PER UNA NUOVA PROSPETTIVA
POLITICA DEI COMUNISTI
Col C.P.N. del PRC del 22-23 aprile si è aperta una fase
politica nuova per la battaglia dei comunisti. I risultati del C.P.N. sono in
breve i seguenti:
1)
La
maggioranza dirigente del partito ha non solo confermato la scelta di ingresso
del PRC nel futuro governo Prodi, combinata cono l’assegnazione a Bertinotti
della presidenza della Camera, ma l’ha definitivamente razionalizzata nei
termini più scoperti. Il governo dell’Unione viene caratterizzato come governo
di alternanza e la funzione del PRC diventa esplicitamente quella di
“presidiare l’alternanza”. E’ l’ammissione esplicita della subordinazione strategica
del PRC a un governo del grande capitale, con la rinuncia di fatto, persino
formale, alla tematica dell’ “alternativa”. Dunque un’intera stagione di
movimenti è stata usata ai fini di una ricollocazione di governo a braccetto
con gli avversari sociali e politici dei movimenti stessi.
2)
La
maggioranza dirigente del partito ha parallelamente impresso una forte
accelerazione alla costituzione della sezione italiana della sinistra europea
anticipando a giugno l’apertura della relativa “costituente”. E’ una scelta
direttamente correlata all’ingresso nel governo e alla trasformazione del PRC
in ala sinistra del Centrosinistra. A fronte della costituente del partito
democratico, che sancisce il definitivo approdo liberaldemocratico D.S., Bertinotti si candida a rifondare una
socialdemocrazia italiana offrendola come punto di approdo a un pezzo di ceto
politico di sinistra D.S. in crisi di prospettiva. E’ un disegno che liquida
definitivamente la rifondazione comunista in un nuovo soggetto “socialdemocratico-progressista”
che si candida ad offrire alla borghesia liberale il proprio ruolo di
ammortizzatore delle lotte e dei movimenti.
3)
L’ingresso
nel governo, il programma dell’Unione, l’accelerazione della costituente del
“nuovo soggetto” sono stati sottratti ad una verifica democratica decisionale
dei militanti e degli iscritti. L’argomento secondo cui il VI Congresso “dava
il mandato”, è improprio. Nel Congresso Bertinotti legò (formalmente) la
prospettiva di governo alla promessa di “un programma di svolta” scritto dai
movimenti e sottoposto alla loro verifica (primarie di programma). Viceversa
siamo di fronte a un programma dell’Unione che rivendica l’ “alleanza leale con
gli USA”, la non abrogazione della legge 30, il rispetto rigoroso dei parametri
di Maastricht, senza che né i movimenti né il corpo del partito abbiano avuto
la possibilità di discuterlo e giudicarlo. L’evocazione della cosidetta
“democrazia partecipativa” (come leva e garanzia di un programma di svolta) si
è rivelata una truffa. Nei fatti, la maggioranza dirigente del partito ha
difeso la propria intesa col Centro liberale e i poteri forti da ogni possibile
ingerenza turbativa dal basso, fosse pure simbolica e distorta.
4)
I
gruppi dirigenti di Ernesto e Sinistra critica hanno rispettivamente rimosso o attenuato l' opposizione al
Segretario proprio nel momento della massima accelerazione ed esplicitazione
della deriva politica del PRC. Claudio Grassi e il gruppo dirigente
dell’Ernesto hanno apertamente sostenuto l’ingresso del PRC nel governo e
l’incarico a Bertinotti della Presidenza della Camera. Salvatore Cannavò e il
gruppo dirigente di Sinistra critica pur affermando sommessamente la propria
scarsa convinzione circa la scelta governativa, hanno dismesso ogni opposizione
all’ingresso dei ministri, hanno sostenuto Bertinotti presidente, si sono
attestati sulla richiesta di un governo dell’Unione che compia “scelte di
radicalità e di svolta”. Una richiesta obiettivamente grottesca se rivolta a un
governo del grande capitale che già annuncia
il risanamento finanziario. Significativamente sia Ernesto che Sinistra critica
hanno ricevuto il plauso del Segretario, quanto mai interessato a incassare una
copertura a sinistra nel momento della massima accelerazione a destra. E
altrettanto significativamente sia Ernesto che Sinistra critica hanno respinto,
al fianco del Segretario, l’elementare proposta di una verifica democratica tra
i militanti e gli iscritti sul programma dell’Unione, un programma che pure in
passato avevano “criticato”. Nei fatti i gruppi dirigenti nazionali di Ernesto
e Sinistra critica si adattano al quadro di governo dell’Unione: in parte su
pressione del proprio nuovo ruolo istituzionale, in parte in attesa di
contropartite nei gruppi dirigenti del
partito.
