Solidarietà alla resistenza
Contro il colonialismo russo.
Per la vittoria del popolo ceceno
Per una Cecenia
indipendente e socialista in una Federazione Socialista dei popoli del Caucaso
“Con il loro esempio
possono ispirare uno spirito di ribellione e l’amore per la libertà persino
tra i più fedeli sudditi dell’impero.” Per questo lo scrivente non
“avrebbe trovato pace fino a che fosse rimasto in vita un solo ceceno”. Così
si rivolgeva allo Zar Alessandro I il generale Ermolov, che per suo conto
diresse le truppe russe nella guerra contro i ceceni dal 1816 al 1825 . A
dimostrazione che la retorica sulle “guerre umanitarie” e sulla necessità
della “guerra al terrorismo” non sono merce nuova
Ermolov aggiungeva: “La bontà agli occhi degli asiatici è un segno di
debolezza e sono estremamente severo solo per motivi umanitari. Una sola
esecuzione salva centinaia di russi dall’annientamento e migliaia di
mussulmani dal tradimento.”
E’ dal seicento che la
Russia zarista ha iniziato a inserirsi nel Caucaso, entrando in lotta con i vari
piccoli popoli delle montagne, tra cui in primo luogo i ceceni, che furono i più
accaniti nella resistenza. . In questo lotta l’elemento del rafforzamento del
carattere “islamico” dell’ideologia e dell’organizzazione politico,
sociale, giuridica della resistenza dei ceceni fu uno strumento importante anche
per superare o almeno limitare, la tradizionale organizzazione tribale della
società.
La
risposta dei russi alla lotta dei ceceni
fu la peggiore violenza, i massacri, gli stupri e il consolidamento di un
oppressivo regime coloniale (che si differenziava da quello delle altre potenze
europee solo perché avveniva ai confini del proprio territorio).
La politica dei bolscevichi
La rivoluzione del 1917 parlò
finalmente un nuovo linguaggio ai popoli del Caucaso. Un appello firmato da
Lenin in quanto presidente del consiglio dei commissari del popolo e da Stalin
come commissario alle nazionalità proclamava. “Mussulmani di Russia…,ceceni
e popoli delle montagne del Caucaso, e tutti voi ai quali sono state distrutte
moschee e luoghi di preghiera, le cui credenze e costumi sono stati
calpestati dagli zar e dagli oppressori russi, le vostre istituzioni nazionali e
culturali sono per sempre libere e inviolabili. E’ un vostro diritto. Sappiate
che i vostri diritti, come quelli di tutta la Russia sono sotto la poderosa
protezione della rivoluzione e dei suoi organi” Le basi della politica del
governo dei soviet stavano nella posizione propria dei bolscevichi ed in
particolare teorizzata da Lenin del diritto di tutte le nazioni e nazionalità
oppresse all’autodeterminazione fino alla separazione (se voluta dalle
popolazioni). Nel contempo la soluzione auspicata e realizzata era quella di
dare con la federazione socialista risposta sia alle aspirazioni nazionali dei
popoli sia ai vantaggi dell’unità statuale nel processo di transizione verso
il socialismo.
Dopo il confuso periodo
della guerra civile si costituì nel 1922 la Repubblica Autonoma dei Montanari
del Caucaso (che comprendeva le attuali Cecenia, Inguscezia, Ossezia
settentrionale, Cabardia, Caraciaia-Circassia) .Le terre espropiate dallo
zarismo a vantaggio di coloni russi
e cosacchi furono restituite e lo sviluppo culturale nazionale fu garantito.
Questa situazione durò
molto poco. Già nel 1924, con la costituzione dell’Urss la repubblica dei
montanari del Caucaso fu sciolta. Tale era il prodotto della politica
semisciovinista russa di Stalin. Seguirono tutte le conseguenze drammaticamente
negative del periodo di avventurismo staliniano della collettivizzazione
forzata. Alla fine di tale periodo Stalin fece un’apparente svolta indietro a
positivo. Fu allora che nacque la repubblica autonoma della Cecenia-Inguscezia.
Ma l’illusione della riconquista della libertà perduta del 1922-‘24 durò
lo spazio di un mattino. Sulla Cecenia, come su tutto l’Urss si abbattè il
ciclone delle repressioni di massa staliniane. Nel 1938-‘40 si sviluppò
quindi un fenomeno di rivolta contro il governo centrale, duramente represso.
