanente come quella delineata nel Pliego del
Pueblo.”
Gli obiettivi prioritari sono così elencati: “sconfiggere
il gabinetto militare e ogni altra concessione”, “no alla
restituzione delle imprese statizzate, requisite e occupate durante lo sciopero
dei capitalisti e loro incorporazione all’area sociale”, “stabilire
definitivamente il controllo operaio in tutte le imprese che restano nell’area
privata dove ci siano le condizioni che lo consentono.”
Il documento rivendica inoltre la rapida nazionalizzazione
senza indennizzo degli investimenti stranieri nel paese, il non pagamento del
debito estero e l’abolizione del segreto commerciale e bancario.
Chiede ancora di contrastare l’attitudine della borghesia a
tagliare gli investimenti imponendo un tetto ai profitti e l’obbligo di
reinvestirli. Si avanza poi la richiesta della piena uguaglianza salariale fra
uomini e donne sul lavoro e si formulano proposte in favore della liberazione
della donna dalla schiavitù dei lavori domestici, come la creazione di asili
nido, di mense e lavanderie popolari e lo sviluppo della produzione di
elettrodomestici. Infine si chiama a “rafforzare le organizzazioni e i
comitati di autodifesa e di vigilanza e a consolidare le Jap” (44).
Lo
scontro sul piano Prats-Millas
La divaricazione fra le masse e le direzioni si accentua. Per
convincere i lavoratori e lasciare le imprese occupate, il governo non esita a
far intervenire i Carabineros e a far arrestare i lavoratori.
Nel gennaio 1973 il ministro dell’economia Orlando Millas
rende noto un piano che prevede la restituzione ai padroni di un centinaio di
imprese già sotto il controllo dello Stato o occupate dai lavoratori e la
riduzione a 122 delle aziende dell’area sociale, suscitando immediatamente la
risposta dei lavoratori con in testa i cordones industriales di Cerrillos-Maipú
e di Vicuña-Mackenna. Si svolgono manifestazioni e si erigono barricate.
Il 30 gennaio 1973, marciando su Santiago, i lavoratori
cantano per la prima volta: “trabajadores al poder” (45). Il 5
febbraio, nel corso di una manifestazione allo Stadio nazionale di Santiago
contro il piano Prats-Millas, compare per la prima volta su uno striscione lo
slogan “un pueblo desarmado es un pueblo conquistado” (un popolo
disarmato è un popolo vinto).
In poco più di un anno la coscienza dei lavoratori, certo
“provocata” dalle iniziative della destra e dall’esperienza concreta, ha
fatto un enorme balzo in avanti. Si pone ora l’esigenza di coordinare a
livello nazionale i cordones per costruire un’alternativa di potere (46), ma
la “spontaneità” delle masse, da sola, non può assolvere questo compito.
Il governo stesso, infatti, si pone il compito di controllare
e sviare questa dinamica che rischia di scavalcarlo e di travolgere la ricerca
del dialogo con la borghesia.
In un discorso del maggio 1973 Allende osserva: “L’ordine
borghese ha perso valore tra i lavoratori, che si sforzano di creare dentro il
regime istituzionale dello Stato e la sua normativa legale, un ordine e una
disciplina... manifestando la tendenza all’esercizio della democrazia
diretta... Si deve creare, insieme con le istituzioni comunitarie e sociali
attualmente esistenti, un nuovo centro organizzatore, i comandos comunales,
formati da rappresentanti eletti dalle organizzazioni comunitarie e dei
lavoratori... e capaci di rendere possibile il controllo popolare sulle
istituzioni amministrative contribuendo a combattere lo spirito
burocratico... e creare il poder popular, ma non antagonista o
indipendente dal governo, che è la forza fondamentale e il capitale su cui
possono contare i lavoratori per avanzare nel processo rivoluzionario.”
E’ palese l’intento di stravolgere il ruolo dei nuovi organismi indipendenti
creati dai lavoratori e di integrarli nell’apparato dello Stato borghese, come
sua articolazione subordinata e sottoposta all’autorità del governo (47).
Mentre Allende e il governo lanciano la parola d’ordine
“No alla guerra civile”, i partiti borghesi, il padronato e l’imperialismo
si preparano al golpe, i cordones colgono la situazione: “Noi
lavoratori sappiamo che si avvicina l’insurrezione finale dei padroni e ci
prepariamo per stroncarla come abbiamo fatto con la serrata di ottobre, poiché
pensiamo che non ci può essere pace sociale fra sfruttati e sfruttatori.”
(da una dichiarazione del cordon Cerrillos-Maipú).
Il 10 aprile nella poblacion di Costitucion si
costituisce un’asamblea del pueblo nella quale 25 mila pobladores
votano di assumere il controllo del Municipio e di farsi carico di tutti i
compiti statali come la sanità, l’istruzione, i trasporti e la distribuzione
dei beni essenziali.
Il 19 aprile comincia lo sciopero per ragioni salariali dei
13 mila minatori di El Teniente, un impianto di estrazione del rame
nazionalizzato da Allende. E’ un episodio che dà una dimensione dirompente
alle contraddizioni emergenti fra il governo di Unidad Popular e la sua base
sociale, contraddizioni su cui si inserisce la destra che ormai è disposta a
giocare ogni carta pur di rovesciare Allende.
Lo sciopero, sconfessato da tutti i settori della sinistra
(compreso il Mir), va avanti per oltre due mesi perché il governo, per il
timore degli effetti destabilizzanti di una possibile rincorsa salariale, si
rifiuta di considerare le richieste degli operai. I quali ricevono invece
l’appoggio strumentale della DC e di Patria y Libertad che riescono a
trasformare un conflitto sindacale in uno scontro politico fra operai e Unidad
Popular.
6. Verso il golpe disarmando… i lavoratori
Tra
la primavera e l’estate del 1973 la crisi cilena evolve rapidamente verso
l’epilogo. Per valutare correttamente questo esito è importante tener fermo
che il conflitto che oppone la borghesia cilena all’Unidad Popular è
subordinato in ultima analisi all’evoluzione dello scontro principale, che
resta quello fra la borghesia e il proletariato. In breve, è il fallimento
dell’Unidad Popular nel compito di controllare le masse, e non il suo
“estremismo”, che fa decidere la borghesia per la “sovversione” e il
rovesciamento violento del governo Allende. Questa decisione matura fra la fine
dello sciopero dei camionisti (ottobre 1972) e lo scacco del fronte borghese
nelle elezioni (marzo 1973). E’ proprio in seguito al fallito paro di
ottobre, infatti, che si delinea la combinazione di fattori che porta al golpe.