In questo quadro generale è inevitabile e necessario che
tutti i militanti comunisti del partito, a partire dai compagni che si sono
battuti nel VI Congresso contro la maggioranza dirigente del PRC (il 41%),
aprano tra loro una riflessione libera e un confronto sul futuro della propria
azione e prospettiva. Questa riflessione e confronto debbono essere aperti,
svincolati da vecchi recinti di componente e di mozione. E al tempo stesso
debbono assumere come punto centrale di riferimento non l’angolo angusto di
calcoli tattici contingenti, ma la prospettiva generale della Rifondazione
comunista e della costruzione del suo partito nel nuovo contesto politico e
sociale che si delinea. Per poi definire a partire da qui le scelte comuni e le
loro articolazioni, anche locali.
La nostra ferma convinzione al riguardo, anticipata dalla
nostra dichiarazione comune in C.P.N., è che l’ingresso del PRC al governo, nel
contesto dato, richieda l’avvio della rifondazione di un’opposizione di classe
e comunista in Italia: e dunque l’avvio del movimento costitutivo di un nuovo
soggetto politico comunista e rivoluzionario. Un movimento che non si riduca ad
una fuoriuscita dal PRC, in una logica di pura scissione passiva, ma sappia
invece coinvolgere militanti di diversa provenienza, nella costruzione attiva
di una nuova comune prospettiva politica. In altri termini alla costituente
della nuova sinistra socialdemocratica italiana (sezione italiana della
sinistra europea) dovrà contrapporsi il processo costitutivo di una nuova
presenza comunista, basata su un quadro programmatico marxista e su una
collocazione di opposizione al governo.
Questa nostra proposta non nasce dall’impazienza o dalla
reazione liberatoria alle fatiche della battaglia interna al PRC. Nasce invece
da un’analisi razionale del nuovo contesto sociale e politico che si apre,
dall’esaurimento obiettivo dell’esperienza del PRC, dalla necessità di una risposta nuova.
LA NATURA CONFINDUSTRIALE DEL
SECONDO GOVERNO PRODI
Il contesto politico e sociale che si delinea è segnato
dall’avvento annunciato del governo dell’Unione, su uno sfondo di pesante crisi
di competitività del capitalismo italiano e di dissesto aggravato del bilancio
pubblico. Il quadro di governo dopo il voto del 9-10 aprile, è certo segnato da
elementi di fragilità, dagli imprevedibili effetti di prospettiva. Ma le forze
dominanti della coalizione cercheranno di sormontare la fragilità degli
equilibri parlamentari con il ricorso al più largo sostegno di tutti i poteri
forti della società italiana (la grande industria esportatrice, le grandi
banche, la grande stampa, la magistratura, l’alta burocrazia statale) entro una
politica di nuova concertazione con l’insieme delle burocrazie sindacali e
delle sinistre politiche della coalizione (in primis il PRC). Questa concertazione
ruoterà attorno ad un preciso programma: il risanamento finanziario del debito
pubblico e una nuova elargizione di risorse pubbliche alle imprese (10 miliardi
di riduzione del cuneo fiscale e nuove detassazioni del capitale), sullo sfondo
di una perdurante crisi di stagnazione e di una accentuata difficoltà nell’uso
della leva fiscale sulle rendite (a causa della tenuta minacciosa del blocco
sociale delle destre). La risultante obbligata di questo programma, nel
contesto dato, sarà una nuova inevitabile stagione di sacrifici. La
concertazione sociale e politica serve esattamente per ottenere i sacrifici
nella pace sociale. La prima concretizzazione di questa politica si avrà col
varo annunciato di una nuova manovra economica bis e con l’imminente definizione
del DPEF, sotto la pressione quotidiana e incalzante del capitale finanziario
nazionale e internazionale. La seconda concretizzazione si avrà a settembre
quando CGIL-CISL-UIL saranno convocate a un tavolo comune con Confindustria per
concertare un accordo complessivo: comprensivo di stretta finanziaria,
