VI Congresso del Prc

Tanti documenti, due posizioni fondamentali

O l'alternanza coi liberali, o l'alternativa con gli operai

 

di Francesco Ricci

 

Se in un gruppo di persone che conversano una sostiene che è possibile camminare sotto la pioggia, senza l'ombrello, senza bagnarsi; e un'altra afferma, al contrario, che l'acqua bagna, quale delle due è guardata con incredulità dai presenti? Su quale delle due ricade l'"onere della prova"? Non c'è dubbio: sul nemico degli ombrelli. In Rifondazione le cose paiono capovolte (come Attraverso lo specchio di Carroll) e difatti è il segretario del partito, il compagno Bertinotti, a chiedere quasi stupito a Progetto Comunista: "ma quindi voi credete che nel capitalismo i comunisti non possano mai andare al governo?".

Due secoli di conferme

E invece noi vorremmo rimettere sui piedi la domanda e chiedere al segretario: è vero o no che da quando il movimento marxista è nato, nei suoi assi fondanti (in rottura con l'utopismo che sperava di svuotare il mare del capitalismo con un cucchiaino da caffè) l'opposizione di classe è sempre stato l'architrave? Una dirigente di Erre (la compagna Lidia Cirillo) ci ha spiegato che non si può risolvere la questione "a colpi di citazioni di Marx". Non c'è dubbio. Sarebbe però interessante chiedersi perché tanto Marx (a cui ogni tanto si organizzano gite domenicali e "ritorni") riteneva l'opposizione di classe la condizione fondamentale per preservare la battaglia di classe indipendente del proletariato verso i suoi obiettivi storici: il rovesciamento rivoluzionario del capitalismo, il potere dei lavoratori (premesse della costruzione di una società senza classi). O consideriamo i grandi dirigenti rivoluzionari del passato "morti" -come ha peraltro fatto Bertinotti, riesumando contemporaneamente i cadaveri di altri dirigenti come Bernstein (sicuramente meno marxisti ma non meno morti); o ne veneriamo i testi come reliquie intoccabili comunque riservate allo studio dei dotti; o -come preferiamo noi- non avendo altari su cui accendere candele, riteniamo che in quei testi si trovi un concentrato dell'esperienza storica del movimento operaio, della sua crescita sulla base dell'insegnamento di tante vittorie e sconfitte.

Se Marx definiva il tentativo del socialista Louis Blanc di "condizionare" un governo liberale (peraltro nato da una rivoluzione) un "pio desiderio"; se Marx traeva dalla lezione della Comune di Parigi, come insegnamento principale, la necessità di un'azione di classe indipendente del proletariato, premessa per guadagnare nelle lotte un governo "degli operai per gli operai"; lo faceva appunto perché tutte le esperienze precedenti avevano confermato l'inconciliabilità di classe tra gli interessi della borghesia e quelli del proletariato, l'impossibilità di trovare un compromesso tra le esigenze degli sfruttatori e quelle degli sfruttati.

Quando alcuni dirigenti della maggioranza ci dicono con sdegno che noi facciamo del governo "una posizione di principio assoluto" (anche intendendo -ironia delle cose- che loro preferiscono occuparsi di cose più nobili...) fanno un torto non tanto a noi, ma al concetto stesso di "rivoluzione". Se infatti dovessimo alla fine concludere che per due secoli il marxismo rivoluzionario si è sbagliato ed è possibile -a differenza di quanto pensavano i comunisti di Lenin e Trotsky, di Rosa Luxemburg e Gramsci- modificare questo sistema sociale semplicemente accordandosi con i politici della borghesia, intavolando confronti programmatici generali (Bertinotti) o su chiari e specifici punti (Grassi), allora dovremmo ridefinire il senso della rifondazione comunista. Se dovessimo verificare infatti che il capitalismo può essere governato conciliando gli interessi delle due classi contrapposte; se Fausto Bertinotti si dimostrasse in grado di fare, con Rifondazione, quello che non è mai successo nella storia della società divisa in classi, allora dovremmo usare il termine "rivoluzione" solo per indicare il moto dei corpi celesti. Così come, se costatassimo che aveva ragione quel tale che abbiamo incontrato pochi paragrafi fa nel dire che la pioggia non bagna, la smetteremmo di comprare ombrelli (che regolarmente dimentichiamo sul treno).