Sul versante dell’Unidad Popular, falliscono sia l’estremo tentativo di
“placare” la DC e la borghesia contrattando i “limiti” delle riforme e
fornendo ogni sorta di “garanzie” sul terreno istituzionale, sia lo sforzo
di bloccare la radicalizzazione delle masse e la tendenza alla loro autorganizzazione
indipendente. Sul versante della borghesia, l’esaurimento degli ultimi mezzi
“ordinari” per ristabilire la situazione porta alla definitiva unificazione
del blocco dominante e al superamento delle residue remore circa la “soluzione
finale” da affidare ai militari. In mezzo, si collocano i tentativi dei
lavoratori di contrastare le tendenze del “proprio” governo e dei
“propri” partiti al ripiegamento e alla resa, di allargare e unificare la
rete della propria autorganizzazione, di prepararsi in vista di uno scontro che
si annuncia sempre più chiaramente come imminente e decisivo. Ma mentre la
controrivoluzione riesce a darsi una strategia, un’organizzazione e una
direzione centralizzate, sono proprio questi fattori essenziali che fanno
difetto al proletariato cileno nel momento decisivo.
Nel maggio del 1973 anche nella DC prevale l’opzione
pro-golpista con l’elezione a segretario di Patricio Aylwin, esponente della
destra intransigente, e l’approvazione di un documento che impegna il partito
a fare ogni sforzo per impedire che il Cile “diventi una dittatura marxista”.
Da questo momento la DC assume un ruolo centrale nella preparazione politica del
golpe, il cui scopo è delegittimare il presidente Allende e creare il pretesto
che giustifichi l’intervento delle forze armate.
Fra i militari le posizioni dei “lealisti” sono sempre più
precarie (48) e la macchina del golpe è avviata. Agli inizi di giugno un
gruppo di sottufficiali e di marinai incontrano i senatori Altamirano,
socialista, e Garreton, del Mapu, e Miguel Enriquez, segretario del Mir, a cui
forniscono informazioni dettagliate sui cospiratori e i loro piani. Ma
l’incontro viene spiato e nelle settimane successive sono incarcerati
segretamente per iniziativa della Marina 400 sottufficiali con l’accusa di “cospirazione
contro le forze armate”. Benché Allende e il governo siano informati
della cosa, nessuno interviene.
Il
“Tancazo”
Il 29 giugno si verifica un primo tentativo di sollevazione
militare, il “tancazo”. Un reparto di blindati del II reggimento di
Santiago penetra nel ministero della difesa e intima la resa alla guardia del
palazzo della Moneda. Il tentativo fallisce per il rapido intervento di forze
“leali” al governo al comando del generale Prats in persona. La situazione
sembra di nuovo sotto controllo del governo. In realtà, come scriverà il
generale Pinochet nelle sue memorie, il tentativo fallito è servito come prova
generale che ha consentito ai futuri golpisti di verificare l’allineamento
delle forze all’interno delle forze armate, di saggiare le capacità difensive
del governo e il suo sostegno popolare, di individuare le forze dei cordones
industriales e della sinistra pronte a reagire.
La reazione popolare è imponente ma le direzioni
maggioritarie operano per ricondurla nel quadro della “legalità”, spargendo
a piene mani illusioni sulla “lealtà democratica” delle forze armate.
Eppure un numero crescente di lavoratori, attraverso i cordones industriales, si
pone il problema della costituzione di una milizia operaia e della preparazione
della resistenza armata al golpe. Ma i cordones non avranno il modo e il
tempo di risolverlo. Per farlo, dovrebbero andare oltre e contro il “loro”
governo, pur continuando a difenderlo contro la destra; dovrebbero prepararsi a
sostituire le direzioni ufficiali, pur agendo con il massimo di unità
d’azione con le masse che ancora ad esse si affidano. Ma affinché i cordones
possano svolgere questo ruolo, sarebbe indispensabile la presenza e la battaglia
egemonica di un partito come quello di Lenin nel 1917 in Russia. Ma questo
partito in Cile non c’è e la strada verso l’ottobre rosso sarà troncata da
un settembre nero.
La
“Ley de control de armas”
Il governo e l’Unidad Popular, invece, sperano di
scongiurare reazioni estreme della classe dominante facendosi carico
direttamente delle sue esigenze, anche repressive. Paradigmatica la storia
della Ley de control de armas (legge sul controllo delle armi), che
sospende l’inviolabilità del domicilio e consente all’esercito
perquisizioni senza mandato alla ricerca di armi. Il progetto di legge,
presentato dal democristiano Carmona nell’ottobre 1972, non avendo ricevuto
il veto del presidente che avrebbe potuto bloccarlo, viene approvato dal
parlamento e diventa esecutivo. Il giornale del Partito socialista attribuisce
il fatto all’“imperdonabile omissione di qualche funzionario”, ma
il funzionario, rintracciato, si difende spiegando che “tanto il presidente
Allende che la maggioranza dei parlamentari dell’Unidad Popular consideravano
positivo il progetto di legge” (49). Di fatto l’esercito utilizzerà
questa legge per scatenare una campagna generalizzata di perquisizioni ed
arresti volta a prevenire e a disorganizzare una possibile resistenza operaia
(50). Solo pochi giorni prima del golpe, il 7 settembre, durante
un’ondata di perquisizioni ai bastioni operai delle fabbriche dell’Area
social, fra cui le fabbriche tessili Sumar e Lanera Austral, l’esercito
procede alla fucilazione di un operaio. Allende non trova di meglio che
convocare i generali per chiedere loro di ordinare ai subalterni di “moderare
il proprio impeto” nel corso delle perquisizioni...
L’ultima
prova di forza
Il 27 luglio comincia un nuovo sciopero dei trasporti che
paralizza il paese. Questa volta, dichiara il capo dei camionisti Leon Villarin,
“lo sciopero avrà termine solo dopo la caduta del governo Allende”.
Ai primi di agosto, un’assemblea degli ufficiali della
guarnigione di Santiago chiede al generale Prats, ministro della difesa, queste
misure immediate: un accordo fra il governo e la DC, l’assegnazione delle
imprese dell’Area social alle forze armate, la messa fuori legge dei
cordones industriales... E’ l’enunciazione del programma dei golpisti nella
forma di una sorta di ultimatum al governo. Avrà come risposta, il 23 agosto,
le dimissioni del generale Prats dai suoi incarichi di ministro della difesa e
di comandante il capo dell’esercito. Sarà sostituito ai vertici delle forze
armate dal generale Augusto Pinochet. E’ palese il significato di questo
cambio: il prevalere ai vertici delle forze armate dei settori golpisti. Con
tutto ciò, Allende e il governo continuano a illudersi e a rassicurare il paese
sulla “lealtà democratica delle forze armate cilene”.
Ai primi di settembre si uniscono allo sciopero dei
camionisti altri settori dei ceti medi: medici, farmacisti, avvocati,
commercianti all’ingrosso e dettaglianti. La stampa borghese è scatenata e
“El Mercurio” arriva a chiedere al presidente di togliersi di mezzo
suicidandosi...
Il 4 settembre, terzo anniversario della vittoria elettorale
di Allende, si svolgono in tutto il paese enormi manifestazioni di massa. Solo a
Santiago scende in strada un milione di lavoratori. E’ una grande prova di
forza, ma questa forza non sarà utilizzata e non troverà una direzione
alternativa che la orienti all’azione. Ancora oggi fa impressione vedere le
fotografie di queste fitte schiere di lavoratori che sfilano armati di...
bastoni, perché il governo si rifiuta di consegnare loro le armi che pure essi
chiedono con crescente insistenza e consapevolezza di ciò che sta maturando.