politiche del lavoro (flessibilità), nuove regole di contrattazione
(indebolimento del contratto nazionale). Nel frattempo, saranno rilanciate
liberalizzazioni e privatizzazioni, e sbloccata la grande truffa del sequestro
del TFR a beneficio del grande capitale. In altri termini, a poche settimane
dalla sua formale costituzione, inizierà a manifestarsi il profilo antipopolare
del governo. Parallelamente si imporranno le prime scelte annunciate in fatto
di politica estera: a partire dal rifinanziamento delle missioni militari
(entro giugno), dalla concertazione delle scelte del G8 (giugno), dal sostegno
alle scelte della U.E. su Palestina e Iran. Sulla stessa questione Irak, il
piano di ritiro delle truppe, da concordarsi con il governo collaborazionista
irakeno, si preannuncia tutt’altro che lineare. E già emerge l’orientamento di
sostituire le attuali forze di occupazione con nuovi contingenti di carabinieri
(proposta Fassino) naturalmente “di pace”. Dunque anche sul terreno della
politica estera, terreno di grande impatto emotivo e simbolico, l’orientamento
neoatlantista del secondo governo Prodi non tarderà ad emergere.
L’ORGANICITA’ DEL PRC AL GOVERNO
DELL’UNIONE
Il PRC di governo sarà non solo subalterno ma complice, da
subito, di questa politica, in misura
ancor più diretta delle altre formazioni della sinistra (sinistra DS, PdCI,
Verdi). Infatti il PRC non è un qualunque soggetto costituente dell’Unione ma
la sponda decisiva di Romano Prodi nella sua scalata dell’Unione. Così è stato
nella scelta delle primarie. Così è stato nell’assegnazione a Bertinotti della
presidenza della Camera. Di converso Romano Prodi è più che mai oggi la sponda
d’appoggio di Bertinotti e del suo nuovo corso politico. Il “presidio
dell’alternanza” che Bertinotti ha teorizzato è in realtà il presidio di Prodi
come garante del ruolo di governo del PRC: perché la difesa di Prodi coincide
strategicamente con la difesa della propria rendita di posizione governativa e
istituzionale. Ma ciò comporta una precisa conseguenza: una particolare e
diretta sudditanza alle politiche del capo del governo. Un capo del governo cui
peraltro proprio Bertinotti ha fornito l’incoronazione popolare (primarie) e a
cui attribuisce, più che ogni altro partito dell’Unione, un ruolo in qualche
modo “presidenzialista,” svincolato dagli equilibri dell’Unione.
Al tempo stesso, a differenza che nel 96-98 questo asse con
Romano Prodi, se da un lato ha carattere più organico, dall’altro, proprio per
questo, è contrattualmente più debole. In primo luogo il PRC non può ripetere
la rottura del 98, pena l’autodistruzione di tutta la propria conquistata
credibilità governativa. Può essere scaricato dal governo, non può rompere col
governo. E questo amputa in partenza il potere “negoziale” del partito. In
secondo luogo proprio la fragilità degli equilibri parlamentari espone il PRC
di governo al ricatto quotidiano di tutto il centro dell’Unione, abbattendo
ogni spazio di manovra e di reale differenziazione. Peraltro il rapido
dietrofront sulla TAV a Torino, la disponibilità al “compromesso” sulla legge
30, l’annuncio del voto positivo al rifinanziamento della missione in
Afghanistan, sono le prime clamorose traduzioni della subordinazione
disciplinata alla borghesia. E al tempo stesso una pronta rassicurazione
politica alle classi dirigenti del paese circa la raggiunta maturità della
cultura di governo del partito. In buona sostanza tutto il corso politico
governativo del PRC sarà dettato dalla volontà di consolidare quell’attestato
di benemerenza e riconoscimento politico che la grande stampa borghese (a
partire dal Corriere) ha riservato a Bertinotti e alla sua svolta, cercando
così di sventare, grazie a un certificato di buona condotta, una possibile
tentazione futura di scaricare il PRC a vantaggio di un’ “unità nazionale” .