Per questo quando , nel 1942-‘43, parte della Cecenia venne occupata
dall’esercito tedesco, una parte della popolazione si lasciò attrare dalle
demagogiche concessioni dei nazisti al nazionalismo ceceno. Rioccupata la
Cecenia da parte dell’Armata Rossa la risposta di Stalin fu la “punizione
collettiva” dell’intero popolo ceceno. La repubblica autonoma fu sciolta e
l’intera popolazione deportata in Asia centrale.
Nel 1956
Krushev autorizzò il rientro dei ceceni nella propria terra e la
ricostituzione della repubblica autonoma. Nei decenni successivi la vita della
repubblica si stabilizzò, ma ovviamente rimase soffocata nel dominio di fatto
grande-russo, tipico in particolare dell’era brezneviana.
La lotta per l’indipendenza cecena di fronte al
crollo dell’Urss
E’ semplice quindi
comprendere che nel quadro della dissoluzione dell’Urss agli inizi degli anni
’90 il problema dell’indipendenza della Cecenia si sia posto immediatamente.
Essa fu proclamata dall’ex generale dell’armata “rossa” Dudaev nel
giugno ’91 e confermato a stragrande maggioranza da un referendum nel novembre
dello stesso anno. Si è parlato a proposito della dichiarazione di indipendenza
e del ruolo di Dudaev di espressione degli interessi delle mafie locali, legati
al contrabbando e alle prospettive di ricchezza connesse al transito del
petrolio del Caucaso in territorio
ceceno. Indubitabilmente tali elementi erano presenti. Ma al contempo la volontà
indipendentista della stragrande maggioranza del popolo Ceceno era palese . La
posizione dei leninisti è quella che abbiamo indicato. Essa vale anche rispetto
ad uno stato operaio. Con una puntualizzazione. Che qui essa è subordinata alla
difesa del governo proletario e dei rapporti sociali di produzione
postcapitalistici in uno stato operaio “sano”; a quella dei soli rapporti di
produzione postcapitalistici nel caso di uno stato operaio degenerato. Sotto la
direzione di Dudaev la lotta per l’indipendenza della Cecenia partecipava del
processo di dissoluzione verso il capitalismo dell’Urss. Ma dal momento in cui
nell’agosto del 1991, con il controgolpe eltsiniano, il governo centrale russo
si trasformò compiutamente nello strumento diretto della rapida restaurazione
capitalistica in Urss i caratteri reazionari della lotta per l’indipendenza
Cecena vennero a essere secondari, rispetto al
carattere progressivo della volontà di liberazione dalla storica
oppressione russa
Le guerre cecene dei neozar Eltsin e Putin
Non è né scopo, né
possibilità di questo articolo affrontare la storia dell’ultimo decennio di
guerra in Cecenia. Ne tracciamo quindi solo i sommi capi. La dissoluzione
dell’Urss ha portato all’indipendenza nazionale della maggioranza dei popoli
oppressi del vecchio Stato. Ma, la repubblica autonoma cecena faceva parte della
federazione russa, che rimane ancora, malgrado la perdita delle altre
repubbliche dell’Urss, una “prigione” per vari popoli. Accettare il fatto
compiuto dell’indipendenza cecena avrebbe costituito un incentivo ad ulteriori
rivendicazioni nazionaliste, in primo luogo nel mosaico dei popoli dei due
versanti del Caucaso, territorio che il nuovo governo borghese russo intendeva,
per ragioni sia politiche che economiche, controllare. In questo ha ovviamente
in generale un’importanza la questione del petrolio. Aggiungiamo anche il
ruolo particolare della Cecenia come corridoio di trasporto del greggio; sarebbe
tuttavia errato assolutizzare solo questo aspetto, pur presente, in particolare
all’inizio della guerra; basti pensare che
oggi il petrolio viaggia o si appresta a viaggiare su altri percorsi, ma la
guerra permane. La prima fase della guerra andò dal 1994 al 1996 e si chiuse
con una sostanziale sconfitta dei russi, costretti al ritiro e alla firma di
un’accordo di pace (1997) col successore, eletto, di Dudaev (ucciso nel
’96), Maskadov, che diedero per un momento l’illusione di una possibile
normalizzazione. Ma tale illusione fu breve. Realizzata con le grande