Il 10 settembre, poche ore prima che il golpe cominci
a Valparaiso, il ministro della difesa di UP, Orlando Letelier, convoca una
conferenza stampa per annunciare che il presidente ha intenzione di annunciare
una “soluzione politica alla crisi” del paese. Si riferisce alla
decisione di Allende di chiedere all’elettorato con un referendum se il
governo può proseguire o deve dimettersi. Allende in verità pensa di non poter
vincere il referendum, la cui convocazione è dunque un modo per uscire di scena
in modo “indolore”, preservando una parvenza di “legalità” ed evitando
(così valuta Allende) la tragedia del colpo di Stato (51). Si tratta, in buona
sostanza, di una dichiarazione di resa di fronte al golpe annunciato. Ma
neppure quest’estrema rinuncia sarà sufficiente a fermare i militari; otterrà
solo il risultato di far anticipare di qualche giorno la data del colpo di Stato
(52).
L’11
settembre 1973
Arriva dunque annunciato, la mattina dell’11 settembre,
l’ultimo atto dell’insurrezione militare in atto da tempo. La Junta
militar, formata dai capi delle diverse forze armate e dei Carabineros e
guidata da Augusto Pinochet, proclama lo stato d’assedio (sarà revocato solo
l’11 marzo 1978), chiude il parlamento e proibisce ogni attività politica.
Assume tutti i poteri concentrando nelle proprie mani il potere esecutivo,
legislativo e costituzionale. Soprattutto
si dedicherà per alcuni anni a dare la caccia agli oppositori e ai
“comunisti” (53). Si tratta in verità di una “guerra” unilaterale
contro la sinistra e il movimento operaio e popolare, un esempio di quel tipo di
intervento che la Dottrina della sicurezza nazionale degli Stati Uniti avrebbe
successivamente definito, con riferimento specifico ai conflitti in Salvador e
Nicaragua negli anni ottanta, “guerra a bassa intensità”.
La dittatura militare durerà fino alla fine degli anni
ottanta e cercherà non solo di sradicare il movimento operaio ma anche di
cambiare in profondità il paese. Riuscendoci. Al punto che a trent’anni di
distanza l’eredità del golpe e della dittatura pesa ancora sulla vita
politica e sul clima sociale del Cile. Forse il primo segno di rottura in questa
interminabile continuità è stato lo sciopero generale che si è svolto lo
scorso 13 agosto, il primo dopo la caduta della dittatura (1990). Ma è a suo
modo significativo della sconfitta storica subita dal movimento operaio che esso
si sia svolto contro un presidente della repubblica, Lagos, che si pretende
“socialista”, governa in coalizione con la DC e attua una politica
liberista...
La
resistenza e la repressione
Purtroppo i dirigenti di UP, prigionieri di una strategia
illusoria, non vogliono vedere la minaccia che sta prendendo forma e finiscono
per consegnare disarmato il movimento operaio cileno ai suoi carnefici. L’11
settembre trova i militanti di Unidad Popular impreparati ad affrontare il golpe
e senza una strategia di riserva. Dispongono, soprattutto la sinistra
socialista, di poche armi leggere, quelle utilizzate per la sicurezza dei
dirigenti e delle sedi, nulla di fronte ai mezzi dispiegati dalle forze armate.
Gli operai di alcune fabbriche e dei cordones industriales della cintura di
Santiago resistono con armi leggere e qualche mitragliatrice per alcuni giorni,
poi sono sopraffatti. Contribuisce alla sconfitta la decisione della Cut di
proclamare lo sciopero generale con occupazione delle fabbriche. Rinchiusi e
isolati i lavoratori nei posti di lavoro, i militari non trovano subito una
adeguata risposta nelle strade e possono successivamente procedere più
facilmente a colpire e a smantellare fabbrica per fabbrica la resistenza di una
classe operaia demoralizzata dalla decapitazione della propria direzione e
dalla mancanza di ogni informazione.
Il Mir dispone di armi leggere e di qualche mitragliatrice,
di un minimo di preparazione e di un embrione di struttura militare clandestina.
Ma la resistenza a un colpo di Stato non si può improvvisare. Così, dopo un
incontro con i dirigenti della sinistra socialista, i suoi dirigenti decidono di
riservare le armi per occasioni migliori e danno l’ordine di seppellirle. Nei
giorni successivi militanti del Mir tentano alcuni assalti a caserme e a
commissariati per recuperare altre armi, ma senza successo. Il Mir è anche
l’unica forza che ha cercato in precedenza di fare un lavoro di penetrazione
nelle forze armate per conquistare elementi di base e provocarne la
disgregazione dall’interno, anche se con risultati ancora limitati; si ha
comunque notizia di tentativi di opposizione interna, in particolare nella
Marina, stroncati dai comandi con decine di fucilazioni.
Ma in sede di bilancio bisogna ammettere che gli episodi di
resistenza armata a Santiago e altrove sono stati episodi isolati e destinati
alla sconfitta. Non si assiste in Cile a nessuna “guerra civile” – come
pretenderà la giunta militare per giustificare la repressione prolungata – ma
solo a una guerra unilaterale delle forze armate, sostenute dalla borghesia e
dall’imperialismo, contro il movimento operaio e la sinistra.
In effetti, la repressione è stata pianificata con cura. La
reazione ha fatto la radiografia delle forze motrici della rivoluzione cilena
distinguendo tre gruppi da colpire: 1) “i motori del marxismo”, ossia
gli attivisti locali, dei cordones industriales, ecc. iscritti o meno ai
partiti, ossia coloro che realmente “muovono il popolo”; 2) “i
dirigenti del marxismo”, ossia i quadri politici dell’UP, intellettuali
e dirigenti studenteschi; 3) “i dirigenti e i funzionari del governo e i
gerarchi dell’UP”. I primi devono essere arrestati e fucilati
immediatamente; quelli del secondo gruppo devono essere “arrestati,
torturati e condannati a pene di lunga durata”; quelli del terzo gruppo
devono essere “detenuti per un certo tempo e poi espulsi dal paese”
(54). Si tratta in buona sostanza di un programma di decapitazione della classe
operaia, una sorta di “genocidio di classe” volto a distruggere la forza
organizzata e la coscienza militante dei lavoratori cileni per decenni. Bisogna
purtroppo aggiungere che la dittatura ha sostanzialmente portato a termine
questo “sporco lavoro” per conto della borghesia cilena e
dell’imperialismo.
Il
prezzo della “via pacifica al socialismo”
Difficile dare cifre precise della repressione. Amnesty
International calcolava alla fine del 1974 una cifra di 15 mila uccisi,
coincidente con quella stimata dai rinchiusi nei campi di concentramento
confrontando le informazioni fornite dai prigionieri provenienti da tutto il
paese. La Commissione cilena per i diritti umani ha fornito in seguito questi
dati: almeno 15 mila assassinati, oltre 2.200 detenuti scomparsi, 155 mila
detenuti in oltre 160 campi di concentramento e 164 mila esiliati. Ecco, in
cifre, il prezzo della “via pacifica” al socialismo. Una via che invece che
al socialismo ha condotto alla facile vittoria di una delle più feroci
controrivoluzioni della storia e a un prezzo di sangue senza precedenti per
l’avanguardia di uno dei movimenti operai più forti fino ad allora in America
latina.