Proprio la minaccia dell’unità nazionale, indipendentemente dalla sua
concretizzazione, sarà il sigillo della subordinazione del PRC alla borghesia e
a Prodi.
LA COSTITUENTE DELLA “SINISTRA EUROPEA”
E LA MUTAZIONE DEL PARTITO
Parallelamente, il forte legame tra l’ancoraggio di governo
e la costituente della sinistra europea sospingerà una profonda mutazione
interna del partito. Già oggi, a due anni dalla svolta e in connessione col
forte ampliamento della propria collocazione governativa a livello locale, il
PRC ha conosciuto una mutazione rilevante del proprio regime interno,
complessivamente inteso: desertificazione dei circoli, moltiplicazione dei
comitati elettorali e di logiche di clan, peso crescente degli assessori e
apparati istituzionali nella costituzione materiale del partito, caduta dei
livelli di iniziativa e capacità di mobilitazione, estensione dell’emorragia
silenziosa di compagni. L’approdo al governo nazionale e la costituente della
sinistra europea – nel loro combinato disposto – segneranno una nuova
accelerazione di tutte queste tendenze. La nuova sezione italiana della
sinistra europea, in particolare, in quanto luogo di una rifondazione
socialdemocratica di governo, attrarrà a sé un personale politico di sinistra
DS alla ricerca di una propria ricollocazione diretta nei piani alti del
partito. Inoltre l’ingresso del PRC nel nuovo soggetto politico “progressista”
tenderà inevitabilmente a spostare sempre più all’esterno del partito i luoghi
del confronto e della decisione, combinandosi con la più profonda organicità
del PRC alle Unioni locali di centrosinistra e alle relative mediazioni
politico-amministrative. Le strutture di base del partito e i suoi stessi
organismi dirigenti elettivi saranno dunque svuotati sempre più di ogni
funzione reale, se non quella di raccogliere e gestire (o commentare) decisioni
prese in altre sedi: ciò che favorirà nuovi fenomeni di estraniazione e
passivizzazione di settori attivi e militanti. In conclusione, la risultante
d’insieme di questi processi combinati sarà l’ulteriore profonda
marginalizzazione degli spazi oggettivi della battaglia interna al partito.
NON CI SI PUO’ RASSEGNARE ALLA
TESTIMONIANZA
Se questa analisi è sostanzialmente fondata ne conseguono
conclusioni politiche inevitabili per i comunisti. I comunisti del PRC, ovunque collocati, non possono
rassegnarsi a un ruolo di testimonianza senza prospettive, magari in nome di
una autoconservazione di nicchia e di “mozione”. Debbono invece rispondere in
modo coerente a necessità politiche obiettive tra loro combinate e
inseparabili.
a)
Come
conservare e rilanciare un’opposizione comunista alla borghesia italiana e al
suo governo, a partire da una battaglia nella classe operaia e in tutti i
movimenti di lotta per la loro piena indipendenza politica dell’Unione.
b)
Quale
prospettiva di riferimento offrire a migliaia di militanti comunisti,
obiettivamente incompatibili con un soggetto politico dichiaratamente non
comunista, e da questo in ogni caso marginalizzati e condannati ad un abbandono
silenzioso.
c)
Come
rilanciare una prospettiva di autentica rifondazione comunista che prenda atto
dell’esaurimento dell’esperienza del PRC, tragga le lezioni del suo fallimento
e sappia dunque intraprendere un processo di riaggregazione delle forze su
nuove basi politiche e programmatiche: l'autonomia dei comunisti da tutti i
governi borghesi; l' impostazione
anticapitalista del programma basato su un sistema di obbiettivi transitori; la
conquista del potere dei lavoratori come obiettivo strategico; la necessità di
fronte al carattere mondiale dell'economia e della lotta tra le classi di
un’organizzazione rivoluzionaria internazionale dei comunisti.
d)
Come
favorire nella rifondazione di una nuova forza, coerentemente comunista, il più
largo concorso di compagni e compagne di diversa provenienza e collocazione,
anche considerando tempi diversi di maturazione delle rispettive convinzioni e
disponibilità.