 

Dieci anni di temporali

Purtroppo la pioggia bagna sia nei libri di storia che nella nostra esperienza quotidiana. I governi basati sul programma della borghesia -col sostegno interno o esterno dei comunisti; composti da coalizioni coi liberali o anche da soli ministri "di sinistra", fanno (guarda il caso!) le politiche della borghesia.

E' stato così per il primo governo Prodi (in cui Rifondazione dava un appoggio "esterno": grossomodo quello che ripropongono per il Prodi bis i compagni dell'Ernesto). E' stato così per il governo Jospin (in cui sedevano i ministri del Pcf). E' così per il governo Lula in Brasile. Non a caso il compagno Bertinotti, nel proporre la sua tesi circa la riformabilità dei governi nel capitalismo, non riesce ad indicare un solo esempio concreto. La prima esperienza (disastrosa) del Prc a metà degli anni Novanta non è mai citata. L'esempio francese -che pure fu citato fino alla nausea in ogni discorso e articolo- è caduto nell'oblio. Lo stesso Brasile di Lula viene richiamato con una frequenza discendente, nella misura in cui diventa evidente a tutti ciò che su questo giornale abbiamo scritto fin dalla nascita di quel governo: è un governo che fa le politiche della borghesia (indigena ma soprattutto imperialista).

D'altra parte, lo stesso argomento centrale che viene impiegato dal segretario ("governo leggero, movimenti forti") -secondo il quale i movimenti condizioneranno il governo, insieme al Prc- è già clamorosamente smentito dai fatti. Dopo tre anni di mobilitazioni straordinarie, il centrosinistra (o comunque lo si voglia chiamare) persiste nella sua inscalfibile politica di classe, Rifondazione si accoda e -per questo- si allontana dai movimenti e dalle loro ragioni che sono di fatto opposte a quelle del centrosinistra. E' questo peraltro il motivo vero per cui la borghesia vuole coinvolgere il nostro partito nel futuro governo: per tagliare la testa all'opposizione di massa.

L'esempio più clamoroso è quello della guerra -di cui parliamo in altri articoli di questo numero. Per "conciliare" la posizione del movimento con quella dei liberali Ds e Margherita all'interno della Gad, Rifondazione si allontana dal movimento, lasciando per strada persino la richiesta elementare del ritiro delle truppe "senza se e senza ma" (e che se! e che ma! si accettano: conferenza "di pace" con i Paesi imperialisti; elezioni gestite dai marines; ricambio delle truppe -quando avranno finito il macello di Falluja- con truppe fresche, magari col casco blu come quelle che collaborano con l'europeo e "multilateralista" Chirac nel macello in Costa d'Avorio).

 

Non si condizionano le politiche borghesi, non si ferma nemmeno la destra (anzi)

Di fronte all'evidenza palmare, quando in un dibattito si citano le dichiarazioni di Rutelli, Prodi e Fassino sulle pensioni, sullo Stato sociale, sulla Scuola, ecc., qualche compagno annuisce ma poi ci spiega: "comunque dobbiamo fermare la destra, cacciare Berlusconi".

Molto bene. Siamo stati i primi a dirlo nel Prc. Ma come abbiamo detto e scritto su questo giornale infinite volte (si veda anche l'editoriale di questo numero), il problema è "da quale versante" si caccia Berlusconi: per sostituirlo nel 2006 con un governo di banchieri o per costruire i rapporti di forza per un'alternativa dei lavoratori?

Peraltro anche qui l'esperienza decennale della meteorologia applicata ci conferma che così come quando piove si bagnano i marciapiedi e i passanti, così pure ogni volta che si è proclamata l'esigenza di "fermare le destre" -alleandosi con la cosiddetta borghesia democratica- i risultati sono stati disastrosi. Certo si può "battere le destre" in termini elettorali, contingenti: ma se ciò è il frutto di un accordo con i liberali -che fanno le stesse politiche del centrodestra, chiamandole con un altro nome- le destre torneranno a vincere nella società e persino elettoralmente, rifacendosi con gli interessi della momentanea sconfitta.

 

Un congresso con tanti documenti ma con solo due posizioni

Mentre scriviamo questo articolo non sappiamo ancora con esattezza quanti e quali saranno le mozioni presentate al voto nel VI Congresso. Sappiamo però già ora una cosa. Con l'eccezione di quella presentata da Progetto Comunista (con un percorso di confronto in assemblee organizzate in tutte le federazioni del partito), tutte le altre mozioni rifiutano il rifiuto (di classe) di un ingresso dei comunisti nella cosiddetta "stanza dei bottoni" (in realtà al massimo l'accesso è nel ripostiglio delle scope).