Il realtà, le reboanti promesse sul “poder popular”
e sulla “partecipazione dei lavoratori al potere dello Stato” hanno
nascosto il fatto fondamentale: anche per Allende e l’Unidad Popular, il
popolo e i lavoratori non avevano il diritto di armarsi, un privilegio che la
costituzione vigente dello Stato (borghese), a cui Allende e l’Unidad Popular
si sono sempre attenuti, riservava alla casta militare.
Il
“neoliberismo militare”
I teorici liberali, che hanno celebrato trionfi planetari
dopo il crollo dello stalinismo, pretendono che esista una stretta associazione
fra liberismo economico e democrazia politica, soprattutto che il primo sia una
sorta di “base strutturale” e di “garanzia” della seconda, la quale
sarebbe in pericolo ogni volta che lo Stato si intromette nel “libero”
mercato.
L’esempio cileno è la smentita fattuale più clamorosa
di queste pretese. Esso mette in luce proprio la relazione opposta: il liberismo
economico, per potersi imporre in un paese con un forte movimento operaio,
richiede di sopprimere la democrazia politica e di instaurare uno Stato forte,
meglio ancora una spietata dittatura militare, allo scopo di controllare o
annullare la reazione delle masse sfruttate (55). Così come hanno fatto i
militari al potere in Cile dal 1973 al 1990 che, come è noto, hanno adottato
alcuni economisti della scuola liberista di Milton Friedman come propri
consiglieri economici (i “Chicago boys”). In verità, non sono le idee
astratte ma i concreti rapporti di classe instaurati dalla dittatura che
spiegano i “successi” economici (molto relativi in verità) del neoliberismo
in Cile. Sulla base dell’annichilimento delle organizzazioni dei lavoratori
e della confisca di ogni diritto democratico delle masse, il capitalismo cileno
ha avuto modo di rilanciare il saggio di sfruttamento della forza lavoro, e
dunque dei profitti, a livelli senza precedenti. Lo smantellamento di molte
riforme economiche dei governi precedenti (ma non di tutte: la dittatura ha
conservato la nazionalizzazione del rame; così, per un paradosso della storia,
il rame nazionalizzato dal “comunista” Allende è diventato uno dei pilastri
economici della dittatura... (56)), i ponti d’oro al capitale straniero, le
privatizzazioni in tutti i settori dell’economia, dalla produzione ai
servizi alle assicurazioni sociali, lo smantellamento delle protezioni sociali e
delle organizzazioni sindacali e l’ultraflessibilità del mercato del
lavoro, hanno consentito una radicale ristrutturazione del “modello”
economico cileno (diventato nei decenni successivi un paradigma planetario) e un
rilancio per qualche anno dell’accumulazione del capitale a tassi di crescita
“asiatici” (57). Senza con ciò sopprimere, anzi accentuando notevolmente,
la natura dipendente dell’economia cilena, che ha conosciuto una vera e
propria esplosione dell’indebitamento estero (58) e una accresciuta dipendenza
dagli alti e bassi dei prezzi delle materie prime sul mercato mondiale e dal
sistema monetario e finanziario internazionale.
7. Un bilancio storico e politico ineludibile
In
sede di bilancio storico e politico dell’esperienza di Allende e dell’Unidad
Popular, è necessario andare oltre le parole della propaganda di una parte e
dell’altra e attenersi ai fatti storici e al concreto agire politico dei
soggetti coinvolti. E questi dicono che il governo Allende, fin dalle sue
premesse, non si pose sul terreno della transizione al socialismo, fosse
pure graduale e pacifica. Il suo orizzonte fu dichiaratamente la modernizzazione
delle strutture economico-sociali e la democratizzazione delle strutture
politiche del paese entro il quadro borghese.
Una
politica di “fronte popolare”
Questo passaggio venne presentato a volte come la
precondizione per avviare, in un secondo momento e nel quadro della legalità
vigente, una transizione “pacifica, democratica e pluralista” (Allende)
al socialismo. Ma anche se questo fosse stato il sincero convincimento di
Allende e di una parte dei gruppi dirigenti dell’Unidad Popular, ciò non
contraddice e non contrasta con la qualificazione dell’Unidad Popular come una
variante delle politiche di “fronte popolare”, una formula politica che il
movimento operaio internazionale, egemonizzato dallo stalinismo e dalla
socialdemocrazia, aveva già sperimentato più volte, e sempre con esiti
negativi, se non catastrofici, dalla metà degli anni trenta in poi (59).
Senza dubbio l’azione riformista del governo Allende fu
senz’altro ampia e per certi aspetti radicale quanto quella di nessun altro
governo nel quadro del sistema. Ma questo impegno riformatore si fermò davanti
alla sacralità dello Stato borghese, della sua legalità e delle sue
istituzioni. Allende non mise mai in discussione l’assoluta preminenza delle
istituzioni statali borghesi e arrivò a fare concessioni su concessioni alla
borghesia e ai militari su questo terreno, mentre cercò di frenare
l’iniziativa dei lavoratori che autonomamente cercavano di costruire organismi
di tipo nuovo che potevano rappresentare un “pericoloso” dualismo di poteri.
Le
ragioni del golpe
Tuttavia, né le rassicurazioni verbali, né le garanzie
politiche offerte da Allende furono abbastanza per la borghesia cilena (e per
l’imperialismo nordamericano). La vera colpa di Allende e del governo di
Unidad Popular fu quella di aver provocato in Cile una crisi rivoluzionaria che
rischiava di sfuggire al loro controllo e di aprire le porte a una vera
rivoluzione sociale.
E qui sta il punto: l’11 settembre 1973 i carri armati di
Pinochet non si mossero solo per rimuovere il presidente socialista ma
soprattutto per schiacciare una classe operaia che aveva alzato troppo la testa,
che aveva umiliato la borghesia durante il paro dell’ottobre 1972,
che dimostrava di voler andare oltre i limiti fissati dal governo e di essere in
grado di realizzare trasformazioni politiche e sociali rivoluzionarie. Questo
era intollerabile per la borghesia cilena e per l’imperialismo nordamericano.
La moderazione e la volontà di collaborazione di classe non
bastarono ad Allende per salvare le riforme e la democrazia. Al contrario,
quella politica e la fiducia nella “lealtà democratica” delle forze armate,
contribuirono al disastro: consentirono ai militari e all’imperialismo di
preparare indisturbati la controrivoluzione, consegnarono disarmati – in
senso metaforico e in senso letterale – i lavoratori e il popolo cileno ai
propri massacratori. Prepararono insomma la strada a una delle più grandi
tragedie del movimento operaio in America latina e nel mondo.
Il
fallimento della “via pacifica”
Alla luce di tutto questo, la valutazione da dare
dell’esperienza di Allende e dell’Unidad Popular è chiara: si è trattato
non tanto e non solo di una drammatica sconfitta, quanto e soprattutto del
tragico fallimento di una strategia politica. Allende e l’Unidad Popular
avevano promesso di trasformare il paese attraverso una via pacifica e
democratica, anche se più lunga e graduale. In questo senso l’Unidad Popular
cilena fu effettivamente la prova del nove del riformismo. Questa prova è
fallita.