La nostra proposta di un movimento costitutivo di un nuovo
partito, comunista e rivoluzionario, dal momento dell’approdo governativo del
PRC, vuole rispondere all’insieme di queste esigenze e preoccupazioni.
L’ATTUALITA’ DEL RILANCIO DELL’OPPOSIZIONE
DI CLASSE
L’ingresso del PRC nel governo e la sua
corresponsabilizzazione alle politiche dei sacrifici apre una fase nuova nella
sinistra italiana. Apre un vuoto obiettivo di rappresentanza sociale e politica
di settori d’avanguardia che in passato avevano gravitato, talvolta
criticamente, attorno al PRC, ma che nella nuova situazione vedranno il loro
vecchio partito di riferimento dall’altra parte della barricata. La cooptazione
del PRC al governo da parte del Centro dell’Unione ha del resto questa
cosciente finalità: privare di un riferimento politico, di un canale
d’espressione, le inevitabili reazioni sociali e di lotta che il programma
dell’Unione susciterà. E dunque favorire per questa via la pacificazione e
normalizzazione sociale. I comunisti hanno allora il dovere di reagire a tale
disegno. Ricostruire una forza politica di opposizione a sinistra è in questo
senso una necessità obiettiva ed urgente: non “per i comunisti” ma per
l’avanguardia sociale e politica di questo paese, a partire dai lavoratori e
dai movimenti di lotta degli ultimi anni. I lavoratori metalmeccanici che in
numerose grandi fabbriche hanno detto di no a un contratto umiliante; i popoli
anti TAV; le forze impegnate da anni per il ritiro incondizionato e immediato
da tutti i teatri di guerra (dall’Irak all’Afghanistan); le forze impegnate in
prima fila nel sostegno alla resistenza dei popoli oppressi dall’imperialismo
(a partire dal popolo palestinese ed irakeno) si troveranno rapidamente in
contraddizione con le politiche e la natura del governo Prodi e col suo disegno
di grande concertazione. Successivamente, più vasti settori di massa (oggi
paghi della caduta di Berlusconi, ma molto meno fiduciosi verso il
Centrosinistra di quanto non fossero nel 96) potranno maturare un distacco dal
governo proporzionale all’esperienza della sua politica. Si tratta allora di
lavorare a costruire un riferimento politico di opposizione che si candidi a
rappresentanza coerente delle forze
d’avanguardia più combattive, nella prospettiva dell’incontro con la
maturazione politica di settori più vasti. E ciò non solo sul piano elettorale,
ma sul terreno prioritario dell’unificazione delle lotte, della proposizione di
piattaforme e sbocchi, dell’impegno sul terreno dell’autorganizzazione. Vi è dunque
esigenza di una forza politica non semplicemente "identitaria" ma
socialmente radicata e capace di lottare nei movimenti per la loro indipendenza
di classe e per un’egemonia alternativa: contro quelle forze, PRC incluso, che
lavoreranno per la subordinazione dei movimenti al governo della concertazione.
Una forza che proponga all'insieme della sinistra politica,
sociale e di movimento la rottura con la borghesia e con le sue rappresentanze
politiche, con la costruzione di un polo autonomo di classe sulla base di un programma anticapitalistico.
LA NECESSITA’ DI UN PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI, PER
L’ALTERNATIVA DEI LAVORATORI
Al contempo, come comunisti, non possiamo limitarci ad
un’azione immediata di movimento, in una logica puramente antagonistica.
Proprio l’esperienza del PRC ci dice che un generico antagonismo senza progetto
anticapitalistico, può diventare un terreno di manovre e operazioni strumentali
contrarie alle ragioni dei movimenti stessi.