I compagni dell'Ernesto (Grassi) ritengono che sarebbe "settario" rifiutare una prospettiva di governo. Chiedono quindi che si trovi un minimo comun denominatore tra gli interessi degli operai e quelli dei liberali (un'impresa ahimè disperata) ma sono disponibili -in caso di insuccesso di questo tentativo- a un sostegno esterno al governo.

I compagni di Erre (Malabarba, Turigliatto) sottolineano -in polemica con noi- come sia anche possibile un accesso al governo nel capitalismo, purché ci sia uno spazio di "condizionamento" da parte dei movimenti. C'è bisogno, scrivono, di "un diritto alla pazienza" perché i movimenti "non sono ancora pronti" al salto di governo. Si tratta, dunque, secondo loro, di arrivare eventualmente a quello stesso sbocco attraverso un bagno nei movimenti. Anche loro (come spiega Ruggero Mantovani nell'articolo che pubblichiamo in queste stesse pagine) non disdegnano comunque un appoggio esterno al prossimo Prodi-bis e dunque la rimozione dell'opposizione di classe.

I compagni di Falcemartello, infine, rifiutano la collaborazione di governo solo laddove sia fatta "con i partiti della borghesia". Non rifiutano cioè il sostegno o la partecipazione a governi cosiddetti "di sinistra", seppur basati su un programma capitalistico e prima di una rottura rivoluzionaria. In altre parole, avrebbero appoggiato i governi Kerensky in Russia e Noske in Germania. Quello che aggrava e rende ancora più pericolosa questo abbandono della posizione fondante del marxismo rivoluzionario (secondo cui ciò che caratterizza un governo non è la sua composizione ministeriale ma il carattere di classe del suo programma e delle forze che lo sostengono nel contesto politico-sociale) è il fatto che, caratterizzando i Ds di D'Alema come una ordinaria socialdemocrazia, i compagni di Falcemartello propongono non la rottura con tutto il centro liberale (Margherita e maggioranza Ds) ma solo con gli ex-Dc, ipotizzando così un "governo delle sinistre" composto da Ds e Prc (il cui programma, si presume, sarebbe scritto dal tandem D'Alema-Amato e discusso nei seminari dell'associazione dalemiana, insieme ai suoi principali iscritti: cioè a tutto il gotha del capitale "illuminato", tra i banchieri amici di Tanzi e la corte di Montezemolo).

Come si vede, di là dal numero dei documenti, sulla grande questione del governo e del potere, anche in questo congresso -come negli ultimi due secoli di storia del movimento operaio- le posizioni saranno nei fatti solo due: o opposizione di classe o collaborazione di classe.

 

Una battaglia per argomentare e convincere

Lo spirito con cui ci apprestiamo a questa battaglia congressuale è slegato da considerazioni sulle percentuali. A differenza di altri abbiamo sostenuto in tutti questi anni le nostre idee senza mai farle valere in termini di posizioni negli apparati del partito e della sua rappresentanza istituzionale. Anzi: proprio la coerenza della nostra battaglia ci ha sempre, regolarmente, tagliato fuori al termine di ogni congresso da ogni "suddivisione" dei posti.

Anche questa volta il nostro scopo non è quello di conquistare una percentuale più alta in vista della ridefinizione degli organismi dirigenti. Impegneremo tutte le nostre energie, viceversa, per dialogare con migliaia di compagni e compagne che hanno costruito in questi anni il Prc; che hanno magari creduto alla leggenda della "svolta a sinistra verso i movimenti" del gruppo dirigente (anche su suggerimento di Erre che continua a difendere -fuori tempo massimo- le tesi del V Congresso, più bertinottiani di Bertinotti).

E' con le migliaia di compagni che si impegneranno nella discussione congressuale che vogliamo confrontarci, abbattendo steccati di precedenti collocazioni, di provenienze; è con loro che vogliamo batterci per salvaguardare il senso stesso della rifondazione comunista: l'opposizione a entrambi i poli politici della borghesia come presupposto ineludibile per costruire nelle lotte (a partire dagli undici milioni dell'art. 18: altro che "isolamento settario"!) il polo di classe per l'alternativa socialista e rivoluzionaria.

 

(10 novembre 2004)