Eppure le masse cilene avevano dimostrato di avere le forze,
la volontà e la determinazione per un altro sbocco. Stavano cercando,
confusamente, di costruire un altro potere, erano pronte a molti sacrifici per
difendere i cambiamenti che il governo aveva varato e per altri ancora più
radicali. Solo pochi giorni prima del golpe un milione di lavoratori era
sceso in piazza a Santiago e altre centinaia di migliaia in tutto il paese, e
molti chiedevano al “proprio” governo le armi per difendersi. Ma non furono
ascoltati.
Una rivoluzione che si ferma a metà strada si scava la fossa
con le proprie mani. Questo è l’insegnamento della tragedia cilena. Ma per
condurre una rivoluzione fino in fondo non basta l’azione spontanea delle
masse. Occorre che essa sia coordinata, unificata, resa consapevole ed efficace
da una strategia e dunque da una direzione politica che non la voglia frenare o
deviare ma guidare, stimolare, portare a compimento. In altre parole, non ci può
essere una rivoluzione vittoriosa senza un partito rivoluzionario radicato nelle
masse, sperimentato, capace di conquistare la maggioranza dei lavoratori alla
prospettiva della conquista del potere.
Questo
è mancato in Cile trent’anni fa. Ma questa non è una lezione che riguarda
solo il Cile. E’ un insegnamento di cui occorre facciano tesoro tutti coloro
che si propongono di cambiare il mondo. Perché un mondo diverso sia davvero
possibile.
Note
(1) Su questo aspetto si veda l’articolo di Marco Ferrando
in questo stesso numero della rivista.
(2) “Alleanza per il progresso” si autodenominò la
politica riformista promossa da Kennedy in America latina, con cui gli Usa
cercarono di neutralizzare l’influsso della rivoluzione cubana sulle masse
popolari del continente modernizzando gli assetti sociali e allargando le
basi sociali del potere.
(3) Prima di sostenere Allende, il PC aveva proposto alla DC
di sostenere un comune candidato indipendente e vi aveva rinunciato solo
dopo il rifiuto di quest’ultima (Luis Vitale, Interpretacion marxista de la
Historia de Chile, vedi bibliositografia).
(4) Nelle sue Memorie Kissinger ricorda che a Frei
furono concessi 40 milioni di dollari nel 1969 e 70 milioni nel 1970.
(5) Le condizioni d’acquisto delle azioni dell’Anaconda
sono più che favorevoli per la multinazionale. Esse pevedono che il prezzo del
51% delle azioni sia calcolato comprendendo il valore dei giacimenti (cioè del
sottosuolo cileno) e un rendimento particolarmente elevato; che
l’indennizzo sia versato in 12 anni; che per il restante 49% delle azioni, da
acquisire a partire dal 31 dicembre 1973, sia pagato un prezzo tre volte
superiore a quello del 51% iniziale. A queste condizioni le compagnie americane
avrebbero ottenuti in pochi anni 4.500 milioni di dollari di utili, ossia 1.000
milioni di dollari in più di quelli che avevano ricavato nel precedente mezzo
secolo di sfruttamento! (Luis Vitale, op. cit.).
(6) “In sintesi, questa riforma agraria, sostenuta
dall’Alleanza per il progresso, fu importante per il processo sociale che aprì
nelle campagne, ma limitata circa le trasformazioni radicali della struttura
agraria. In ultima analisi la distribuzione delle terre incolte aveva lo scopo
di promuovere lo sviluppo del capitalismo agrario e di accrescere la produzione
agropastorale, nel tentativo di ampliare il mercato interno per l’industria
dei beni di consumo, nonché di canalizzare l’ascesa del movimento contadino
creando una sorta di ammortizzatore sociale mediante i piccoli proprietari beneficiati
dalla distribuzione delle terre.” (Luis Vitale, op. cit.).
(7) Mentre il 50% dei proprietari possiede meno di 5 ettari pro
capite e complessivamente meno dell’1% delle terre, meno del 2% dei
proprietari, possiede fondi superiori ai 1.000 ettari e detiene complessivamente
il 72% dei terreni coltivabili (Luis Vitale, op. cit.).
(8) Alla fine del 1969 hanno avuto la terra solo 17.400
famiglie, su un totale di circa 100.000 che il governo si è ripromesso di
soddisfare; sono state espropriate poco più del 10% delle superfici e il
latifondo resta largamente dominante (Luis Vitale, op. cit.).
(9) Da 24 sindacati con 1658 affiliati nel 1964 a 394
sindacati con 103.644 associati nel 1969.
(10) Si passa da 723 scioperi nel 1965 a 1.142 nel 1967 a
1.939 nel 1969 (con 230.725 lavorati coinvolti) a 5.295 nel 1970 (con 316.280
lavoratori partecipanti).
(11) Non mancarono gli episodi sanguinosi, come gli 8 morti
della repressione dei minatori di El Salvador del marzo 1966, o gli 11 uccisi
fra i pobladores di Puerto Montt nel 1969, o l’utilizzo su larga scala
dell’esercito contro scioperi o proteste contadine, come nel novembre del
1967.
(12) Nel giugno 1967 gli studenti occupano a Valparaiso
l’Università cattolica; il movimento si estende a Concepcion e a Santiago,
dove nell’agosto del 1968 studenti del Movimiento Iglesia Joven occupano la
cattedrale chiedendo una maggiore attenzione da parte della chiesa per i poveri
e gli oppressi.
(13) Un opuscolo della destra descrive Frei come “il
Kerensky cileno” (Luis Vitale, op. cit.).
(14) “Non vedo perché dobbiamo starcene qui a vedere
come un paese diventa comunista per colpa dell’irresponsabilità del suo
popolo”, dichiara il 27 giugno ‘70 il segretario di Stato Henry
Kissinger a una commissione speciale del Consiglio nazionale per la sicurezza
degli Stati Uniti.
(15) Sul Mir si veda l’articolo dedicato ad esso in questo
stesso numero di “Mr”.
(16) Sulla storia e la politica del PC cileno si può
vedere Nicolás Miranda, Historia marxista del Partido Comunista de Chile
(1922-1973), al sito www.clasecontraclase.cl.
(17) Quest’ultimo diventerà ministro della giustizia nel
governo Allende, salvo passare dalla parte della controrivoluzione progolpista
nell’ottobre 1972.
(18) Lo si può leggere e scaricare alla pagina:
http://www.salvador-allende.cl/Textos/Documentos/programa.htm.