E’ invece vitale un’azione politica tesa a ricondurre ogni
rivendicazione immediata, ogni conflitto sociale e politico, ad un progetto
anticapitalistico complessivo: sviluppando la consapevolezza che tanto più in
un quadro di crisi sociale del riformismo solo un programma anticapitalistico
può dare una prospettiva reale alle rivendicazioni immediate, e solo un’azione
radicale anticapitalista a livello di massa può strappare risultati parziali;
mentre ogni corresponsabilizzazione di governo, ogni subordinazione alla
concertazione, regala risultati solo agli avversari dei lavoratori e dei
movimenti. Da qui la necessità di un Partito Comunista, di una forza
organizzata fondata su un progetto strategico di alternativa socialista, su
scala nazionale e internazionale. Di una forza che viva e operi in ogni lotta,
in relazione a un fine rivoluzionario, alla conquista del potere politico da
parte dei lavoratori e delle lavoratrici: un potere basato
sull’autorganizzazione democratica delle masse, sulla revocabilità permanente
degli eletti, sull’assenza di ogni privilegio sociale degli eletti rispetto ai
loro elettori. E’ il programma della rivoluzione russa che oggi rivive come
concreta potenzialità in ogni autentica sollevazione sociale: nelle assemblee
dei lavoratori occupati e disoccupati e in quelle popolari della sollevazione
argentina; nei comitati popolari della rivoluzione boliviana e persino,
embrionalmente, nelle forme di autorganizzazione della rivolta giovanile in
Francia. Ma è un programma che per realizzarsi ha bisogno di un partito.
Operare in ogni lotta su scala nazionale e internazionale in relazione a questo
programma è la prima ragione d’essere di un partito comunista. La rimozione
all’origine di questa prospettiva da parte del gruppo dirigente del PRC, nel
nome di vecchie eredità riformistiche, è stata alla base della deriva
governativa del PRC. Perché solo un programma di alternativa di potere può
fondare l’opposizione strategica ai governi della borghesia. Mentre la
rimozione di quel programma spiana la strada all’adattamento alla società esistente
e dunque ai suoi governi.
PER UN PROCESSO APERTO DI
RAGGRUPPAMENTO
La costruzione di un Partito Comunista dei lavoratori non
può essere frutto di una autoproclamazione, di un’improvvisazione settaria. Né
può ridursi alla fuoriuscita dal PRC. Richiede invece un processo aperto di
raggruppamento rivolto a tutti/e i/le compagni/e disponibili oggi presenti alla
base del PRC, al di là di ogni vecchio steccato di componente e di mozione; ai
tanti compagni/e che hanno a più riprese abbandonato il PRC negli anni passati
e che possono essere recuperati ad un’impegno organizzato e motivato; a tanti
compagni/e, attivisti sindacali e di movimento, che non hanno mai militato nel
PRC, spesso per dissenso verso le scelte del suo gruppo dirigente, e che
possono trovare nel nuovo soggetto una ragione di identificazione politica; più
in generale a tanti militanti e simpatizzanti del popolo della sinistra,
ciclicamente traditi e delusi dai propri gruppi dirigenti, alla ricerca da
tempo di una sinistra finalmente vera, indisponibile a vendersi, coerente con
un programma anticapitalista. Proprio questo carattere inevitabilmente
composito di una prospettiva seria di riaggregazione delle forze, dentro il
vuoto di opposizione che si prefigura a sinistra, pone tre necessità tra loro
correlate. In primo luogo – come s’è detto -
la necessità di una comune base politica e programmatica di principio,
sul terreno del marxismo rivoluzionario: senza la quale una pura sommatoria di
“comunisti” si ridurrebbe ad una operazione ideologico-identitaria priva di
qualsiasi prospettiva o destinata a ripercorrere i sentieri fallimentari di
tante esperienze. In secondo luogo un carattere organizzato del processo: ciò
che significa sedi, strutture, luoghi di ricomposizione delle forze e al tempo
stesso strumenti di radicamento sociale e territoriale. In terzo luogo un
carattere di movimento: ciò che significa non una chiusura organizzativa, ma un
processo inclusivo di compagni/e , diversi/e per collocazione e persino per i
tempi di maturazione di scelte e convincimenti definitivi.
RIFONDAZIONE SOCIALDEMOCRATICA O
RIFONDAZIONE COMUNISTA?
L’attualità della rifondazione di un partito comunista in
Italia è peraltro evidenziata dal riassetto complessivo delle rappresentanze
politiche della sinistra italiana. Ed in particolare dalla costituente della
sezione italiana della sinistra europea.
