Una lettera di due compagni che al V congresso sostennero il documento di maggioranza
PERCHE' ADERIAMO ALL'APPELLO DI PROGETTO COMUNISTA
di Massimo Busnelli (Direttivo nazionale Filcem Cgil) e William Sanna (Coordinatore GC Cagliari)
Nel V Congresso del Partito
abbiamo condiviso, almeno nei suoi assi fondamentali, l’impostazione del
documento di maggioranza: la rottura con Prodi come svolta a sinistra e momento
costituente della rifondazione, come riconoscimento della necessità di
“rompere la gabbia del centrosinistra”, come scelta di collocazione dentro e
a fianco dei movimenti sviluppatisi nel paese dal luglio 2001, infine come
decisione di costruire nel Partito nuove forme di democrazia rispetto alle
scelte cui eravamo chiamati.
In questo senso abbiamo
vissuto con entusiasmo la battaglia contro il governo Berlusconi, prima dentro
le grandi manifestazioni sindacali, poi dentro l’offensiva lanciata dal Prc
col referendum sull’articolo 18. Ci siamo sentiti orgogliosi di appartenere ad
un partito che, da Scanzano agli autoferrotranvieri, dalla vertenza Alitalia a
Melfi alle grandi manifestazioni contro l’invasione dell’Iraq è stato
l’unico a schierarsi apertamente dalla parte di coloro che reclamavano
diritti. Proprio per questi motivi ci ha colto lo sgomento di fronte al rilancio
di un’alleanza, non semplicemente elettorale ma politica e di governo, con
quel centrosinistra che pensavamo di dover “rompere” a particolare dalle sue
contraddizioni. E tanto più per le motivazioni addotte a sostegno di
quell’ipotesi.
Come è possibile aver
sostenuto, a poche settimane dallo svolgimento dal referendum sull’articolo
18, che il complesso del centrosinistra era stato cambiato dal “vento dei
movimenti”? Quel referendum – è un fatto – ci ha visto scontrarci con un
arco di forze che andava da Berlusconi a Confindustria fino ad arrivare a
Margherita e maggioranza Ds. E’ stato giusto costruire iniziative unitarie di
tutte le opposizioni contro l’attacco scagliato dal Governo alle pensioni, ma
è possibile dimenticare che il centrosinistra all’interno di quelle
iniziative rivendicava la controriforma Dini, contro cui il Prc si mobilitò con
decisione e che ci costò anche una prima dolorosa scissione? Come possiamo non
notare uno scivolamento inquietante dalle mobilitazioni contro la guerra in Iraq
e per il ritiro delle truppe “senza se e senza ma” alla rivendicazione della
sostituzione di quelle truppe con un contingente sotto l’egida dell’Onu, il
che significherebbe in pratica il mantenimento e l’integrazione di quelle
forze semplicemente sotto una diversa insegna? E come è possibile non vedere in
ciò una contraddizione materiale con quei movimenti che in questi anni hanno
lottato con noi a difesa dei diritti del lavoro, del diritto alla pace, contro
le politiche neoliberiste sostenute da Berlusconi come da Rutelli e D’Alema (i
quali giustappunto ci spiegano che tali politiche non vanno cancellate ma
“emendate”)? Come si coniuga l’iniziativa contro la nuova costituzione
europea e il sostegno all’uscente presidente della Ue Prodi? Come si concilia
la lotta contro il governo Berlusconi col dialogo bipartisan
per la liberazione delle due Simone, tanto più quando questo, invece che dare
maggiore forza alla richiesta del ritiro immediato delle truppe, ci porta ad una
sua più o meno temporanea “sospensione”? E infine come si costruiscono
nuove e partecipate forme di democrazia nel Partito quando ci troviamo ad
apprendere dai giornali, e spesso prima da quelli di Agnelli o di Berlusconi che
da Liberazione, decisioni che nel
Partito non sono state democraticamente discusse? Apprendere che il Prc si
apprestava a costituire la Sinistra Europea senza che si fosse discusso non
soltanto sul se ma sul come, leggere interviste in cui il nostro segretario
accetta di sottoporre la richiesta del ritiro delle truppe a una “verifica
democratica” nel popolo della sinistra, rigetta la definizione di resistenza
irachena, annuncia che negli Usa voterebbe per Kerry, venire a sapere che
entriamo nella Gad, tra l’altro annunciando 14 accordi elettorali regionali a
prescindere dalle decisioni degli organismi locali del Partito, tutto ciò muta
l’imbarazzo in un vero e proprio dissenso.
Tanto più che tutto questo
ci precipita in una situazione paradossale. Al rifiuto della violenza per
principio si accompagna la dichiarazione di voto per un Kerry che vanta
decorazioni militari ottenute sparando nella schiena ad un vietnamita in fuga.
Bush ha dichiarato che anche lui reagirebbe all’invasione del proprio paese
impugnando le armi, riconoscendo quindi che non tutto ciò che si nuove in Iraq
è “terrorismo”, ma Bertinotti ha sostenuto ad agosto che non esiste una
resistenza irachena, salvo poi chiedere insieme al governo di destra della
Francia una conferenza di pace aperta alle organizzazioni di quella resistenza.
Le domande che abbiamo posto
meritano una risposta che, francamente, non riusciamo a trovare negli affannosi
tentativi di giustificazione o di minimizzazione, nell’accampare motivi
“tattici” da parte del segretario nazionale. Ma non riusciamo a trovarle
neanche nei distinguo formulati da quei compagni che affrontano il problema dei
rapporti col centrosinistra nei termini di un confronto più radicale o di una
maggiore vicinanza alle istanze dei movimenti. Il problema va affrontato a
partire da una proposta lanciata in primo luogo a quei 10 milioni e mezzo di
italiani che hanno votato sì all’estensione dell’articolo 18, non chiedendo
loro di riconfluire all’interno di un quadro di confronto per esercitare una
pressione, dall’interno o dall’esterno, ma per costruire una prospettiva
nuova e alternativa. E’ per questo che aderiremo alla proposta congressuale
avanzata dai compagni di Progetto Comunista, al di là delle vecchie divisioni
di mozione, per la costruzione di un polo anticapitalistico che sappia
rispondere alla necessità di cacciare Berlusconi, anche attraverso
un’adeguata tattica elettorale, ma allo stesso tempo alla necessità di
cancellare le politiche neoliberiste, cioè preservando nel paese
l’opposizione dei comunisti a tali politiche, anche quando a portarle avanti
troveremo un uomo di nome Romano Prodi.