(19) Il programma dell’UP prevedeva la nazionalizzazione
(con indennizzo) delle risorse minerarie in mani straniere e dei settori
strategici per lo sviluppo del paese: le miniere di rame, salnitro, ferro e
carbone; le banche e le assicurazioni; il commercio estero; le grandi imprese
e i monopoli della distribuzione; i monopoli industriali in settori come la
produzione e la distribuzione dell’energia elettrica; i trasporti ferroviari,
aerei e marittimi; le comunicazioni; la produzione e la raffinazione del
petrolio e dei suoi derivati; la chimica pesante e la petrolchimica; la
siderurgia, le industrie del cemento, della cellulosa e della carta; tutte
queste imprese avrebbero dovuto confluire nell’Area de Propietad Social
(Aps) che sarebbe diventata il cuore del sistema di pianificazione economica
nazionale. Si prevedeva inoltre, accanto all’Aps e al settore privato, la
creazione di un terzo settore denominato Area mixta, costituito da
imprese con capitali privati e pubblici.
(20) La formula “Stato popolare”, che allude a
istituzioni neutrali al di sopra delle classi, è di per sé una negazione del
marxismo, come sa chiunque abbia letto gli scritti di Marx e di Engels, in
particolare le “critiche” ai programmi socialdemocratici di Gotha e di
Erfurt, o di Lenin, in particolare Stato e rivoluzione; si tratta in
ultima analisi di una formula mistificante e irrealistica, che ipotizza la
possibilità di piegare le istituzioni “realmente esistenti”, cioè
borghesi, a fini opposti a quelli per cui esse esistono e agiscono (la tutela e
la conservazione del dominio della classe dominante); un’ipotesi che proprio
la vicenda cilena ha dimostrato tragicamente illusoria.
(21) Tutto il discorso del poder popular, già confuso nelle
premesse teoriche e nelle formulazioni, non avrà comunque seguito se non
nella propaganda. Sarà accantonato ancor prima dell’insediamento di Allende,
durante la trattativa con la DC per l’Estatudo de garancias.
I 20 mila comitati di Unidad Popular nati in tutto il paese durante la
campagna elettorale vengono sciolti tre settimane dopo le elezioni,
come segno di buona volontà, accogliendo una precisa richiesta in tal senso
della DC. Quando nell’aprile del 1971 l’Unidad Popular ottiene la
maggioranza assoluta nelle elezioni amministrative, i suoi dirigenti si guardano
bene dal convocare il referendum che dovrebbe istituzionalizzare il poder
popular. Sono queste scelte concrete, più che la carta scritta, a chiarire la
vera ispirazione dell’UP: la volontà di preservare il quadro statale
esistente come terreno d’intesa con la classe dominante. In questo senso, la
strategia dell’Unidad Popular non è che una variante delle politiche di
“fronte popolare”. Anche se non tutte le sue componenti concordavano con
questa qualificazione, essa era invece pienamente accolta dal PC, che ne era
l’ispiratore e che si muoveva dentro agli schemi dello stalinismo; non a
caso, il PC aveva cercato e cercherà costantemente di allargare l’accordo
alla stessa DC.
(22) Salvador Allende Gossens ha allora 61 anni, proviene da
una famiglia alto borghese di Valparaiso di tradizioni progressiste e
massoniche, è medico ed è stato nel 1933 tra i fondatori del Partito
socialista. Dal 1939 al 1942 è stato ministro della sanità nel governo di
fronte popolare del radicale Aguirre Cerda. Nel 1945 è stato eletto senatore.
Il profilo politico di Allende è quello di un socialista vecchio stampo che
si è sempre battuto per l’unità con il PC. Professa una fede incondizionata
nella prospettiva della trasformazione socialista del Cile per via pacifica,
gradualista e parlamentare, nel pieno rispetto della legalità costituzionale, e
fino all’ultimo si illuderà sull’esistenza di una analoga lealtà nei
vertici delle Forze armate cilene.
(23) Vale la pena di ricordare che il PC avrebbe voluto
cercare un accordo fra l’UP e la DC su un candidato indipendente. Anni dopo,
lo stesso Carlos Altamirano, all’epoca dirigente della sinistra socialista,
dichiarerà che la sinistra arebbe dovuto cercare un accordo programmatico con
la DC e sostenere Tomic (Luis Vitale, op. cit.).
(24) Salvador Allende ottiene il 36,3% (1.075.616 voti),
contro il 35,0% di Alessandri (1.036.000 voti) e il 27,8% di Tomic (824.849
voti). Allende vince nettamente nel voto maschile (in Cile uomini e donne votano
separatamente), in quello femminile prevale Alessandri mentre i suffragi per
Tomic sono quasi pari a quelli per Allende. Il candidato socialista trionfa nel
Nord, a Concepcion, secondo centro industriale del paese, nelle aree a forte
concentrazione operaia e di lavoratori delle miniere; Alessandri prevale invece
a Santiago e nel Sud rurale; Tomic vince a Valparaiso e ottiene i migliori
risultati nelle circoscrizioni a forte presenza contadina ma anche in alcune
zone operaie (Luis Vitale, op. cit., e Luis Vitale, Y despes 4, ¿que?).
(25) Il quadro parlamentare condizionerà in seguito
l’azione di Allende come presidente. Pur essendo il Cile una repubblica
presidenziale e avendo il predecessore di Allende, Eduardo Frei, rafforzato i
poteri presidenziali, il parlamento manteneva la facoltà di sconfessare i
progetti di legge del governo e di ricusare il capo dello Stato e i suoi
ministri; fuori dal controllo del presidente restava anche la Contraleria
Generale de la Republica, che aveva la supervisione sugli atti
amministrativi dell’esecutivo e della magistratura. Alla luce di questi
vincoli politico-istituzionali (e di quelli introdotti successivamente con lo
Statuto delle garanzie preteso dalla DC) risulta ancora più utopistica la
convinzione di Allende e dell’UP circa la centralità della presidenza della
repubblica e delle istituzioni statali come leve di un processo di
trasformazione sociale.
(26) Anche Alessandri si esprime in modo analogo fin dal
primo momento in cui sono resi noti i risultati elettorali (Luis Vitale, op.
cit.).
(27) Sono molto significative le parole usate dal generale
Schneider in un vertice delle Forze armate per spiegare perché il Congresso
deve ratificare l’elezione di Allende: “Le Forze armate non possono
impedire adesso... i cambiamenti. Una parte molto importante dei cileni non è
disposta a farsi sottrarre un trionfo elettorale che pensa potrà cambiare la
sua vita... Il signor Allende ci ha dato assicurazione che si atterrà alla
Costituzione e alle leggi... Il senatore mi ha detto personalmente un’altra
cosa su cui sono d’accordo con lui: in questo momento un governo come quello
di Allende è l’unico tipo di governo che può impedire che scoppi
un’insurrezione popolare violenta... Le Forze armate, che sono la garanzia che
questa società continui ad essere occidentale e cristiana, devono aspettare e
vedere quello che accadrà. Il futuro ci dirà se dovremo intervenire per
rimettere le cose a posto o se il signor Allende manterrà il suo impegno di
calmare l’inquietudine popolare e di impedire l’insurrezione dei non
possidenti.” (in Luis Vega, La Caída de Allende, citato da M.
Novello, art. cit.).
(28) Non così i mandanti... Il diretto coinvolgimento
della Cia, in questo e in successive azioni di terrorismo o di provocazione, è
stato ormai ampiamente provato, oltre che da diverse inchieste giornalistiche,
anche dalla pubblicazione di tutta una serie di atti ufficiali del governo
americano desecretati dopo il ‘98. In proposito vedere il sito www.gwu.edu/~nsarchiv/NSAEBB/NSAEBB8/nsaebb8i.htm.