privatizzazioni della metà degli anni ’90 la reintroduzione piena del
capitalismo in Russia, un settore dell’apparato politico pensò che per
consolidarla come grande potenza, fosse necessario una stabilizzazione e
razionalizzazione. E che quindi si sostituisse al capitalismo affaristico,
clientarmafioso dell’epoca di Eltsin un bonapartismo più tradizionale. Questo
settore si incarnò in Vladimir Putin. Per favorire tale progetto niente di
meglio, anche qui, che inventarsi una guerra generale contro un “perfido
nemico”. Putin lo individuò nel “terrorismo ceceno”. Sfruttò così la
debolezza di Maskadov, la provocatoria incursione nell’agosto ’99 di settori
armati ceceni guidati dal leader fondamentalista Basaev nel Daghestan
(territorio mussulmano della Russia al confine orientale della Cecenia)
e infine gli oscuri
attentati stragisti in quartieri popolari di Mosca sui cui autori nulla è ad
oggi chiaro, ma che servirono da base per creare il panico, la voglia di un
“uomo forte” e il successo elettorale di Putin. Con Putin
primo ministro Eltsin lanciò la
guerra nell’ottobre del ’99 . Da allora, nonostante la distruzione di Grozny,
i massacri, le torture, le sparizioni, la guerra continua, con un bilancio
complessivo ad oggi, secondo le varie fonti, tra 100 e 200mila morti (su meno di
un milione di ceceni ), tra cui 40mila bambini.
Per una Cecenia indipendente e socialista. Per la
federazione socialista dei popoli del Caucaso
Se quello indicato è il
quadro generale le conclusioni politiche che ne devono trarre i marxisti
rivoluzionari sono chiare. Noi sosteniamo incondizionatamente
il diritto all’indipendenza della Cecenia (l’autodeterminazione si è
già espressa col referendum del 1991); chiediamo il ritiro delle truppe
coloniali dello stato borghese russo; sosteniamo senza condizioni la resistenza
cecena nella sua lotta militare contro le truppe russe. Nel contempo il nostro
sostegno incondizionato non significa sostegno acritico. Al contrario ci
riserviamo il diritto di demarcarci dalle varie forze della resistenza e di
valutare le loro azioni (ricordando tuttavia sempre che il terrorismo stragista
di massa è essenzialmente quello di Putin e del suo governo). Ma soprattutto
riteniamo che il compito delle forze conseguentemente di sinistra nella
situazione cecena sia quello di lottare per cercare di costruire nel processo
della battaglia contro la Russia una alternativa di direzione, proletaria
e rivoluzionaria, al nazionalismo
di tutti i tipi, sia fondamentalista sia borghese tradizionale. Questa lotta
implica la prospettiva della rivoluzione proletaria e del socialismo come
alternativa alla tragica situazione attuale. Ma ciò, a sua volta, impone di
porre nettamente la prospettiva di un allargamento della prospettiva di
soluzione. Il popolo ceceno da solo è troppo debole per sconfiggere
definitivamente il gigante russo e , soprattutto, per costruire una alternativa
di sviluppo economico e sociale. Dal crollo dell’Urss l’insieme del Caucaso,
sui suoi due lati, nord e sud, è caduto in un caos sanguinoso, in cui si sono
inseriti colonialisti russi, imperialismi vari, mafie locali, fondamentalisti
islamici, locali e esteri. Solo unendosi contro tutti costoro, superando le
lotte fratricide, sarà possibile per i popoli del Caucaso realizzare una vera
liberazione, tanto nazionale che sociale. Ma per questo dovrà forgiarsi anche lì
una avanguardia che si riconnetta con le grandi tradizioni marxiste del Caucaso
(uno dei punti di forza della socialdemocrazia rivoluzionaria prima del ’17).
Una avanguardia che ponga come suo obbiettivo, quindi, una federazione
socialista dei popoli del Caucaso, che si ricolleghi con le tradizione della
politica leninista e per i ceceni e i popoli vicini in particolare con quei
lontani, pochi anni di libertà, che la dittatura del proletariato, prima della
notte dello stalinismo, diede loro dopo secoli di oppressione zarista, con la
Repubblica dei popoli di montagna del 1922-‘24.