Il governo dell’Unione è forza propulsiva di processi
diversi, ma convergenti. Da un lato la maggioranza dirigente dei Democratici di
Sinistra, che ha rotto da tempo con la socialdemocrazia, vede la possibilità di
concludere la propria mutazione liberale in un abbraccio unitario con la
Margherita: dentro la costituente di un partito democratico che si candida ad
architrave dell’Unione quale rappresentanza della grande industria e del
capitale finanziario. Dall’altro lato Fausto Bertinotti e la maggioranza
dirigente del PRC si candidano ad occupare lo spazio vacante di una
socialdemocrazia governativa, liberato dalla mutazione dei DS e dalla
prospettiva del partito democratico: dentro un approdo governativo che, in
questa epoca di crisi, nega alla politica socialdemocratica ogni spazio
“riformatore” e “progressivo” e quindi l’espone ad una contraddizione di fondo
con le aspirazioni (e illusioni) che questo progetto raccoglie. Proprio
l’organicità di questi processi e la loro contrapposizione agli interessi dei
lavoratori e a qualsiasi progetto di trasformazione sociale motiva una volta di
più la necessità e lo spazio della
rifondazione di un partito comunista dei lavoratori e per i lavoratori,
che unisca la difesa della ragione indipendente del mondo del lavoro ad un
progetto anticapitalista e di liberazione. Al tempo stesso il carattere
internazionale della rifondazione di una sinistra neo-socialdemocratica
(sinistra europea) segnata dal tratto comune del governismo sollecita una volta
di più la necessità e attualità del carattere internazionale di un progetto
alternativo di rifondazione comunista. Di un progetto capace di aggregare e
organizzare sui comuni principi rivoluzionari l’avanguardia di classe
internazionale non solo in Europa ma in tutti i continenti. Proprio per questo
prevediamo l’apertura del processo costitutivo di un Partito Comunista dei
lavoratori in un’Assemblea (meeting) nazionale di presentazione, pubblica e
pubblicizzata, a metà giugno a Roma, in parallelo all’annunciato varo
costituente della Sinistra europea: in modo da evidenziare pubblicamente, nel
modo migliore, il carattere alternativo dei due processi e lo spartiacque che
li divide. Da un lato la rifondazione socialdemocratica di governo, dall’altro
il rilancio della rifondazione comunista dall’opposizione.
UN’IMPRESA DIFFICILE, MA NECESSARIA
E POSSIBILE
Siamo consapevoli della difficoltà dell’impresa. Del resto i
comunisti, per definizione, si cimentano sempre con imprese difficili. Ma
crediamo non vi sia alternativa a questa prospettiva generale se non la
rassegnazione alla liquidazione dell’opposizione e della rifondazione
comunista, oltreché alla dispersione e al ritorno a casa delle migliori energie
militanti del PRC.
Peraltro l’impresa che proponiamo, per quanto difficile, è
razionalmente possibile. Non possiamo prevedere oggi le dimensioni quantitative
del suo approdo. Ma lo spazio sociale e politico di costruzione e radicamento
di una forza comunista di opposizione è inscritto nella materialità dello scontro di classe. Ed è uno spazio
ragguardevole. Molto dipenderà dalla capacità di tutti i sinceri comunisti del
PRC di saper affrontare il mare aperto, di sapersi assumere le proprie
responsabilità verso i lavoratori italiani e la loro avanguardia, fuori da ogni
spirito di routine e da ogni logica di pura autoconservazione di componente.
In ogni caso, in numerosi paesi, la crisi della
socialdemocrazia e dello stalinismo ha ampliato lo spazio di costruzione di
forze comuniste e rivoluzionarie, e la loro incidenza nella lotta di classe. E
spesso organizzazioni di poche migliaia di militanti e di quadri, come il
Partito Obrero argentino (o come, su altre basi, forze dell’estrema sinistra
francese), hanno conquistato un peso significativo e una capacità di
direzione nelle lottedi massa. E’ il
segno di nuove potenzialità nella costruzione di partiti comunisti
rivoluzionari entro le attuali condizioni storiche.
La ricollocazione di governo del PRC, entro la crisi del
riformismo, libererà anche in Italia uno spazio nuovo a sinistra. Prepararsi ad
occuparlo è il compito decisivo dei comunisti, nell’interesse dei lavoratori e
di una prospettiva socialista.
Progetto Comunista – Sinistra del PRC