(29) “Il condizionamento a cui si era sottomesso lo
schieramento di maggioranza relativa conteneva un punto di estrema gravità per
il futuro del paese: il concetto di “autonomia” delle Forze armate, che
non si trova nella Costituzione del 1833 né nella Costituzione del 1925 in
vigore. Questa esigenza venne così motivata dalle massime autorità della
DC: “Ci interessa che le Forze armate e il corpo dei Carabineros continuino ad
essere una garanzia della nostra convivenza democratica. Ciò esige che si
rispettino le strutture e le gerarchie delle Forze armate e del corpo dei
Carabineros, i sistemi di selezione, i requisiti e le norme disciplinari
vigenti, che si assicurino ad esse una equipaggiamento adeguato alla loro
missione di vegliare sulla sicurezza nazionale, che non si utilizzino i
compiti di partecipazione che si esigono da esse per lo sviluppo nazionale per
farle deviare dalle loro funzioni specifiche e che non si compromettano i loro
bilanci”. Questo punto... fu presentato sotto forma di riforma
costituzionale e approvato il 22 ottobre 1970... Questa fu la
giustificazione che si utilizzò per effettuare il colpo di Stato militare
contro il governo Allende.”
(Luis Vitale, op. cit.).
(30) Il lettore può fare facilmente il confronto con il
primo anno della presidenza Lula in Brasile: tale confronto è tutto a favore
di Allende. Ciò illustra la differenza abissale che passa fra un governo
effettivamente riformatore, quale fu certamente, all’inizio, quello di Allende,
e un governo neoliberale, cioè nei fatti controriformatore, quale è quello
di Lula.
(31) Durante il periodo dell’Unidad Popular i salari reali
aumentarono complessivamente in misura superiore al 50%.
(32) La portata di questo “sconto” è in verità senza
proporzione con gli utili effettivamente realizzati dalle multinazionali; solo i
profitti esportati dal 1952 al 1970 ammontano a qualcosa come 16 miliardi di
dollari, la riduzione degli indennizzi non arriva in tutto al miliardo...
(33) Queste 202 imprese manifatturiere rappresentavano solo
il 3% del totale, ma occupavano 116 mila lavoratori, pari al 20% della
manodopera industriale.
(34) Si consideri anche che le terre espropriate e
distribuite erano in generale quelle meno produttive e mancavano di macchine e
infrastrutture; in molti casi, poi, per sfuggire all’esproprio, gli
allevatori ricorrevano all’abbattimento delle mandrie o al loro espatrio
clandestino in Argentina. Con tutto ciò, in un documento del 1980 della
Banca mondiale si dice che la riforma agraria cilena cominciò a dare i suoi
frutti dalla stagione 1973-74; lo stesso documento osserva inoltre che, “anche
nei momenti più turbolenti, la riforma fu realizzata con una ammirevole assenza
di violenza e di distruzioni di beni.” (citato da J. Cademartori, vedi
bibliositografia).
(35) Su tutto ciò si veda anche quanto già pubblicato
nello speciale Cile su “Progetto comunista” dell’ottobre 2003.
(36) Fra il novembre del 1970 e l’agosto del 1971 il
governo Allende pagò per indennizzi 400 milioni di dollari alle banche, 576
milioni alle multinazionali del ferro e del salnitro, 320 milioni ai latifondisti,
600 milioni per le imprese acquisite all’area sociale, e 8.830 milioni alle
multinazionali statunitensi Anaconda e Kennecott, già proprietarie delle
miniere di rame.
(37) In un anno le riserve valutarie passarono da 343 a 32
milioni di dollari; i crediti esteri passarono da 300 milioni all’anno
dell’era Frei a meno di 30; le importazioni di macchinari industriali caddero
del 22%, la fuga dei capitali superò gli 87 milioni di dollari...
(38) Il costo della vita aumentò del 78% nel 1972 e del 188%
nei primi 9 mesi del 1973. Per un confronto si consideri comunque che la
liberalizzazione dei prezzi subito attuata dalla dittatura fece esplodere
l’inflazione nel dicembre 1973 al 1100%!
(39) Ciò ha spinto molti a parlare, non del tutto a
sproposito, di pericolo del fascismo in Cile, per analogia con quanto è
accaduto negli anni venti in Italia e trenta in Germania. Ci si può chiedere se
una dinamica di questo tipo sia inevitabile, soprattutto nei suoi sbocchi
ultimi: la contrapposizione della piccola borghesia al proletariato fino al
punto di sostenere un regime di violenza terroristica antioperaia a tutto
vantaggio del grande capitale. La risposta è “no”. Analizzando
l’ascesa del fascismo negli anni trenta, Trotsky ha messo in luce come, nel
quadro di una crisi rivoluzionaria, i vari settori della piccola borghesia sono
molto incerti sulla posizione da assumere e tendono a schierarsi con la parte
che dà l’impressione di poter prevalere. Ciò significa che una politica
decisa delle forze proletarie ha la possibilità di conquistare a una ipotesi
rivoluzionaria anticapitalistica strati decisivi dei settori intermedi della
società. Per altro, la stessa vicenda cilena conferma la validità di questa
analisi: in un primo tempo ampi settori piccolo borghesi guardarono con simpatia
al governo di sinistra, come mostrano gli stessi risultati elettorali;
successivamente, una parte di questi (minoritaria, comunque) si passivizzò, o
passò con la destra di fronte ai dietrofront e alla paralisi del governo
dell’Unidad Popular. Va detto anche che nella situazione cilena molte mobilitazioni
della piccola borghesia erano incoraggiate e direttamente organizzate e
finanziate dalla borghesia e dall’imperialismo tramite i mass media e i
molteplici canali attivati dalla Cia.
(40) Mike Gonzales, Revolutionary Rehearsals, citato
da M. Novello, vedere la bibliositografia.
(41) Secondo dati riferiti nel sito internet del Partito
comunista cileno (www.pcchile.cl), delle 35 mila fabbriche e officine del
paese solo una ventina sono completamente paralizzate; dei 5 mila asentamientos
agricoli se ne fermano meno di un centinaio.
(42) In Luis Vega, La caída de Allende; citato in M.
Novello, op. cit.].
(43) Ai dirigenti dell’Unidad Popular, euforici per
la “vittoria” sullo sciopero dei camionisti, un militare in pensione dà
questo avvertimento: “Vi sbagliate, è stato il popolo a vincere, non
voi... Ma ci sarà un nuovo sciopero come questo, e non lo vincerà il
popolo; prima sarà intimorito e disorganizzato. E quello sciopero sarà
l’ultimo...”.
(44) Documento citato da M. Novello, op. cit.).
(45) Michel Silva, Los cordones industriales y el
socialismo desde abajo; riferito da Nicolás Miranda, Los cordones
industriales, la revolución chilena y el frentepopulismo, in “Estrategia
Internacional”, n. 16.
(46) Settori avanzati si stavano incamminando su questa
strada. Ecco l’appello lanciato del cordon Cerrillos: “La Direzione del
cordon Cerrillos chiama i lavoratori di Santiago a costituire subito un
coordinamento organico:
“1) invitiamo tutti i lavoratori a costituire le
proprie Direzioni o Coordinamenti industriali di cordones, l’unico modo per la
classe operaia per disporre di uno strumento d’azione efficace, capace di
mobilitarla e di farle assumere nuovi compiti. Non ci attendiamo una risposta
ai nostri problemi dall’attuale direzione della Cut, dal momento che ci ha
dimostrato di essere estranea alle reali aspirazioni della classe operaia in
questo momento;
“2) invitiamo le direzioni dei cordones industriales di
Santiago a costruire al più presto il comando provincial (direzione
provinciale) dei cordones industriales;
“3) invitiamo tutti i lavoratori del Paese a costruire i
propri comandos provinciales dei lavoratori, per giungere rapidamente a costituire
il coordinamento nazionale di questi comandos provinciales.” (Miguel
Silvia, Los cordones industriales y el socialismo desde abajo).
(47) Intanto a marzo, nelle elezioni per il rinnovo del
Congresso, l’opposizione borghese, che si era presentata unita nella lista Confederacion
Democratica e contava di conquistare più dei due terzi dei seggi, cosa che
le avrebbe consentito di destituire il presidente per vie legali, incassa un
altro scacco: l’Unidad Popular ottiene il 44% dei voti, la più alta
percentuale mai riportata dalla sinistra in Cile in un’elezione politica.
E’ probabilmente in questo momento che l’imperialismo e la destra
cominciano il conto alla rovescia del colpo di Stato militare.
(48) Un episodio sintomatico: il generale Prats viene
fischiato nel corso di un incontro con gli ufficiali della regione di
Santiago.
(49) In Luis Vega, op cit.; riferito da M. Novello, op.
cit.
(50) Nell’agosto del 1977, in occasione del suo primo
comitato centrale dopo l’instaurazione della dittatura, il PC cileno si
“autocriticò” per la “mancanza di una sicura politica militare”
nel corso dell’UP; ma il riferimento non è alla mancanza di una politica
per disarticolare dal basso e dall’interno le forze armate della borghesia, ma
alla mancanza di un’iniziativa per ingraziarsi i vertici delle stesse...
(51) Questa interpretazione dell’estrema mossa di Allende
viene oggi confermata dall’allora segretario del PC cileno Luis Corvalan.
Si veda l’intervista al “Corriere della sera” del 9
settembre 2003.
(52) I primi a essere messi al corrente delle intenzioni di
Allende furono gli stessi golpisti, dal momento che il presidente aveva informato
Pinochet della sua decisione già il 9 mattina. Questo dettaglio
apparentemente di scarsa importanza conferma che l’obiettivo del golpe non
era tanto rimuovere Allende quanto stroncare la rivoluzione.
(53) Dieci mesi dopo, ecco cosa dice il ministro degli
interni della giunta militare (“El Mercurio” del 16 luglio 1974): “Nel
paese esiste un governo militare e una situazione di stato d’assedio e di
guerra interna.” (Luis Vitale, cit. op.).
(54) J. Garcés e Saul Landau, Orlando Letelier:
Testimonio y Vindicación (citato da M. Novello, op. cit.).
(55) Con riferimento al regime di Pinochet molti hanno
utilizzato correntemente la categoria di “fascismo” ma, al di là di molte
affinità nei metodi di esercizio della repressione, si tratta di una
assimilazione impropria, politicamente fuorviante. In realtà la giunta
militare cilena non ha mai cercato di creare un vero e proprio movimento
politico o un partito di massa ideologicamente definito attorno a sé. Ha
ovviamente ricevuto il sostegno delle forze fasciste cilene, molto attive contro
l’UP, ma complessivamente secondarie nel quadro del dominio militare.
Soprattutto, è stata spinta a prendere il potere e ha esercitato per alcuni
anni una dittatura feroce e totalitaria dalla borghesia cilena e
dall’imperialismo nordamericano, non da un movimento di massa reazionario
della piccola borghesia. Viceversa, la creazione di un movimento di questo tipo
è stata per certi aspetti sollecitata e utilizzata come alibi per giustificare
l’assunzione del potere da parte dei militari.
(56) Le entrate statali del rame nazionalizzato ammontarono a
20 miliardi di dollari nel decennio 1974-84!
(57) Il prezzo sociale di questi “successi” è stato
ovviamente meno pubblicizzato: in realtà il Cile ha conosciuto inizialmente
alcuni anni di iperinflazione e recessione (1974-76), una caduta del 50% dei
salari reali e una disoccupazione superiore al 20% della forza lavoro fino
alla metà degli anni ottanta; le ricette liberiste hanno inoltre prodotto
un gran numero di fallimenti fra i piccoli produttori e i contadini, la
formazione di un ampio settore informale e di un esteso esercito di lavoratori
precari, soprattutto donne, nelle città e nelle campagne...
(58) Da 4 miliardi di dollari nel ’73 a 15 miliardi di
dollari nel ’85.
(59) Allende, in una famosa intervista concessa a Regis
Debray nel dicembre del 1970, negava che l’Unidad Popular fosse un fronte
popolare, con l’argomento che non subiva l’egemonia di un partito
borghese (come l’alleanza degli anni trenta) ma vi dominava l’egemonia
dei partiti operai e il suo fine era il socialismo (Regis Debray, La via
cilena, Feltrinelli, Milano 1971, pp. 79-80 e 117-119). Pur negando che
l’UP mirasse al socialismo, anche Luis Vitale afferma (nel 1995) che l’Unidad
Popular non fu un fronte popolare perché essa era egemonizzata dai partiti
di sinistra e il partito radicale vi aveva un ruolo marginale (Luis Vitale, op.
cit.). Ma la natura di fronte popolare non dipende dal ruolo che in una
coalizione gioca effettivamente un partito o un settore della borghesia
ma dal fatto che le direzioni operaie ricerchino con essi un accordo di fatto,
limitando al quadro borghese la portata della propria azione. Su questo
punto Trotsky ha messo in luce già negli anni trenta che, di fronte
all’ascesa delle masse e alla “fuga” della borghesia dal fronte popolare
che ne segue, i gruppi dirigenti riformisti sono disposti a cercare un accordo e
ad allearsi persino “con l’ombra della borghesia”, ossia con
partiti borghesi di secondo piano (tale era il Partito radicale in Cile alla
fine degli anni sessanta), pur di non sconfessare una politica che è, per
l’essenziale, volta a mantenere entro il quadro dello Stato borghese
l’azione del movimento operaio in un contesto di radicalizzazione delle masse.
L’egemonia dei partiti di sinistra nel fronte popolare cileno non cambia la
sostanza delle cose. D’altro canto, si può immaginare una dimostrazione più
chiara e definitiva della natura di fronte popolare del governo di UP della
sua ricerca, spasmodica dalla metà del 1972, di un accordo con la DC, o il
coinvolgimento nel governo addirittura dei vertici delle forze armate? Chi
rappresentavano e per conto di chi agivano i generali e gli ammiragli, se
non della classe dominante?